Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
L'Italia democristiana ai funerali Andreotti
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Federico Geremicca per "la Stampa"
L' urlo del passante - solo un mezzo urlo, in verità - sale dal fondo della piazza, mentre la folla esce piano dalla basilica di San Giovanni dei Fiorentini: «Ahò, ce manca solo quello der bacio, Totò. Quegli artri, invece, ce stanno tutti».
SanzaSono le sei della sera, il sole trafigge a fatica nuvole scure e spesse, e lo «spiritaccio romano» - che è stato il suo spirito per una vita - stavolta colpisce lui: ma non falsifica la realtà. È vero, intorno al feretro di Giulio Andreotti - Belzebù, il Divo Giulio o «la volpe che finirà in pellicceria», come profetizzò Bettino Craxi - «ce stanno tutti»: e prima di tutti, inevitabilmente, i «nemici» di una vita, i democristiani, ovunque siano finiti, comunque stiano in salute e qualunque cosa pensassero di lui.
S Giovanni Battista ai FiorentiniSi scriverà - ed è giusto scriverlo che nella bella basilica a due passi dal Tevere, ieri si sono finalmente celebrati i funerali della Prima Repubblica, perché nessuno come lui - come
Andreotti - l'ha percorsa dall'inizio (1947: sottosegretario di De Gasperi a Palazzo Chigi) fino alla fine (1992: presidente del Consiglio). Si dibatterà ed avrà un senso farlo - intorno al fatto che, assieme a lui, è un pezzo d'Italia quello che se ne va. Ma la morte di Giulio Andreotti, compagno di strada degli italiani negli Anni 40, '50, '60, '70, '80 e addirittura '90, è qualcosa di più ma anche di meno, contemporaneamente: è come la fine del 45 giri e dei dischi in vinile, come la morte della vecchia e cara lampadina, come la fine di Carosello, cancellato dalla Rai 36 anni fa e, guarda il caso, tornato in onda l'altra sera, il 6 maggio, proprio nel giorno della morte del Divo Giulio. È qualcosa di abituale, che se ne va. Qualcosa che, all'improvviso, in qualche momento, inspiegabilmente mancherà.
Roberto FormigoniÈ un'epoca, non solo un modello di Repubblica, quella che si chiude. È un'idea del mondo e della politica. È uno stile di gestione del potere, del quale - ed è tutto dire - a volte si sente perfino la mancanza: la discrezione, la sobrietà, la non ostentazione.
Renato FarinaSui gradoni della Basilica di San Giovanni dei Fiorentini, a pochi passi dalla casa di Andreotti, in corso Vittorio Emanuele, Stefano Andreani - storico portavoce del sette volte presidente del Consiglio racconta: «Viveva in quell'appartamento dal 1960. Lo comprò con un mutuo trentennale. L'ultima rata gliel'ho pagata io nel 1990...». Non erano tempi in cui gli amici compravano a tua insaputa un appartamento di fronte al Colosseo. Magari succedeva di peggio, nel 1960: ma con discrezione, senza ostentazione, con sobrietà...
Arriva Gianni De Michelis. Tra la ressa si fanno largo, Gianni Letta, Gasparri e Mario Monti. Ma arrivano soprattutto loro, i democristiani, divisi in mille partiti, va bene, un po' al centro, un po' a destra e un po' a sinistra: ma accorsi tutti qui per seppellire un altro pezzo di sé.
Feretro di Giulio AndreottiC'è l'amico-nemico di una vita, Ciriaco De Mita; c'è il sodale del più micidiale patto di potere che la Repubblica (la Prima ma anche la Seconda) ricordi: cioè Forlani, l'ultima iniziale vivente di quel Caf (con Craxi e Andreotti) che dall'89 al 1992 si spartì le scarne spoglie di quel che restava di un sistema al capolinea; c'è Emilio Colombo, l'unico sopravvissuto tra i costituenti; ci sono Casini ed Enzo Scotti, Mastella e Zamberletti, Fioroni e Riccardi, Sanza, D'Antoni e si potrebbe continuare. Ma ci sono prima di tutto loro, gli andreottiani: la corrente più «cattiva», imperscrutabile e meglio organizzata della fu Dc.
Feretro di Giulio AndreottiCi sono quelli che ci sono ancora, naturalmente, e mancano - dunque «pezzi da 90» come Vittorio Sbardella, Salvo Lima e Franco Evangelisti. Ma tutti gli altri, i «responsabili di settore» per conto del Divo Giulio, sono qui: Paolo Pomicino, longa manus in economia; Roberto Formigoni, delegato ai rapporti con Cl; Francesco D'Onofrio, addetto alle riforme... Sono commossi, ma come si sarebbe commosso il loro capo: gli occhi degli andreottiani restano asciutti, come quelli degli altri democristiani...
Tra le corone di fiori spicca quella del «condominio 326», gli amici di palazzo del senatore; è messa lì, segno di normalità, tra quelle del Capo dello Stato e dell'ambasciata del Nicaragua. Si vede qualche volto tv, ex manager delle partecipazioni statali, molte suore e tanti preti.
Fan di AndreottiMa si vede, soprattutto, la Roma di Andreotti, tassisti, pubblico impiego, insegnanti e commercianti ai quali - se anche appena tornato dagli Usa o dall'Urss - Belzebù dedicava tutti i sabato mattina, ricevendoli nell'ufficio di San Lorenzo in Lucina. È l'Italia Anni 60, facce di un boom economico che sognano di notte, cappotti logori e tanti «grazie Giulio, politici come te non ne verranno più».
Fan di AndreottiAlle sei della sera è tutto finito, e il lavoro degli storici può iniziare. Non sarà facile districarsi tra papi e mafiosi, banchieri e ambasciatori, cancellerie, logge segrete e trasferte siciliane. Che raccontare di quell'uomo capace di governare con la destra, prima, e con il Pci, poi? E che statista può esser stato un primo ministro «amico degli arabi» e per cinquant'anni «garante degli americani»? Lo dirà la storia, forse. Per intanto, incurante dell'effetto retrò, qualcuno srotola sui gradoni della basilica una vecchia bandiera col simbolo Dc.
Già, la Dc. Sconfitta dalla storia, forse, e morta anch'essa, come il Psi, dentro la bufera di Tangentopoli. Un massacro, dal '92 in poi. Tangenti, fondi neri, finanziamenti occulti... Da Forlani a Scotti, da Gava a Pomicino, uno dopo l'altro caddero tutti accompagnati dal grido «ladri-ladri». Giulio Andreotti invece no: lui intanto faceva i conti con la grande mafia e perfino con un assassinio. Un democristiano davvero diverso, in fondo: se più nel bene o più nel male lo dirà la storia. Quando forse non interesserà più...
Feretro di Giulio Andreotti