Francesco Merlo per “la Repubblica”
Vorrebbe “mettere i baffi” a Frank Sinatra e persino a Yves Montand come Duchamp li mise alla Gioconda. E invece a Caracalla Bob Dylan è riuscito a “togliere i baffi” a Bob Dylan quando ha passato la sua famosa “carta vetrata” su Full moon and empty arms .
E poi su Autumn leaves ( Les feuilles mortes) due capolavori della malinconia da cantante confidenziale, dolcezze da “luna piena” and “every kiss”, roba da “un’altra lacrima un altro pianto” e My darling, I miss you . Insomma un Bob Dylan “anema e core”, ma feroce nello smontare il mito di se stesso.
E infatti mai Roma ha risposto con l’emozione a quell’alieno monofonico che “si sbob-dylanizzava” e sul palco si mascherava più del solito. Al contrario, arrivava come un’onda anomala l’applauso incongruo ogni volta che usava l’armonica a bocca. Nelle note dilatate e tristi il pubblico ritrovava infatti il sapore dell’origine, il suono di un altro modo di stare al mondo. E, trascinati dai reduci, da quelli che si fecero le canne con Mr. Tambourine man, anche i romani del “che ce frega” e del “m’arimbarza” facevano clap clap all’epoca del “vietato vietare” e delle canzoni di strada, all’utopia del mondo al contrario.
Cercava insomma il codice Dylan questa Roma d’estate che, quando si fa sera a Caracalla - provate ad andarci - smette di essere la mostruosa mafia-capitale in cui tutti ci siamo smarriti e torna il luogo più benigno e più bello del mondo. E lunedì, forse perché in contemporanea c’era la festa di Pietro e Paolo, i santi di Roma, con i fuochi e i fiori di Castel Sant’Angelo, per miracolo i soliti vip non erano venuti.
E nella stracolma Caracalla non abbondavano neppure i semivip. Certamente con l’idea di proteggerli, il sovrintendente li ha sepolti nella buca dell’orchestra. C’erano ovviamente gli sponsor e tra questi il nababbo malese Frencis Yeoh che all’Opera ha donato, come il signor Bonaventura del fumetto, un milione di euro. Accanto aveva la bellissima fidanzata italo inglese Carly Paoli, mezzosoprano, e attorno tante signore, tra le quali l’ex miss Malesia.
A capo dei reduci del potere politico c’era Gianni Letta e a capo dei reduci del potere del rock c’era Gianni Minà. I reduci nei concerti dei vecchiarelli del rock sono i nostalgici. In genere esprimono ghigni, sorrisi, rancori. Il loro ritmo è il “come eravamo”. Dylan li ha sempre spiazzati e ieri quando ha cantato
Blowin’ in the wind solo a metà i reduci se ne sono accorti. Quella canzone è stata l’inno di una certa idea di libertà. Ma Dylan la deforma. A Caracalla l’ha eseguita alla Frank Sinatra, che è come il Tantum Ergo a ritmo di samba o il Va Pensiero deturpato della Lega.
Fortunatamente la Roma degli “ahò” e di “’sti cazzi” ha mandato all’aria anche quell’altra ossessione che Dylan impone ai suoi concerti, il divieto assoluto di telecamere e foto. Roma, forse perché è antica, si è ribellata ai gorilla - «a stronzi ndo’ annate?» che il teatro aveva ingaggiato per difendere la Youth di Dylan.
All’inizio per ogni telefonino spento se ne accendevano altri due. Poi sono cominciati i vaffa più seri e, quando infine un gorilla ci ha provato con le mani, la rivolta della volgarità e della tecnologia è diventata inarrestabile: «vattela a pijà ‘nder c…». Sino all’avanzata dei telefonini accesi sotto il palco. Solo Roma è riuscita a mandare su YouTube le immagini di questo tour. Il Tg1 ha piratato con il telefonino. Anche la foto di questa pagina è rubata, come i baci di Truffaut.
Ci sono artisti che, pur di non mostrarsi, si negano alla folla, come la nostra Mina per esempio. Greta Garbo sparì. Bob Dylan, per non esporre lo strazio che gli pare la vecchiaia, si nasconde sotto un cappellaccio, smorza le luci, elimina lo schermo gigante, si nega ai primi piani, somiglia ai Ginger e Fred del film di Fellini, dove l’inchino era sostenuto dal bastone invisibile, il tip tap diventava un inciampo, le rughe erano spianate dai cerotti e dal campo lungo. Ancora più geniale, Bob Dylan si traveste da Frank Sinatra.
Ovviamente a Caracalla solo gli attempati sapevano che l’affascinante voce sporca e roca non è fatta per le morbidezze della seduzione e che la bruttezza di Dylan è bella nell’uragano ( Hurricane ), e che sono armoniche le sue disarmonie vocali solo quando bussano alle porte del paradiso. In fondo anche la rigorosa mancanza di gusto e la scontrosità lo hanno reso poeta. Mai però la goffaggine dei movimenti era stata goffaggine di sentimenti. I giovani, che a Caracalla erano una minoranza, accettavano l’impaccio e la mancanza di grazia come attributi del mito, di una vecchia idea dell’America, di una stella morta che fu luminosissima.
Dylan ha rifiutato di visitare Caracalla. Verso le 17 è arrivato a bordo del suo mostro a sei ruote, un enorme camper quasi nero che è la sua casa: doppio salone e tripli servizi. L’ ha posteggiato dietro al palco e si è chiuso nel camper e in se stesso. Dopo, è subito ripartito. Stasera canterà a Lucca dove il pubblico sarà riscaldato da Francesco De Gregori, che è un nostro Bob Dylan già sentimentale e non ha bisogno di togliersi i baffi. Pochi sanno che Engels scrisse una canzone sui baffi: «I filistei rifuggono il peso del pelo / radendosi la faccia pulita come uno specchio… / Lunga vita ad ogni cristiano / che porti i baffi come un uomo».