Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Arianna Di Cori per la Repubblica – Roma
Alla fine ne resterà solo una, anzi, nessuna. Che siano i messaggi in bottiglia di Gianfranco Baruchello, il mare di caramelle azzurre di Felix Gonzalez-Torres, la cartoline d' artista di Claire Fontaine o di Felice Levini, i poster di Maurizio Cattelan, i confetti e le spille di Luigi Ontani, i disegni firmati e numerati di Cesare Pietroiusti - e si può continuare ancora molto a lungo perché di artisti ce ne sono 89 - insomma, tutte le opere da oggi esposte nella mostra "Take Me (I' m yours)" a Villa Medici non resteranno a lungo al loro posto.
luigi ontani eloisa reverie vezzosi
Scompariranno, si diffonderanno, arrederanno case e magari qualche fortunato ne riceverà una al proprio compleanno. Il concetto della più bella collettiva vista a Roma da un bel po' di tempo (e che arriva dopo essere stata all' Hangar Bicocca di Milano, grazie alla direttrice dell' Accademia di Francia, Muriel Mayette-Holtz, per questa boccata d' aria fresca) è semplice e geniale.
Risvegliando - nel caso si fosse malauguratamente assopito - il proprio bambino interiore, in mostra si può fare tutto quello che normalmente è vietato. Toccare, interagire, strappare, prendere e mettere in borsa (non a caso all' entrata viene consegnata una busta di carta per fare letteralmente la spesa). Si può anche disegnare sui muri (l' opera 404 del cinese Aaajiao), fare un ritratto a Patrizio Di Massimo vestito in armatura, farsi fare un ritratto in stile cartoon nell' atelier Balthus dal disegnatore Paolo Orlandi che presta la mano a Francesco Vezzoli, e nel caso servissero pane, vino o caffè, ci ha pensato Artur Barrio che mette a disposizione, fino ad esaurimento scorte, i beni di prima necessità dell' uomo contemporaneo.
Il format di "Take me (I' m yours)" - curata da Christian Boltanski (che merita un paragrafo a parte), Hans Ulrich Obrist e Chiara Parisi - non è nuovo. È stato concepito nel 1995 da Boltanski e Obrist per la Serpentine Gallery di Londra. Poi, una pausa di 20 anni, e finalmente il ritorno in grande stile prima alla Monnaie de Paris, poi alla Kunstalle Charlottenborg di Copenhagen, al Jewish Museum di New York, alla Bienalsur (Biennale d' arte contemporanea dell' America del Sud) fino alle due tappe italiane. E poi, chissà.
«Questa è una mostra che ha una vita potenzialmente infinita - spiega Obrist - si addormenta per un po' e si risveglia, in un nuovo luogo, arricchendosi di nuovi artisti strada facendo. È l' esatto opposto dei grandi franchising, non si mette in scatola per poi essere trasferita». È una mostra "porosa", generosa, dove l' unica regola è quella del gioco, in osmosi con il luogo, ospitata in 17 ambienti (la più grande di sempre a Villa Medici) compresi i sotterranei, aperti per la prima volta. Oscuri e umidi, costituiscono un' esperienza sensoriale a parte, resa ancora più forte dalle suggestioni olfattive di Carsten Höller.
E siccome fa piuttosto fresco nel ventre della villa, si consiglia vivamente di arraffare una giacca di jeans, una camicia, una felpa, uno spolverino tra le migliaia di capi distesi sullo scalone da Boltanski, una via di mezzo tra il mercato di Porta Portese e la Venere degli stracci di Pistoletto. Unica pecca: qualche uomo lamenta che il banco dell' usato d' artista sia più fornito di abiti da donna.
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