Paolo Fallai per il \"Corriere della Sera\"
Foto di Umberto Pizzi da Zagarolo
Era l\' uomo che consentiva di coniugare il cognome Ripa di Meana alla parola riservatezza. È morto nella notte di domenica nella clinica Mater Dei di Roma, dove era ricoverato da alcune settimane. Aveva 81 anni Vittorio Ripa di Meana, l\' unico a poter essere chiamato semplicemente «l\' avvocato», senza paura di essere confuso con Gianni Agnelli. In realtà quell\' appellativo professionale serviva a garantirgli un posto a parte in una famiglia così numerosa e così protagonista. Gli erano vicini, la moglie Isabella Buitoni, e i figli Virginia, che ha scelto la sua stessa professione, Franco e Andrea.
Col fratello Carlo, quasi coetaneo, non c\' era proprio sintonia. Votato quest\' ultimo al palcoscenico della politica, dal Pci al Psi, ai Verdi, ha preferito sempre l\' appartata e sostanziale gestione del potere. Forse per questo Vittorio Ripa di Meana - figlio di un\' aristocratica famiglia piemontese radicata a Roma - aveva orientato giovanissimo i suoi studi di giurisprudenza, spingendoli nei terreni più difficili ed esclusivi, quelli del diritto societario, commerciale e industriale.
Così mentre Carlo scandiva la sua carriera diventando ministro dell\' Ambiente e commissario europeo, Vittorio aveva affiancato all\' attività forense - mai interrotta - la presenza nei consigli di amministrazione delle società che contano: le Generali, Capitalia, di cui ha presieduto a lungo il patto di sindacato, il mondo dell\' editoria e della finanza, fino alla vicepresidenza del Fondo per l\' ambiente italiano (Fai).
Cesare geronzi - Copyright PizziÈ stato a lungo a fianco di Carlo De Benedetti e non solo nel gruppo Espresso, così come nel consiglio di amministrazione dell\' agenzia Ansa. Grande amico di Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo, scelse per il suo studio un elegante appartamento di piazza dei Caprettari, vicino agli uffici del principe. Conosceva bene il mondo della comunicazione, tanto da risultare uno dei potenti meno inclini a rilasciare facili dichiarazioni.
Solo una volta si è lasciato tentare dall\' avventura politica, in quella stagione dell\' incertezza - siamo nel 1993 - che assisteva alla dissoluzione del mondo partitico che l\' Italia aveva conosciuto per decenni. Si candidò a sindaco di Roma nella tornata che avrebbe visto prevalere una sinistra sorpresa con Francesco Rutelli, nello scontro con Gianfranco Fini affrancato dal ghetto dell\' Msi. Guidava una lista civica, l\' Alleanza Laica-Riformista, presentato da Bruno Visentini e lo fece con orgoglio «per vincere», non per «una battaglia di testimonianza di esuli».
Claudio Petruccioli e moglie - Copyright PizziNon fu un successo, ma anche nell\' Aula Giulio Cesare portò una testimonianza di concretezza: la sua idea di Distretto federale per Roma è ancora oggi una delle meno fumose per dare un assetto credibile alla Capitale. E non è un caso se nelle dichiarazioni di ricordo, ieri, Walter Veltroni e Gianni Alemanno si siano ritrovati a usare quasi le stesse parole, un «uomo di grandissimo spessore», a ricordare la «fede repubblicana» e «l\' amore per la cultura». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto rendere omaggio di persona all\' amico, testimoniando alla famiglia «la sua passione e la probità professionale».
L\' ultima battaglia Vittorio Ripa di Meana l\'aveva combattuta vicino all\'amata casa di piazza di Spagna. Ancora una volta con concretezza, di fronte ai lamenti sull\'abbandono di Villa Borghese, aveva guidato nel 2003 una cordata di imprenditori nel rilevare la Casina Valadier e il suo ristorante. «È un posto unico al mondo», ripeteva. Con la testarda passione di chi al degrado, oltre alle parole, era solito opporre i fatti.