IL MONDO DELLO SPORT, DEL GIORNALISMO E DELLA SOCIETÀ PIÙ IMPEGNATA HA RICORDATO IERI CANNAVÒ, LO STORICO «SIGNOR GAZZETTA»
valerioFabio Monti per il "Corriere della Sera"
Foto di Franco Cavassi per Dagospia
Perché un anno dopo la morte di Candido Cannavò (22 febbraio 2009), una bella fetta di mondo (sport, giornalismo, società più impegnata) si è ritrovata a ricordare lo storico direttore della Gazzetta con una partecipazione straordinaria (in tutti i sensi) nella sala Buzzati della sede della Rcs Quotidiani?
VALERIOÈ stata la domanda alla quale in tanti hanno cercato di dare una risposta, a cominciare da Carlo Verdelli, che oggi lascia la guida della Gazzetta (dopo quattro anni) ad Andrea Monti: «Non siamo qui a piangere la sua assenza, ma a celebrare la sua presenza».
E ancora. «Il suo entusiasmo era contagioso e senza fine» (Ferruccio de Bortoli); «In lui, c'erano competenza, passione, etica e solidarietà» (Luca di Montezemolo); «Il suo amore per lo sport era attenzione a valori etici che in parte si sono persi» (Franco Carraro); «Era un grande amico, che sapeva regalarmi pubblici rimproveri» (Massimo Moratti); «Era il grande direttore del giornale che leggo da quando avevo sei anni» (Adriano Galliani); «Era la guida sicura nei giorni più difficili» (Diego Della Valle); «Era un amico, un esempio e uno stimolo» (Giancarlo Abete).
SOLDINI ZENDRINIOppure: «Era un confessore laico, volteriano nel nome e nel modo di intendere la vita; lo avevo conosciuto il giorno dopo aver vinto l'oro a Roma '60 e con il quale sono sempre stato in contatto» (Livio Berruti); «Mi sentivo un po' la sua figlia adottiva ed è stato lui a convincermi ad andare avanti fino ai Giochi del 2012» (Josefa Idem);
SEVERGNINI«Il suo affetto e la sua attenzione mi hanno accompagnato fin dal giorno in cui l'ho conosciuto ad Atlanta '96» (Valentina Vezzali); «Non l'ho mai chiamato né per nome né per cognome. Per me è sempre stato il Direttore» (Francesco Moser); «La nostra era un'amicizia indistruttibile, durata 60 anni» (Edoardo Mangiarotti).
MURACosì la signora Franca Cannavò, che con Candido ha diviso la vita, dopo averlo conosciuto a Catania («quando l'ho visto la prima volta ho detto: io questo non me lo faccio scappare»), ha raccontato: «Non sono stupita nel vedere tanta gente qui; era inevitabile che questo accadesse per tutto quello che era lui», un uomo «travolgente nella sua voglia di vivere da vicino gli eventi con un entusiasmo fuori dal comune» (John Elkann).
SEVERGNINISi è parlato tanto e a ragione anche di un altro Cannavò, quello che, lasciata la direzione nel 2002, ma non la Gazzetta (ha scritto fino all'ultimo giorno la sua rubrica «Fatemi capire»), si è dedicato ai libri.
Non soltanto «La mia vita in rosa», ma anche «E li chiamano disabili» (emozionante l'esibizione dal vivo sul palco di Simona Atzori, ballerina priva delle braccia) e «Pretacci». Prima c'era stato «Libertà dietro alle sbarre», il racconto delle sue visite nel carcere milanese di San Vittore, che frequentava con una partecipazione del tutto insolita alle vicende umane di chi libero non era.
Nel nome del Direttore, è nata la «Fondazione Candido Cannavò per lo sport», voluta dalla famiglia, «perché- come ha ricordato il figlio Alessandro- incarna lo spirito di mio padre, la sua idea di sport e di valori da seminare nella società».
PERRICONE MARCHETTI MOSERProprio Alessandro ha curato «La vita e altri giochi di squadra», raccolta di articoli scritti dal '54 al 2009: Gianfelice Facchetti ha letto il racconto della volata olimpica di Berruti. In quel momento si è capito perché la sala Buzzati era piena. Come ha ricordato Roberto Milazzo, storico vicedirettore della Gazzetta, «quelli con Candido sono stati anni magnifici».