1- \"CAFONAL HA OCCUPATO GLI SPAZI LIBERI, SI È APPROPRIATO NON DI UN TEMA, MA DI UNA SERIE SPAVENTOSA DI TEMI, ASSIEME A FACCE, CULI, TETTE, OCCHI, AMMICCAMENTI, ORRORI, AMBIGUITÀ CHE IL MONDO PIÙ BLASONATO DEGLI ALTRI MEDIA NON HA VOLUTO O POTUTO O SAPUTO VEDERE\" - 2- \"CAFONAL È LO SPECCHIO DI UN’ITALIA CHE NON TROVATE IN TV, MA NEANCHE SUI GIORNALI. E IL CORTO CIRCUITO È TALE CHE I GIORNALI SI ACCORGONO CHE ESISTI QUANDO TI VEDONO LÌ, NELLA GALLERIA DEGLI ORRORI. MA IL COMPITO DELL’INFORMAZIONE NON ERA DI CERCARE LE NOTIZIE? DI FOTOGRAFARE LA REALTÀ? DI RACCONTARLA PER NOI?\"

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  • PREFAZIONE 1 - LA TRUCE VITA DEGLI ANNI DUEMILA
    DI Marco Giusti - da \"ULTRA-CAFONAL\", di Umberto Pizzi e Roberto D\'Agostino, Mondadori

    MARCOMARCO TRAVAGLIO E MARCO GIUSTI vigivigi libro ultracafonal

    Qualcuno lo doveva dire. Così lo dico io. Cafonal, l\'occhio sulla terribile realtà italiana di Dago&Pizzi, è la Dolce Vita degli anni Duemila. Lo avevano capito un paio d\'anni fa Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, i nostri due maggiori registi, quando, freschi di premi a Cannes, si erano rivolti a Dago per \"capire\" come fare dei film sulla realtà italiana partendo dal mondo di Cafonal.
    Progetti abortiti, rimandati, diciamo impossibili. Perché niente, oggi, è più immediato, forte, chiaro delle foto di Cafonal. Non descrivono un mondo, non girano attorno a dei personaggi. Sono quel mondo e quei personaggi e ogni loro possibile messa in scena. Senza ideologismi. Senza voglie letterarie o autoriali. Senza premi e medaglie. E più a proprio agio nel trash del salotto di Vespa che nel salotto buono di \"Repubblica\". Ma solo come luogo di riproduzione infinita di momenti Cafonal.

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    Per questo Sorrentino e Garrone, che pure avevano intuito perfettamente la forza di quelle foto e di quell\'operazione, si sono tirati indietro. Cafonal è già cinema, TV, Internet. Non deve mediare con niente. Non ha bisogno di un Ennio Flaiano o di un Pier Paolo Pasolini, come per la vera Dolce Vita di Fellini, per arrivare a un racconto, a una descrizione, perché dentro di sé ha già inglobato e digerito tutto. Fellini, Flaiano, Pasolini, le foto dei paparazzi di Via Veneto, le foto scandalistiche del \"Borghese\", le copertine dell\'\"Espresso\", gli articoli di Camila Cederna e di Giancarlo Fusco. E se ne serve per raccontare tutto il resto.

    vigivigi libro ultracafonal

    Il resto? Le rovine dell\'Impero berlusconiano, il tradimento di Fini, i Letta-Bocchino-Carfagna-Gelmini, Bossi col dito medio alzato, l\'inutilità della chiamiamola Sinistra, la palude della RAI, le eterne feste di una Roma eternamente in festa. Un percorso che va da Giò Stajano alla Tulliani, dalla marchesa Casati alla D\'Addario. In ogni foto c\'è non solo la storia d\'Italia attuale o recente, ma anche quella di un\'Italia che fu e che sarà.

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    Come nella sfilata di moda per preti di Roma di Fellini o nel celebre episodio del Teatrino della Barrafonda, cuore dell\'Italia di sempre dove volano pernacchie e gatti morti e dove lo spettatore fa parte dello spettacolo anche più dei comici e delle ballerine. Perché in Italia chi guarda fa già parte dell\'immagine di chi è guardato.

    Gli spettatori di Cafonal non sono solo intercambiabili con i suoi soggetti, sono parte integrante della messa in scena. Come, alla fine, lo sono Dago&Pizzi. Né moralizzatori né freddi occhi sulla realtà (il medium cool del realismo americano). Ma parte del gioco. Spesso addirittura innamorati del trashume che riprendono, dei volti sfatti e rifatti delle signore, dello sguardo ambiguo ma fragile del regime.

    Quello che colpisce è l\'estrema libertà nel riprendere e nello scegliere chi sta di qua e chi sta di là, perché oltre al realismo, al più vero del vero, oltre all\'incredibile compiacimento della vittima nel far parte del museo, oltre al semplice piacere del carnefice nel fotografare e comporre, c\'è anche la voglia di costruire immagini d\'arte.

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    Immagini che rimarranno. Una galleria degli orrori che diventa galleria d\'arte, perché così è concepita e sentita. Qualcosa che sta tra le foto scandalistiche del \"Borghese\" e i ritratti dei cardinali del Rinascimento. Il candore e la follia di Cafonal è proprio lì, nel folle intreccio che compone/confonde \"Novella 2000\" e Damien Hirst, nello scavalcamento di confini tra il mondo della Raffa Carrà e quello di Serrano. Per questo la vittima può anche sentirsi a casa, quasi in famiglia.

    Ah, se vivessimo in un altro mondo, magari qualche museo avrebbe già fatto una mostra di foto Cafonal... Ma se vivessimo in un altro mondo, forse, non avremmo bisogno di Cafonal. O di un Cafonal di questo tipo, che da puro giornale di gossip culturale politico è diventato giornale di informazione e controinformazione, cultura e controcultura. Molto più avanti delle invenzioni televisive della fine degli anni Ottanta, \"Striscia\" e \"Blob\".

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    Qui, in Italia, grazie alla mancanza (ma guarda un po\'...) di comunicazione dei tiggì, all\'ingorgo (ma senti...) di temi politici dei quotidiani, al controllo liofilizzato delle foto scandalistiche (questa poi...) dei settimanali di gossip, all\'agonia (come altro si può dire...) della satira, al poco coraggio (no, è proprio terrore...) dei nostri cineasti e dei loro produttori, senza pensare alle valanghe di eroici scrittori apparsi ultimamente in Italia, Cafonal ha occupato gli spazi liberi, si è appropriato non di un tema, ma di una serie spaventosa di temi, assieme a facce, culi, tette, occhi, ammiccamenti, orrori, ambiguità che il mondo più blasonato degli altri media non ha voluto o potuto o saputo vedere.

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    Cafonal è lo specchio di un\'Italia che non trovate in TV, ma neanche sui giornali. E il corto circuito è tale che i giornali si accorgono che esisti quando ti vedono lì, nella galleria. Ma il compito dell\'informazione non era di cercare le notizie? Di fotografare la realtà? Di raccontarla per noi?

    PREFAZIONE 2- AL COSPETTO DEL DIES IRAE
    di Quirino Conti

    QuirinoQuirino Conti

    In una rovente, impietosa mattina di agosto ebbi la ventura di visitare quella sorta di moderna Wunderkammer che è l\'abitazione di Roberto D\'Agostino e di sua moglie Anna, di fronte al mare. Finalmente in un\'ombra verdeazzurrognola, quel suo cabinet di naturalia et mirabilia mi accolse in vortici di reperti e reliquie di una modernità tormentatissima.

    Tra il laboratorio, lo studio e l\'oratorio, tra portenti, bizzarrie e rarità, il suo \"inventario\" si dispiegava ovunque: come fossimo - mi parve - nel museo del duca di Gottorp attorno agli anni Sessanta del Seicento, o nella Kunstkammer dei duchi del Württemberg, più o meno nel 1680.

    Giungemmo quindi al cospetto di uno schermo e su di esso, come in un prodigioso specchio, l\'estro del collezionista di aberrations - quali le avrebbe dottamente etichettate Jurgis Baltrušaitis - si espresse sino al virtuosismo. Una dopo l\'altra mi apparvero infatti, ordinate dal nostro fervente entomologo, condizioni - seppure ancora vagamente umane - mai troppo distanti dai contorsionismi e dalle ibridazioni pseudonaturalistiche quali si possono ammirare nelle sorprendenti raccolte o sulle tavole sinottiche di Lazzaro Spallanzani. Mostruosità, artifici e conglomerati carnali di inaudita inumanità.

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    Allo stupore seguì allora lo sgomento, quindi il timore. Per l\'incolumità di quanto di più prezioso, ma pur tanto fragile, si è faticosamente cercato di attribuire alla nostra piccola vicenda terrena. Poi, d\'improvviso, un\'esplosione di sacro terrore: ero davanti al Grande Giudizio. Come quelli atterrenti narrati sulle pareti d\'innumerevoli pievi medioevali.

    Sì, finalmente ero al cospetto del Dies Irae. E il mio cortese ospite, così ben occultato sotto i panni di un arguto Petronio, altri non era che l\'Angelo sterminatore. E il suono della sua voce - \"Tuba mirum spargens sonum\" -, quello di chi era venuto per sprofondare finalmente il male nel suo nulla (...salvo qualche malcapitato in buona fede finito lì unicamente perché di passaggio).

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    Mentre salutavo quella coppia tanto bizzarra e gentile - mi era stato persino donato uno spericolato portabanana pop -, d\'istinto il pensiero volò a Beato Angelico: al suo bel Paradiso e a quegli abbracci tra beati del colore dell\'alba. E così me ne andai più sereno.

     

     

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