Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
IL PAZIENTE INGLESE
Da www.vanityfair.it La nona serata della Festa del Cinema di Roma è stata un omaggio a Il Paziente Inglese, uscito nelle sale vent'anni fa. E sul red carpet i protagonisti di quel successo sono stati gli ospiti più acclamati.
Ralph Fiennes ha il fascino di allora. Barba folta da hispter moderno e qualche ruga in più, portata con disinvoltura, come le colleghe Juliette Binoche e Kristin Scott Thomas, scatenate regine di selfie. La prima sceglie un make-up deciso, che valorizza gli occhi scuri. Matita nera e tanto mascara, sulle labbra, invece, un lipstick rosato leggermente glossy. Più naturale la Thomas, con occhi nude e bocca intensa.
Dopo di loro, qualche volto noto di casa nostra, da Euridice Axen a Vittoria Schisano. Beauty look total nude per l'attrice, con capelli raccolti in uno chignon imperfetto, molto chic, più aggressiva la Schisano, con rossetto scarlatto e unghie nere.
MANNOIA
Lavinia Farnese per www.vanityfair.it - Michele Placido alla Festa del cinema di Roma non fa che andare in giro per l'Auditorium presentando Fiorella Mannoia a tutti come «La guerriera». Perché in 7 minuti, il suo ultimo film che vede la cantante all'esordio «inaspettato» da attrice, «è lei che ha tirato dentro tutte: Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi etc. etc. Non le ho fatto neanche un provino». «Io ho rubato con gli occhi un po' di qua, un po' di là, e non ho trovato il recitare così diverso dall'interpretare una canzone», minimizza, intimidita ed emozionata ora «La guerriera», che il 4 novembre esce con un disco che a ben guardare è un sinonimo (s'intitola Combattente).
enrica bonaccorti e piero badaloni
In 7 minuti, Fiorella Mannoia ha il ruolo di un'operaia impegnata in un consiglio di fabbrica, ma è anche una madre che sta per diventare nonna. Quando nella vita la sua storia è stata un'altra.
Così, ci sediamo da una parte non lontane dal red carpet, prendiamo quella maternità che, macrotema del femminile, sul set si compie in modo molto forte, e torniamo insieme indietro a un suo vuoto elaborato, che non ha voluto riempire: «Io non ho avuto figli. Non sono venuti e non li ho avuti. Non ho fatto nessun percorso alternativo: sono dolorosi fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Mi sono detta: "Se questo è il mio destino, lo accetto".
E l'ho accettato. In alcune donne, com'è successo in me, il senso del limite naturale supera e ferma quello del desiderio. Tutto quello che c'era da dire l'ho messo in un brano, scritto pensando di dialogare con una ragazza immaginaria, mia figlia che non esiste. S'intitola In viaggio. E...lo dico ai concerti, lo credo davvero: non c'è bisogno di essere madri di fatto per sentircisi. Noi donne siamo già madri, perché è scritto nel nostro DNA, e che ci siano poi figli o meno, quel sentimento rimane vivo in noi. A volte però sul set guardavo Cristiana, che interpretava mia figlia incinta, e ci pensavo, tanto: "In effetti sarebbe potuto essere così, ci assomigliamo anche un po'».
ralph fiennes e kristin scott thomas si fanno un selfie
BENIGNI
Lavinia Farnese per www.vanityfair.it
ralph fiennes kristine scott thomas e jiuliette binoche fanno un selfie
La chiamerà sempre Nicoletta Braschi, mai Nicoletta, per una sola volta «mia moglie». Roberto Benigni, 63 anni, chiude la Festa del cinema di Roma con un incontro dove lei siede nel buio a metà sala, e guarda da lontano quell'uomo con cui ha diviso lavoro e vita, e che fa ancora delle parole fuochi d'artificio. Sono tornati dall'America da un niente, perché Barack Obama li ha voluti alla Casa Bianca, ospiti della sua ultima cena ufficiale da presidente degli Stati Uniti d'America («Come se in epoca romana ti avesse invitato l'imperatore Adriano: una serata così italiana che mancava solo Goffredo Mameli. Poi si è intrufolato anche il premier Matteo Renzi», gioca l'attore e regista premio Oscar nel 1999 per La vita è bella.
meryl streep saluta antonio monda (3)
«Ha il fascino dei personaggi delle fiabe», proprio come di lui diceva Federico Fellini, che lo diresse nel 1990, in quello che fu l'ultimo film del regista, La voce della luna: «Mi partiva il cuore, quando ero con lui, ed era come trovarsi davanti al tramonto o a una quercia. Si sentiva come un vento fresco che cambiava il mondo. Mi chiamava cockerino, perché non mi sono mai abituato alla sua presenza e gli saltavo addosso per liberarmi dall'emozione. Amava i clown più delle donne.
meryl streep saluta antonio monda (2)
Parlando anche di una bottiglia, ne evocava profondità e bellezza, tirava fuori lo stupefacente, il poetico, l'immaginifico dalle cose ordinarie, che diventavano sconfinate. Portava a galla sentimenti che noi avevamo ma non sapevamo di avere, come se in un apprendistato di mistero ti mandava a dire: la vita, la morte, il mondo sono lì, sacri, dolorosi, e ti aspettano».
Sulle scene di Non ci resta che piangere ricorda poi l'amicizia con Massimo Troisi: «Aveva questo problema al cuore, e questo ticchettio che si sentiva sempre, quando eravamo insieme, e ti veniva voglia di abbracciarlo. Portava negli occhi un senso tragico, come se profondamente sapesse che la sua vita avrebbe avuto un termine inaspettato». E ancora...«Ognuno di noi l'ha vissuto e sa che cosa vuol dire, quando succede uno scoppio dentro, nel conoscere l'altro, e sei nudo di fronte a quella persona, e ti chiedi da dove arrivi, e pensi che sarà con te tutta la vita. Succede anche nell'amore».
Così parte Il piccolo diavolo (1988), la parte di film in cui Nicoletta Braschi, oggi 56, scende dal treno con i marinai che la salutano dai finestrini, e sulla banchina trova lui. «È il suo ingresso nella mia vita, c'è un prima e dopo di lei. Nel prima, tutto era farsa: la commedia senza la presenza femminile è come una vita a metà, non la si può concepire. Da allora, abbiamo fatto tutto insieme come una compagnia teatrale, è stata sua l'idea di darci libertà producendo noi i nostri film. Mi ha dato verità. Mentre volavo, mi ha riportato con i piedi per terra, e io non riesco a immaginare un altro volto, un'altra presenza, un altro respiro che non sia lei. Per me è una benedizione. Lo è stata davvero». Il 26 dicembre saranno 25 anni di amore. «Solo una volta non mi seguì. Fu per un'influenza. Eravamo invitati da papa Giovanni Paolo II alla proiezione della Vita è bella in Vaticano. Qualche tempo prima per averlo chiamato "Wojtilaccio" finii in processo per oltraggio alla religione di stato e villipendio, e fui condannato a pagare un milione di multa alla Santa Sede, ma lui neanche se lo ricordava.
C'erano una quarantina di suore polacche elegantissime, qualche cardinale, pioveva, e quando lui arrivò in pantofole rosse, intorno si alzò come una ola divina. "E la moglie?", mi chiese. "Eravamo a Los Angeles e lì è rimasta, il medico le ha detto che stava talmente male da non poter rientrare, neanche l'avesse chiesto il Papa". Ero serio, scoppiò a ridere, poi finita la proiezione rimase in silenzio e mi disse: "Mi hai fatto piangere, c'è tutta la mia vita lì dentro"». Anche Papa Francesco lo chiamò. «Dopo I 10 comandamenti, alle 8 di mattina, al telefono di casa. Da me hanno risposto: "Benigni sta dormendo, richiami domani". Lo fece veramente: "Ma tu lo sai il bene che fai?"».
Quanto al suo, di cinema, ci tiene a dire che La vita è bella è una tragedia che, come tutte le tragedie, comincia bene e finisce male, mentre la commedia ha verso contrario: «Theodor Adorno sosteneva che "Dopo Auschwitz, non si può più fare poesia", ma la vita tragicamente si riprende tutto, anche la poesia, che non è possibile ucciderla, e fa diventare anche quello di Adorno un verso. Adesso ho un desiderio irreprimibile di dedicarmi a qualcosa di un'allegria sfrenata», dice. Torna infine a quand'era bambino. «Da piccoli eravamo poveri in maniera mitica.
Ricordo la mia infanzia contadina, in Toscana, tutti - mio nonno, i miei zii, mio padre - intorno al focolare a raccontare storie, e le ombre che si creavano sul muro, proprio come nel mito della caverna di Platone. Poi si andava a letto, e io dormivo con quattro donne, le mie sorelle e mia madre, che sembrava la Madonna del parto di Piero della Francesca, tanto che quando la vidi volevo rubarla. Non avevamo soldi per entrare a vedere i film e così sbirciavamo dal tendone, d'estate, stesi in un campo di grano. Fu con Charlie Chaplin che iniziai a desiderare di fare parte di questa bellezza. Ognuno di noi ne sceglie una. Era La febbre dell'oro, e fu lì che vidi per la prima volta la furia e la grazia insieme».
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