1. DAGOREPORT: IL RETROSCALA
1. “Pulsino, pulsino” (traduzione: “Pulcino, pulcino”). Abbiamo scoperto come Alexander Pereira chiama la bella moglie, la 26enne brasiliana Daniela Weisser De Sosa. “Dai pulsino, vieni”. L’asburgico Alexander l’aspetta impaziente nel foyer prima che arrivino le (poche) autorità. Lei, studentessa all’Istituto Marangoni di fashion design, l’abito se l’è tagliato da sé. Arriva senza voce per il raffreddore, ma non deve cantare. Basta, giustamente, “che si faccia vedere”. “Mein shatz”, le dice. Sono la risposta contemporanea al tardofemminismo.
2. Adieu. Inconsolabile, la vedova Natalia Aspesi proprio non se l’è sentita di continuare con le articolesse dopo la dipartita del suo amato Stéphane (Lissner). “Sono qui come vecchia signora”. Collegamento Rai e basta. Proprio non se la sente. Penna appesa al chiodo.
3. Peter Mattei, un grande! Canta ed esce dalla Scala in camicia e giacchetta per andare alla cena alla Società del Giardino. Ma i cantanti non dovrebbero stare coperti?
4. “Il passaporto non conta”, dice Barenboim, per stabilire l’identità. Ci credo bene: lui ne ha quattro o cinque. Di famiglia ebrea nato in Argentina, solidale con i palestinesi, tedesco d’adozione, lavoratore (anche) in Italia ecc ecc. Così è se vi piace.
5. Gabriella Dompé guida la rivolta dei ricchi nel giorno della rivolta dei poveri (Fidelio, dentro, e antagonisti, fuori): altro che ricchi che vogliono farsi vedere, “noi ci mettiamo la faccia a venire qui, era più comodo stare a casa”! Fuori, però, c’è chi ci mette anche il culo. Il lato A e il lato B della rivoluzione.
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6. La coerenza di Inge Feltrinelli è superiore a tutto e tutti. Abito sgargiante, “perché non mi piace il nero”. La serata? “Un po’ grigia, mi piace, ci vuole un po’ di grigiore”.
7. E’ più addobbato l’albero di Natale nel foyer o Valeria Marini che si fa fotografare davanti? L’interrogativo dura diversi minuti, tano che la Marini finisce per non entrare in tempo in sala.
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8. Corrado Passera e signora sbagliano posto e sono costretti ad alzarsi quando arrivano i legittimi proprietari
9. Starace e Fulvio Conti si evitano accuratamente per non salutarsi.
10. La Christine Lagarde non viene fatta accomodare nel palco reale ma in platea
11. Franceschini, alla sua prima Prima, non sa dov'è il palco reale e chiede a Enrico Cisnetto, veterano della Scala, di accompagnarlo.
12. Pietro Grasso durante l'inno di Mameli invece di stare sull'attenti o di mettersi la mano sul cuore si appoggia alla balaustra.
13. Il dg di Bankitalia Salvatore Rossi è l'unico vip senza smoking.
2. TUTTO QUELLO CHE A ME NON È PIACIUTO
Paolo Isotta per Corriere della Sera
Il primo errore di grammatica del maestro Daniel Barenboim, direttore del Fidelio inaugurale alla Scala, è stato quello di aver aperto l’Opera con la grandiosa Ouverture Leonora n. 2 , che ne esaurisce del tutto il percorso drammatico e che Beethoven aveva espunta. Il Barenboim crede di saperla più lunga dell’Autore; ed ecco perché la mezza cultura è peggiore della completa ignoranza.
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Il secondo è stato quello di aver scelto la regia di una Deborah Warner. Fino a metà del II atto essa mi pareva povera per avvilire in una sporca quotidianità la terribilità tragica; ma quando all’ultimo quadro la fabbrica dismessa viene occupata da un popolo di straccioni agitanti stracci rossi, ci si rende conto che oggi la migliore regia straniera non vale la peggiore italiana.
Per il resto Barenboim dirige con correttezza, tempi troppo lenti e concerta malissimo il coro. Egli ha prescelto quale Leonora una Anja Kampe che un tempo si sarebbe detto al di sotto di una comprimaria: sconosce la grande declamazione tragica, ha una vocina stridula all’acuto, inesistente al centro, ventrale al grave.
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Ridicolo è il Pizarro di Falk Struckmann, che parla e non canta e la voce gli balla il tango. Klaus Florian Vogt, Florestano, è un tenore caratterista, adatto per Mime, invece che un tenore eroico.
Modesto il don Fernando di Peter Mattei. Ottimi il Rocco di Kwangchul Youn, la Marcellina di Mojca Erdmann, il Jaquino di Florian Hoffmann, dotato di peso tenorile superiore a quello di Florestano: le sole scelte giuste del maestro Barenboim.
Chi ha tanto ammirato la recita odierna tenga conto che io sono al mio quarantesimo 7 dicembre.
3. MARCIA DA QUARTO STATO E TONI CUPI MA LO STILE SOTTOTONO NON PIACE A TUTTI - L’ARCHITETTO BOTTA: «LA SCENA HA LA FORZA DELL’IMMOBILITÀ». BARATTA: «È UN PO’ ASFITTICA»
Pierluigi Panza per Corriere della Sera
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L’omaggio della regista Deborah Warner a Milano sta nel quadro finale. La liberazione dei prigionieri che avanzano sul palco ricorda «Il Quarto Stato» di Pellizza da Volpedo, conservato nel Museo del Novecento. La massa di Pellizza è il rimando più vicino a questa «prima» caratterizzata dalle manifestazioni dei lavoratori in via Case rotte e da Anja Kampe che striscia in una fabbrica distrutta.
«Proponiamo una cornice dei nostri giorni per riflettere sulle atrocità di sempre», aveva detto la Warner. E così, ciò che in Beethoven era una prigione andalusa è diventata una fabbrica in rovina, testimonianza della fine del lavoro tutelato, ma anche di prigioni sovraffollate e di ingiuste condanne.
Ne è venuta fuori così una «prima» più di lotta che di governo. Nella passerella 2014 solo il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro Franceschini e il sindaco Pisapia hanno preso posto sul Palco Reale. Per loro, l’opera è stata «eccezionale» e le proteste «legittime» ma pericolose per «l’immagine del Paese» (Franceschini) e per il rischio che «sfocino nella violenza» (Pisapia).
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Ma questa messa in scena «di viva attualità politica» (Roberto Maroni), è piaciuta? Il rifacitore della Scala, Mario Botta, parla di una scena che ha la «forza dell’immobilità», l’avvocato Cesare Rimini di «opera riuscita», lo scrittore Alberto Arbasino approva la messa in scena e Roberto Bolle parla di «forte impatto». Per Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, l’opera è riuscita grazie al coro della Scala mentre per il presidente del Fondo Monetario, Christine Lagarde (invitata da Mario Monti), «tutto è magnifico».
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Proprio tutto? Beh, non è che bidoni, asse da stiro, thermos di plastica, Mocio Vileda, calendario della pin-up abbiano convinto tutti. Forse, non del tutto i silenziosi banchieri in platea, tra i quali il presidente del Consiglio di Intesa Giovanni Bazoli, l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni e il leader di Italia Unica Corrado Passera.
Di certo, la messa in scena non convince del tutto il presidente della Biennale, Paolo Baratta (primo atto «un po’ asfittico»), e tantomeno Chicco Testa, che dice di «non capirne il senso» e reclama più opere italiane. Ma la Warner ha superato l’esame del pubblico. Tra gli altri personaggi c’è il regista (della Juventus) Andrea Pirlo, c’è la sceneggiatrice Sabina Negri, ex moglie di Roberto Calderoli, che si è fatta fotografare con le mani incatenate, c’è Valeriona Marini che, poco vestita, assicura «si vestirebbe da uomo per salvare un innamorato».
Nel complesso una serata ispirata al grigio. Tanto che l’editrice Inge Feltrinelli tira fuori un paradosso: «Questa serata mi piace proprio perché è sottotono. È tutto grigio, ma un po’ di grigio va benissimo». Di colorato c’è l’albero di Natale nel foyer. «Una mia bis-bisnonna fu la prima a portare a Vienna un quadro con raffigurato l’albero di Natale — racconta il sovrintendente Alexander Pereira —, per questo ho voluto realizzarlo». Un po’ di mitologia familiare fa bene nell’epoca della facile dimenticanza.
4. LA SIGNORA PEREIRA SFOGGIA UN ABITO CON STRASCICO CUCITO IN CINQUE GIORNI: «L’HO FATTO IO»
Annachiara Sacchi per Corriere della Sera
Sorridenti, a testa alta. Entrano nel foyer con l’orgoglio di chi dice «ci siamo». Nonostante le (tante) defezioni e il clima teso. Vestiti di abiti preziosi ma sobri, tutte le sfumature di bianco e nero. Nella Prima del Fidelio e degli «assenti» — dal premier ai grandi nomi internazionali — sfila un parterre che celebra Beethoven e si preoccupa di non eccedere (anche con le pellicce, insolitamente corte). «Siamo qui per sostenere Milano e l’Italia. Volevamo esserci».
il disegno (inedito, nessuno lo ha visto) di mano di pereira fatto per i lavoratori della scala e appeso in bacheca all’ingresso dell’entrata dei lavoratori. img 20141207 00481
Velluto e pizzo nero. Gioielli di famiglia. Scollature mai esagerate, a parte le solite eccezioni. Tra i primi ad arrivare, in abito bianco cucito in cinque giorni («da me») è la brasiliana Daniela Weisser De Sosa, giovane moglie del sovrintendente Alexander Pereira e studentessa di fashion design a Milano. «Agitata? Sì, ma per mio marito». Altra bellissima è la top model Eva Riccobono, che ha scelto un abito nero Armani Privé e non perde d’occhio il compagno Matteo Ceccarini.
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Altra coppia: Corrado Passera e Giovanna Salza con abito romantico «perché così è il periodo che stiamo vivendo».
Seduta in platea ed elegantissima, la numero uno del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, in grigio. Stessi toni per Cinzia Sasso, moglie del sindaco Giuliano Pisapia (in Armani). Le signore in bianco: Carla Fracci, il chirurgo Dvora Ancona. Black and white: Elsa Monti, Alessandra Artom (entrambe in Curiel), Livia Pomodoro: «I problemi — dice — non si sconfiggono con la paura, ma con l’ascolto».
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Stesso concetto — ma l’abito è un Cavalli grigio — per Gabriella Magnoni Dompé: «Noi ci mettiamo la faccia, è più difficile essere qui che stare a casa a criticare». Le dark lady: Claudia Buccellati, la stilista Raffaella Curiel («il momento richiede generosità e coraggio»), Marinella di Capua (con pelliccia rosa), Laura Teso, Diana Bracco. Certo, qualche deroga c’è. Dal verde di Daniela Javarone al bronzo di Sonia Raule, fino al mantello colorato di Inge Feltrinelli: «Io odio il nero».
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