Antonella Rampino per "La Stampa"
Foto di Umberto Pizzi da Zagarolo
«Io sono il candidato di nessuno che ha bisogno dei voti di tutti». Sembra appena uscito dalla matita di Sergio Tofano, e sulla rampa di lancio per la segreteria del Pd, da emiliano morbido, Pierluigi Bersani piange. Una lacrima all'ingresso, «Quanta gente!». Sono arrivati in tanti, da quello che Tremonti con luciferina arguzia ha definito «il partito degli Appennini», e i giovani li han messi tutti in prima fila, a ranghi sparpagliati tra i D'Alema, le Bindi, i Letta, i Santagata.
Pizzi chez Bersani foto di Andrea Sabbadini da L'UnitàIl Lord protettore di ItalianiEuropei va via a mezzo discorso («Ho in agenda un convegno in una fondazione tedesca, uno di questi giorni le spiego di cosa si tratta, diciamo...»). L'altro che potrebbe far di Bersani «il candidato di...» è Romano Prodi, assente.
Una lacrima entrando, una lacrima che si scioglie uscendo nell'abbraccio con l'amicissimo Vasco Errani, in un finale che è scenografico quanto l'abbrivio. I partiti della post-politica sono tutti luci e colori, leggeri o solidi che siano: «Ringrazio lo staff di Vasco Rossi per il riarrangiamento», fa Bersani.
L'altro pezzo di colonna sonora è la strepitosa strofa musicale di Paolo Conte diventata jingle pubblicitario del Monte dei Paschi di Siena, quella le cui parole sarebbero «passa una mano qui, sopra i miei limiti». E' in questa cornice avvolgente, colma e calorosa da vero «partito pesante» che Bersani quasi grida «non sono grigio, mi sono sempre preso la briga di cambiare le cose, in vita mia non ho mai lasciato nulla come l'ho trovato».
Suda sotto i riflettori dell'Ambra Jovinelli, tempio dell'eccellenza spettacolare veltroniana, quando quasi ri-grida che vuole «i giovani nelle funzioni esecutive nazionali del partito, ma nel rispetto della generazione precedente».
ZUCCHETTO SESSANTOTTINO - copyright PizziPassaggio ieri resosi necessario dall'ultima polemica. Debora Serracchiani, ovvero l'archetipo del nuovismo giovane, a «Repubblica» aveva detto «sto con Franceschini perché è simpatico», e subito dalle file bersaniane una caterva di insulti, tutte le donne contro (Chiaromonte, Carloni), tutti a darle della Tina Pica (Zingaretti), tutti a dire «sto con Bersani perché sa cantare» (Pollastrini).
E Follini che fa il genio in vestaglia, cosa crede, di mandare in soffitta Tocqueville? Non proprio di buon augurio per Bersani, che invitava a un «incontro con i giovani», e che nel discorso ha tenuto a mantenere un certo fair-play con Franceschini, col quale ha nei giorni scorsi convenuto, «non spacchiamoci nel fare opposizione, teniamo la stessa linea». Bersani ha tagliato corto «smettiamola di discutere sul vecchio e nuovo, o la nostra gente non ci capirà più».
Io corro da solo, dice, e invoca «il partito vero», il profilo del Pd «è tutto da rivedere, ci sono problemi di basi culturali, politiche e organizzative solide». Un tema da affrontare in un congresso «che sia fondativo», quando quello del Pd è ormai solo una «Convenzione» di passaggio verso il plebiscito delle primarie.
VINCENZO VISCO - copyright PizziLa sala è piena di nomenclatura, e c'è molta attesa proprio su questo: la forma-partito. Ci sono anche - ed è tutt'altro che secondario - ben quattro segretari confederali di Cgil, Rocchi, Solari, Lamonica, Megale, e svariati segretari di categoria. Ricorre uno, dieci, venti volte l'aggettivo «popolare», quel che è di più caro proprio a Franceschini, «voglio un Pd che estenda il centrosinistra, voglio una sinistra democratica e liberale, voglio un partito radicato nel lavoro e collegato ai ceti popolari».
Legge il discorso, scritto a quattro mani con Gianni Cuperlo, che fu lo spin doctor che per D'Alema segretario di Botteghe Oscure rieditò in slogan una famosa citazione di Rilke, «Il futuro è in noi molto prima che accada». Si sente anche una solida eco marxista e da laburismo pre-Blair quando progetta «un partito identitario che sostenga la prevalenza del lavoro rispetto alla rendita».
Applausoni quando attacca il Pdl sul testamento biologico, con un occhio al possibile «terzo candidato» Ignazio Marino. E soprattutto quando cita «la dignità delle donne, insultata dagli stereotipi berlusconiani». Proprio lui, che al primo apparire delle soubrette a Montecitorio sorrideva da emiliano morbido e felice, «ragazzi, ma qua è bellissimo!».