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Francesco Persili per Dagospia
«No, non parlo». A guardarlo girare tra gli scaffali della libreria Feltrinelli di via Appia Nuova, con lo zainone sulle spalle, il volto corrucciato e nessuna voglia di rispondere alle domande, Alessandro Profumo, sembra essere più un mesto correntista che il presidente di Mps costretto qualche minuto dopo sulla difensiva durante la presentazione del libro di Gianni Dragoni (Banchieri e compari, edito da Chiarelettere).
Stretta di mano Santoro Profumo Santoro Michele«Mi fa impressione che si faccia campagna elettorale sulla vicenda del Monte dei Paschi». Il "groviglio armonioso" tra il banchiere "superstar" e Santoro viene sciolto quando "Michele, chi?" interrompe il ron ron sul rapporto «complesso» tra economia e finanza.
Profumo fa giusto in tempo a finire di distinguere tra «meccanismi di controllo e comportamenti personali», con l'inevitabile riferimento a Mussari e l'aggrottar di ciglia di Arrogance che Santoro lo trafigge chiedendogli di Antonveneta e dei dieci miliardi pagati per l'acquisto da parte di Mps dell'istituto padovano.
Non vuole sembrare il solito «banchiere antipatico», e reticente, Profumo che, tuttavia, qualcosa concede. «Antonveneta è costata tanto, il prezzo certamente alto e pagato in contanti ha fatto uscire capitale dal sistema italiano. Ma non stava a Bankitalia dire che il prezzo fosse alto durante la negoziazione ma dire se ci fosse la capacità di sopportare quell'onere patrimoniale e Mps aveva presentato un piano di ricapitalizzazione». Se c'è stato «un errore di valutazione» - rimarca l'ex ad di Unicredit - è stato fatto da Mps: «Antonveneta era stata offerta anche a noi di Unicredit ma a quel prezzo abbiamo detto no».
Santoro Michele Santoro e ProfumoLa vicenda dei derivati e delle operazioni spericolate che si riferiscono ai prodotti "Alexandria" e "Santorini", rischia di inghiottire l'istituto di Rocca Salimbeni e le stesse autorità che in questi anni avrebbero dovuto vigilare. Su Antonveneta e quanto accadde all'indomani dell'acquisizione sono in corso indagini da parte della magistratura. Profumo, che immagina per il futuro una supervisione unica sotto la guida della Bce, esce dall'arrocco su ciò che è accaduto solo per minacciare: «se ci fosse qualcosa di men che trasparente andremo dai colpevoli per chiedere i soldi indietro e così risolveremo i nostri problemi».
Si fa riferimento all'inchiesta di Report da cui lo scandalo ebbe inizio e alla scoperta - raccontata da Il Fatto quotidiano - nell'ufficio di Vigni del derivato risalente al 2009, e il presidente di Mps spiega che «la banca si è rivolta subito alle autorità competenti». Il discorso scivola sui «Monti bond» e Profumo confida di riuscire a rimborsare il prestito temporaneo del Tesoro per evitare così la nazionalizzazione.
Santoro e Profumo Santoro e DragoniA fronte della prevista diminuzione dei ricavi, Arrogance è convinto che il piano lacrime e sangue, il taglio dei costi con la riduzione del personale, delle sponsorizzazioni e delle filiali, «consentirà alla banca di farcela da sola a rimborsare il prestito del governo».
Chiusura netta, invece, sulla proposta di Bersani di affidare poteri commissariali agli attuali vertici di Mps: «Penso che la banca non vada commissariata e non sarà commissariata». Profumo continua cercare, invece, un socio italiano o straniero «perbene» per l'aumento di capitale di un miliardo di euro. «Ma ad oggi non c'è nessuno all'orizzonte....».
Cerca di ridurre il peso della Fondazione e, quindi, favorire una maggiore indipendenza dalla politica, il banchiere che si è messo in fila per votare alle primarie del Pd (la moglie Sabina Ratti era candidata con la Bindi) favorevole oggi alla patrimoniale sulle grandi ricchezze. Poteva mancare l'agenda Profumo? Certamente, no. Arrogance scodella la sua ricetta che concilia «competitività e solidarietà».
Santoro Dragoni e ProfumoNientemeno. Per restituire «una prospettiva al Paese», dunque, si dovrà procedere, secondo l'ex ad di Unicredit, ad una riduzione della spesa pubblica («sanità, pensioni e istruzione pur restando pubbliche devono essere gestite in modo diverso») e a politiche di redistribuzione attraverso lo strumento fiscale. Detto da chi è rinviato a giudizio per frode fiscale («operazioni che ritenevo e ritengo corrette»...) non è male.
Arrogance tiene fede al suo soprannome (che detesta) quando si parla della sua buonuscita da Unicredit di 40 milioni di euro («è stato applicato solo il contratto»...) ma, poi, preferisce non rispondere alle domande più spinose sul caso Montepaschi. Come quando gli chiediamo cosa ha fatto al suo insediamento, quando ha preso visione dei carteggi con Bankitalia e del verbale del 9 novembre 2010. «Lasciatemi sopravvivere». Zainetto in spalla e nessuna voglia di parlare di verbali e derivati non correttamente contabilizzati: «Vorrei solo andare a mangiare una pizza con la mia famiglia...»