1. PAOLONE ZACCAGNINI AMARCORD: ‘’IO PIPERINO, ALLA RICERCA DEL PARADISO PEDESTRE” 2. ‘’SPENDERE TUTTO IN UNA NOTTE NELLO SCANTINATO DI VIA TAGLIAMENTO. DELIRIO FISICO PER SOTTRARSI ALLE PRESSIONI DI UNA SOCIETÀ "REGOLARE" FINO ALL'ANORESSIA” 3. 1965, "INGROTTARSI" AL PIPER NON NASCEVA SOLO DA UN BISOGNO DI RIBELLIONE MA PIUTTOSTO DA UN BISOGNO MISTICO, BIOLOGICO DI CALORE UMANO, DI "CAMARADERIE", DI FRATELLANZA, DI SOLIDARIETÀ. ECCOCI TUTTI IN PISTA; SPAZIO CHE DIVENTAVA ANTRO, GROTTA, RIFUGIO, GUSCIO, TERRA DI NESSUNO. IL PIPER CLUB SI TRASFORMAVA COSÌ IN UN "PARADISO PEDESTRE", FUORI DAL QUALE IL TEMPO, LA SOCIETÀ, IL DESTINO, POSSONO TENDERE I LORO LEGITTIMI AGGUATI E LA VITA PUÒ RITIRARE LE SUE PROMESSE

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  • 1. PAOLO ZACCAGNINI: IL PIPER? IO LO CONOSCEVO BENE
    Paolo Zaccagnini per Dagospia

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    Giancarlo Bornigia, il pacato volto del beat. ‘'Borniggia'', come lo chiamavamo noi "piperini". Noi "piperini" si fa per dire, perche' se venivi dal Trionfale, come il sottoscritto, o da San Lorenzo, come Roberto D'Agostino, o dalla Montagnola, come Renato Fiacchini in arte Zero, venivi sempre un po' snobbato. E quel ritolo te lo dovevi sudare. Parecchio.

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    Comunque, Borniggia, e scusi se continuo a chiamarla cosi', con due g, grazie. Ci ho mostrato la vita, i suoi riti, le sue gioie, i suoi dolori. Il Piper Club. Bornigia, accorto e astuto uomo d'affari, lo aveva aperto, in quello che sarebbe dovuto diventare un garage, a via Tagliamento, zona ricco-borghese a un passo dai Parioli.

    Davanti agli stupendi palazzi Coppede', belli ieri oggi domani, sempre. Lì il suo socio, Alberico Crocetta, aveva il suo ufficio. Alberico, capello mediamente lungo, sempre abbronzato, vestito sempre molto bene, tombeur des femmes ben noto. Borniggia era l'opposto, se Crocetta era la facciata lui era la macchina, pensante e funzionante, che porto' al successo mondiale questo grosso scantinato romano, dove venivano tutti, a suonare e farsi vedere.

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    Per tutti dico tutti, tipo una delle prime, indimenticabili fotomodelle, la filiforne afroamericana Donyale Luna, Talitha Getty, moglie superlativa e giovanissima di John Paul Getty, figlio del famoso petroliere Paul Getty, l'attrice francese Tina Aumont col suo fidanzato di allora, il figlio del pittore Balthus che abitava nella dependence del palazzo che ospita l'Accademia di Francia a Trinita' dei Monti, la svedese Ewa Aulin, Nicoletta Ramboni Machiavelli, essere superiore imparentata con Niccolo'.

    E Nicoletta Strambelli, eterea bellezza veneziana che prima ballava con noi e poi divenne Patty Pravo e ci fece girare tutti come bambole. Borniggia soprassedeva a tutto, vedeva tutto, si occupava di tutto, dalla cassa, dove sedeva la romana Lilly De Falco che era la sorella di Marcello De Falco, poi diventato Marcella, gay antelitteram dal quale dipendeva il nostro futuro: scendere giu' al Piper Club o aspettare, con Lilly e Marcello, ripetendo il mantra "a Marce' daje, famme scende'' o "li sordi tiij porto doppo".

    Mantra che cozzavano contro il muro granitico delle sorelle, pardon, della sorella e del fratello De Falco, romani dall'umanita' immensa. Come Giancarlo. Al quale, in tanti anni di Piper Club, non ho mai sentito alzare il tono di voce. Ti guardava con quei grossi occhi, ricordavano un po' quelli di Aldo Fabrizi, ti stava a sentire, forse, poi diceva "fallo scendere". Successo.

    Il che voleva dire che eri entrato in paradiso, al Piper Club. Paradiso? No, inferno, visto che dovevi scendere altre scale. A pensarci adesso, ora che non c'e' piu', di enormi artisti ne ha portati, tantissimi. A cominciare dagli italiani, tutti. Anche uno straordinario Lucio Dalla con il suo gruppo, Lucio Dalla & Gli Idoli.

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    O l'immaginifico Mario Schifano & Le Stelle, il gruppo del famoso pittore che proiettava superlativi light-shows che curava lui stesso. Quasi belii come quelli dei Pink Floyd, con Dave Gilmour bellissimo e giovanissimo e bramatissimo, mentre Syd Barrett, colpito durissimo nel cervello dall'Lsd, stava in disparte sul palco a mettersi lo shampoo secco nei capelli, l'irlandese Rory Gallagher con i suoi Taste, trio blues formidabile anche sentendolo oggi, ai primissimi Genesis con Peter Gabriel, ai Four Tops e i Temptations (in quel periodo lanciarono anche i 4 Kents che avevano la pelle nera, ma non la voce e le movenze).

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    Ecco Sly & The Family Stone, due settimane dopo che si erano esibiti sul palco di Woodstock e avevano infiammato mezzo milione di persone presenti col funk che dette vita ai vari Prince e Parliament, lo Spencer Davis Group con un quindicenne Steve Winwood alle tastiere.

    Roberto mi perdonera' ma il nostro arrivo in pelliccia, lui quella massiccia della madre e io quella minuscola e bianca e nera, di Elisabeth Taylor, l'attrice la indossava Roma mentre girava Cleopatra, che poi la regalo' a una mia carissima cugina inglese, sua segretaria, la quale la dono' poi a mia madre, piu' un paio di stivali di pelle che avevo acquistato a Londra ed erano misura 42, e io porto il 46, ripeto, il nostro arrivo fu clamoroso e da quella sera forse risollevammo le nostre fortune davanti ai pariolini, e parioline, che finora ci vedevano come giraffe affette da nanismo.

    Gente, le ragazze del Piper Club, e queste non le sceglieva Giancarlo che comunque credo non disdegnasse simili celestiali visioni. Mita Medici, di cui tutti eravamo innamorati, ma anche Anita Pallenberg, che poi avrebbe avuto due figli con Keith Richards dei Rolling Stones, la Zingara, noi la chiamavano cosi' perche' era romanaccia, selvaggia, simpatica e spiritosa con quel suo giocare costante sulla sua irresistibile bellezza, Daniela, Nicla, Anna, Paola Tedesco e tantissime, tantissime, tantissime altre.

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    Che, ribadisco e ripeto, avevano occhi, e altro, per i musicisti stranieri, per i belli e ricchi nostrani ma non ci vedevano proprio a me e Roberto. No, Roberto no, con Renato, allora quasi anoressico con le sue tutine colorate e un foltissimo cespuglio di capelli in testa, era un ballerino formidabile, quando ballavano soprattutto i pezzi rythm and blues della Motown, facevano il vuoto e attiravano cosi' queste dee beat.

    E l'occhiata sorniona di Bornigia. Che era sempre in giro a ispezionare e farsi venir idee che dire brillante è dir poco. Come quella del taglio della coda di capelli del cantante inglese, allora famosissimo, P.J.Proby, ripresa da tutti i giornali perche' allora per i capelli lunghi si rischiava molto - lo scrivente venne accolto con un fitto lancio di mattoni forti in quel di Forcella, a Napoli.

    Da Giancarlo mai una battuta, un rimbrotto. Magari un sorriso, col capo dondolante. Mai nulla di piu'. Quei giovani con i vestiti strani e i capelli lunghi, ribattezzati "capelloni", erano il suo lavoro, il suo modo di essere, il suo mondo. E anche il nostro. Borniggia, grazie di averci accolti come suoi cittadini. Buon riposo.

    2. QUEI GIOVANI RIBELLI A TEMPO DI ROCK
    Antonio Lodetti per Il Giornale

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    Mai bere, mai fumare, mai drogarsi. Perché «se vuoi gestire un locale devi essere sveglio, pronto a risolvere subito i problemi più imprevisti». Questo il motto di Giancarlo Bornigia, ex venditore di macchine e re delle notti romane che fondò il mitico Piper.
    Bornigia se n'è andato ieri, a 83 anni, dopo aver cambiato il costume e le regole del divertimento giovanile degli anni '60.

    Insieme a Alberigo Crocetta, ex marò della Decima MAS del principe Borghese, avvocato ma soprattutto appassionato di musica, e all'importatore di carne Alessandro Diotallevi mise in piedi un'isola felice in via Tagliamento a Roma, di fronte ai sapori liberty del quartiere Coppedè. Scendere quella rampa di scale era come entrare in un altro mondo da cui, come ricorda Shel Shapiro dei Rokes: «resistere contro il mondo degli adulti».

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    A Roma per ascoltare musica dal vivo e ballare c'era solo il Club 184 ma era un buco per carbonari, lì al Piper si facevano le cose in grande. L'inaugurazione, il 17 febbraio 1965, fu la festa del beat italiano che guardava alla Swingin' London cercando di emanciparsi. Sul palco i supercapelloni britannici Rokes con le loro avveniristiche chitarre a freccia e L'Equipe 84 (definiti dai Beatles «la nostra copia italiana»), in pista, ricca di cubi e futuristiche pedane luminose, le ragazze con le minigonne comprate al Piper Market (e indossate lontano dalla vista dei genitori), le camicie ad un solo bottone, i piedi scalzi come una certa Patty Pravo, tornata precipitosamente da Londra con un gruppo di amici per diventare «la ragazza del Piper», titolo conteso a Mita Medici che nel 1966 vinse il concorso Miss Teenager Italiana proprio nel club.

    Come omaggio alla pop art, sul muro del palco campeggiavano due opere di Mario Schifano e Tano Festa, più una strana scultura di ferro e plastica, e in seguito anche un quadro di Andy Warhol. Al termine dei concerti il primo dj del Piper, Peppe Farnetti, metteva i dischi lasciando che i ragazzi «ye ye» si scatenassero nello shake o nel twist.

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    Grazie alle pubbliche relazioni di Alberto Marozzi, giovane appassionato di musica poi arruolato dalla Rai, alle conoscenze di Crocetta e alle capacità impenditoriali di Bornigia il Piper divenne il club più «in» d'Italia, dove ogni sera si ascoltavano dai Giganti a Renato Zero, dai New Dada a Rita Pavone passando per il re dei mods Ricky Shayne, scoperto da Crocetta così come (in un club di Soho) i Primitives di Mal.

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    Da Rita Pavone in versione beat a Patrick Samson (quello di Soli si muore), dai Rokketti alle Facce di Bronzo, da Nino Ferrer a Gabriella Ferri, tutti sono saliti sul palco del Piper portando il loro contributo alla «beat generation italiana». E non solo, perché, se tra il pubblico trovavi Brigitte Bardot con Gunter Sachs, o Marlon Brando (costretto a scappare dall'assalto dei fotografi), o Jane Fonda o Anna Magnani, sul palco c'è stata la celebre esibizione italiana di Jimi Hendrix, il concerto dei Who, quello degli allora semisconosciuti Pink Floyd con Syd Barrett che fecero quattro spettacoli in due giorni tra pomeriggi e sere, dei Byrds di Roger McGuinn, dei Ten Years After di Alvin Lee l'eroe di Woodstock con I'm Goin' Home, dei Procol Harum ma anche quelli più nobili di Duke Ellington e Louis Armstrong.

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    Al Piper approdò persino Mick Jagger il giorno che quel volpone di Bornigia portò, per primo, i Rolling Stones in Italia al Palasport di Roma davanti a 15mila persone. Peccato che beccò una multa salatissima (5 milioni di lire), ricordava in un'intervista, «perché i fan, almeno i più imbecilli, avevano sfasciato tutti i bagni della struttura». Ricordi di una stagione irripetibile, che il Piper ha cadenzato giorno per giorno dal 1965 al 1969 con concerti e serate irripetibili.

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    «In quella cantina poteva succedere di tutto - ricordava Bornigia -; accadeva che i ballerini afroamericani che lavoravano alla Rai insegnassero passi di danza ai ragazzi per divertimento, e che questi si trovassero poi a ballare con Rita Pavone nello show Stasera Rita». Poi, tra il '69 e il '70 il Piper divenne una vera discoteca, e i concerti merce rara. La musica si consegnò nelle mani della «febbre del sabato sera» e dei mega discoclub ma il Piper ha ripreso nel nuovo secolo con spettacoli di artisti come Babyshambles e Tiromancino, e continua a vivere di luce propria (Renato Zero ha lanciato qui il suo nuovo cd) senza nascondere un pizzico di nostalgia dei tempi d'oro.

     

     

     

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