Foto di Franco Cavassi per Dagospia
Armando Zeni per "La Stampa"
E alla fine, inevitabilmente, parlando dei dieci anni che hanno fatto la storia di Fastweb (cui è dedicato il libro di Castronovo e Paoloni «Fastweb 1999-2009, storia di una impresa innovativa», presentato ieri sera a Milano) al centro del dibattito, moderato da Ferruccio De Bortoli, tra il vicepresidente di Nomura Francesco Caio, Antonio Pilati dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera e lo stesso Castronovo, è finita la rete.
Il tema più caldo del momento nelle Tlc italiane. A mettere per primo le carte in tavola l'uomo che da anni, prima in Gran Bretagna poi in Italia, ha seguito come consulente dei governi proprio il tema dello sviluppo delle reti, Francesco Caio. «La rete d'accesso - è l'esordio - è un monopolio naturale per cui bisogna trovare forme di collaborazione e non di concorrenza per finanziare lo sviluppo della rete passiva».
CAIOCAIOLa sfida, spiega, è «cambiare il modello di concorrenza», e trovare, aggiunge, «il giusto bilanciamento tra la cooperazione necessaria per lo sviluppo della rete, visto che nessuno nemmeno Telecom Italia ha risorse per fare da soli, e l'esigenza di lasciare intatta la necessaria concorrenza nei servizi».
Stefano Parisi, amministratore delegato di Fastweb che orgogliosamente rivendica di voler «continuare a crescere in modo organico sul mercato italiano» e ripete di «non aver alcun interesse per Tiscali», concorda con Caio ma prende atto della situazione e conferma che oggi come oggi non c'è alcun contatto tra Fastweb e Telecom Italia per investimenti coordinati nella rete di nuova generazione («Non ci sono - dice - Telecom non vuole questo, spero che in futuro si convincano») e comunque, premette, «non mi preoccuperei del destino di Telecom Italia: la rete è sotto terra, è e rimarrà italiana per sempre».
MICHELI DE BORTOLIIl presidente di Pirelli (ex azionista di controllo di Telecom) Tronchetti Provera mette il dito nella piaga: «Il tema vero - dice - è capire come fa il sistema a stare in piedi» diviso com'è tra chi investe nelle reti e chi, avendone libero accesso, ci guadagna fornendo servizi.
«Il mestiere di sviluppare la rete sarà sempre più diverso da quello di fornire servizi su quella stessa rete», spiega Caio che non ha dubbi sul paradosso dello scenario attuale: «E' finito il party sulla rete che è durato più di cento anni, il valore aggiunto va sempre più verso chi produce terminali e chi fornisce contenuti: più si investe sulla rete e più la si fa potente e meno si ricava». Come uscirne? «Facendo passare un concetto di pricing delle infrastrutture».