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Maite Logiuro per Dagospia
Ci sono luoghi deputati a riti iniziatici e/o propiziatori, dove gruppi di individui ribadiscono la loro appartenenza e per tanto la loro stessa esistenza. La messa per i Cattolici, il teatro per gli antichi greci, l’altare sacrificale per i cannibali.
Al circolo la Macchia di Capalbio si è consumato ieri sera uno di questi riti. Non sappiamo cosa la Macchia ambisca a diventare. Non sappiamo neppure se la Macchia abbia le carte in regola per puntare al mito. Sappiamo però che indirizzo felice (location mi rifiuto di scriverlo), atmosfera unica, clientela esclusiva (con l’inevitabile strascico di invidie, faide e pettegolezzi), nome e prezzo d’entrata sono condizioni sine qua non.
E allora procediamo con ordine: l’indirizzo. Non è male, sebbene quella vista su parcheggio e su coattume in costume, ciabatte e telo da mare che si avvia incurante verso la spiaggia, rischi di mandare di traverso il Martini dry ai palati più raffinati ed esigenti.
domitilla clavarino jacaranda caracciolo e grazia
La clientela è presto descritta: sono figli o nipoti (legittimi, illegittimi o adottivi), generi usurpatori o nuore arrampicatrici di coloro che hanno fatto l’Italia. Ex-diplomatici, nipoti di editori, eredi di palazzinari, Capalbio ha conosciuto una mutazione antropologica: estinta l’intellighenzia di sinistra –solo qualche dinosauro spaesato resiste-, i nuovi Radical chic hanno perso per strada il radical, restando aggrappati allo chic, che comunque, di questi tempi, basta e avanza per selezionare, escludere, vivisezionare e condannare.
In una parola, basta e avanza, in assenza di qualsiasi altro merito oltre al censo, per sentirsi superiore al restante 99% dell’umanità. Addio principi morali, pretese culturali e persino buone maniere, solo la sfumatura del vestito decreta chi è in e chi è in out. Vi ricorda qualcuno? Una certa Maria Antonietta? Quando il privilegio sociale si regge soltanto su estetica e gusto (sempre opinabili), quella stessa società è matura per una rivoluzione.
Ma torniamo alla Macchia. Discorso a parte meritano il nome e il prezzo. A Capalbio se non hai un’insegna da bassi fondi (under under statement) non vai da nessuna parte. “La Macchia” (sebbene ellissi per macchia mediterranea –osiamo sperare) fa a gara con “la Polverosa” o “i Ruderi” nello strapparsi la palma della mondanità, mentre aspettiamo con ansia che “la Pietraia” apra i battenti l’anno prossimo. Persino la tragica ironia de “L’ultima spiaggia” è stata superata, come il mondo che rappresentava.
raimonda lanza e dianora salviati
Per quanto riguarda il prezzo, sta tutto in una formuletta semplice e perfetta: il conto finale è 5 volte superiore al calcolo totale delle calorie ingerite. Le verdurine crude -volgarmente dette pinzimonio, ma guai a nominare una simile volgarità davanti a Giulia Puri Negri- sono il piatto forte. 10 calorie all’etto, 50 euro a caloria. Alta cucina insomma. Presentati benissimo però, sia le calorie che il conto.
raimonda lanza dii trabia con le figlie
Dunque dicevamo: nome, indirizzo, atmosfera, avventori. Se no meglio lasciar perdere. Se mancano però genius loci e uno spruzzo di leggenda la panna non monta. E rimane soltanto la patetica velleità. I famosi wannabes. Non basta essere ricchi, potenti e famosi per essere fighi, dettare le mode, predire il futuro. Ci vuole anche quel non so che, la famosa aura, il tocco magico.
E se la leggenda manca, la leggenda -come tutto- si costruisce. Partendo in primis da una genealogia, per poi innalzare una bandiera, che un tempo doveva essere ideologica, culturale, artistica, politica, quando oggi basta, come abbiamo detto, lo stile.
Ed è lo stile di Raimondo Lanza di Trabia che la Macchia ha eletto a proprio vessillo. Il passo lieve, la sprezzatura di cui il principe -l’uomo in frac di Modugno, l’inventore del calciomercato, per citare due delle sue innumerevoli prodezze- era incarnazione esatta.
ottavia casagrande e alessandro feroldi
Ieri infatti Jas Gawronski, Alessandra Cravetto (vecchio e nuovo giornalismo), Raimonda Lanza di Trabia e Fabiana Marenghi Vaselli (vecchia e nuova aristocrazia), Nicola Caracciolo e Gelasio Caetani Lovatelli (vecchi e nuovi maitre à penser), Jean e Diane Lussemburgo e Niki e Margaretha Liechtenstein, e Bianca di Savoia Aosta (case reali regnate e decadute) si sono riuniti per uno di questi riti messianici, fondativi: la presentazione di ‘’Quando si spense la notte’’ di Ottavia Casagrande (Feltrinelli 2018), ultimo romanzo di una lunga serie che racconta alle nuove generazioni le gesta eroiche ed erotiche del bel Raimondo.
ottavia casagrande firma il libro a betti marchi e benedetta angioni
Non sappiamo se il passaggio di consegne avverrà; se gli emuli riusciranno ad avvicinare o addirittura superare il maestro. Certo è che in un mondo dalla sfrenata accelerazione globalista e globalizzatrice, l’identificazione, l’appartenenza, il territorio, il branco hanno bisogno di icone. Raimondo è l’icona della Macchia. Sarà la Macchia icona del suo tempo?
Nota a margine: le case reali ancora sul trono, oltre ad ostentare baciamani impeccabili, sono tornate ai loro palazzi aviti con pile di libri, mentre i nipoti di editori, i reali destituiti e gli eredi dei palazzinari non ne hanno comprato una copia.
ottavia casagrande alessandra cravetto jas gawronski e raimonda lanza di trabia
Il romanzo della Casagrande, tra le altre cose, racconta dell’implosione del regime fascista. Conoscere la storia, per prevedere gli eventi futuri? Una cosa è certa, se dovesse scoppiare la rivoluzione, alla Macchia saranno gli ultimi ad accorgersene.
2. LA SPIA VENUTA DAL CALDO
Marina Valensise per www.buttanissima.it
Se non è vero è tutto molto verosimile quello che racconta Ottavia Casagrande in “Quando si spense la notte”, il suo nuovo romanzo Feltrinelli dedicato alla figura del principe Raimondo Lanza di Trabia, suo nonno materno. Dopo il successo di “Mi toccherà ballare”, primo romanzo scritto a quattro mani con la madre Raimonda Lanza di Trabia (nata orfana e secondogenita dell’attrice Olga Villi) Ottavia Casagrande torna sull’eroe eponimo, grazie alla confessione di una simpatica settantenne inglese, residente nel Dorset, che leggendo il primo libro ha creduto di scoprire in quel principe siciliano un amico di sua madre, agente segreto di sua Maestà in Sicilia per una breve stagione durante gli anni del la seconda guerra mondiale e protagonista delle incredibili avventure raccontate in questo secondo romanzo, fra le quali bisogna annoverare la fuga dei due vestiti da suore dal collegio femminile sulla Nomentana, la loro divagazione a Cinecittà sul set di un film di Alessandro Blasetti, che vorrebbe arruolare il principe nel cast, la nuova fuga rocambolesca per sfuggire agli agenti dell’Ovra, sul pagliericcio di un carretto di fortuna trainato da elefante con carrettiere compiacente alla guida.
lalla franzan bianca arrivabene marion franchetti
E poi un lungo peregrinare sulla via Aurelia a bordo di Alfa decapottabile, fino a superare le frontiere francesi. Arrivo a Parigi, con sosta a Auteil nell’hotel particulier dello zio Odò e tante Rose, donatori all’Ambasciata d’Italia del famoso teatrino di Palazzo Butera che ancora arreda il salone principale dell’Hotel La Rochefoucauld, sosta provvidenziale perché il principe trova ancora i fidati domestici di famiglia a rimpinguarlo e si rifornisce dei gioielli della ricca zia, grazie a quali continua la fuga sino al porto di Calais, sotto le mitragliatrici della Luftwaffe, e da lì, su un guscio di noce, traversa la Manica con la sua bella, sfuggita per miracolo ad avvelenamento da caffè al tallio destinato a lui, fino a Dunkerke, da dove poi risalgono verso la capitale, dove il 27 maggio 1940 Raimondo incontra a colazione il primo ministro Winston Churchill, per rivelargli le vere intenzioni belliche di Mussolini.
Il romanzo del romanzo è di per sé qualcosa di così avventuroso che meriterebbe un saggio a parte, per rivelare ai lettori dove si ferma la verità e dove comincia la finzione. Perché racconto di Ottavia Casagrande è suffragato non solo dalle testimonianze di prima mano della figlia settantenne di una spia in disarmo, vecchio flirt di Raimondo e raccontatrice di suo di grandi fiabe indelebili, ma trovano riscontro nei documenti riesumati dall’Archivio centrale dello Stato, ma non dagli archivi del MI6, secretati ad aeternum, nei rapporti dell’Ovra, nei saggi di Mimmo Franzinelli, che ha confermato la perfidia di Santo Emanuele, persecutore di Raimondo.
La trama del romanzo corrisponde così a due anni di storia, 1939-1940, anni cruciali per le sorti dell’Europa e per la vita un aristocratico ribelle, che fu una spia versatile e piena di inventiva per il regime fascista alla vigilia della seconda guerra mondiale, vivendo in balia dell’inquietudine e sopravvivendo grazie al suo sesto senso, pur lanciandosi in imprese disperate e ad alto rischio, per obbedire alla sua natura libera e indomita, al senso innato dell’onore che coincide sempre con la gratuità, anche a rischio di trovarsi dalla parte sbagliata e di volerci restarci, pur avendo la possibilità di passare a servizio del nemico.
Il primo romanzo di Ottavia Casagrande partiva da una valigia piena di documenti e di una misteriosa chiave che apriva tanti misteri, a cominciare dall’ultimo, la morte di Raimondo, per defenestrazione da un famoso albergo romano, non si sa se per volontà o per caso. Il secondo romanzo ne ricostruisce le avventure durante i mesi che precedono l’invasione tedesca della Polonia e che seguono la fine della non belligeranza italiana con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940.
Rivive così in queste pagine di romanzo dove il romanzesco è solo la versione letteraria della storia, la vera vita di Raimondo Lanza di Trabia, Raimondo Ginestra prima di venir adottato dalla nonna paterna Giulia Florio, avventuriero viziatissimo e seduttore seriale, fidanzato altolocato e però riluttante perché a caccia di avventure, tanto che la povera Suni Agnelli per dimenticarlo si imbarcò da crocerossina su una nave militare nell’Egeo e restituì alla nonna l’anello di fidanzamento.
giupi pietromarchi e nicola caracciolo
Il principe bastardo dagli occhi azzurro intenso, il ghigno sornione, i baffetti alla Salvador Dali, aveva l’avventura nel sangue. Viveva in grandi alberghi dormendo fino alle due del pomeriggio fra montagne di giornali, quinte di bottiglie e mozziconi di sigarette, ma era pronto a rischiare la vita pur di servire amici influenti come il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, lanciarsi per loro in missioni segretissime Oltreoceano per seguire le tracce di scoperte scientifiche come l’atomo, foriere di nuovi strumenti di distruzione di massa, e sapeva giocare con l’avversità come in una partita di tennis, uscendone sempre indenne anche quando cercò invano di fomentare una rivolta antinazista in Alto Adige, sempre pronto all’avventura, a carpire un sorriso, un abbraccio, a sfidare il senso comune per un ballo in maschera a Palazzo Colonna, con la sua lei mascherata da ninfa e lui con una semplice cappa di seta blu notte sopra il frac, perché “Io sono il mare” diceva ballando sotto le stelle mentre l’Italia si preparava a entrare in guerra.
domitilla clavarino jacaranda caracciolo alessandro feroldi ottavia casagrande ed alessandra cravetto adriana sartogo ambasciatore antonello pietromarchi e altea di gallese RAIMONDO LANZA DI TRABIA E VITTORIO EMANUELE ORLANDO RAIMONDO LANZA DI TRABIA federico marchi e tito sanpaolesi