Alessandra Farkas per il \"Corriere della Sera\"
Esercizi militari davanti allarena dove suona Dylan«The Times They Are Not a-Changin\'» , i tempi non stanno cambiando, titola polemico il Financial Times sotto una foto di Bob Dylan in cappello da cowboy sul palcoscenico dello Stadio dei Lavoratori a Pechino. «Vergognati», incalza la storica organizzazione pro-diritti umani Human Rights Watch. Altrettanto caustico Sean Wilentz, docente a Princeton e massimo dylanologo vivente, secondo cui i censori comunisti si sarebbero prodigati «per tenere le masse cinesi alla larga da un\'icona che non esiste più da ormai 40 anni» .
La tempesta scatenata in America dalla prima tournée cinese- censurata dal regime - di Dylan non accenna a placarsi. In un articolo di fuoco intitolato «Blowin\' in the Idiot Wind» , ieri è toccato a Maureen Dowd, una delle penne più graffianti del New York Times, attaccare il leggendario menestrello le cui canzoni di protesta sono state la colonna sonora di innumerevoli piazze e rivoluzioni.
Bob Dylan scambiato per Willie Nelson«Dylan è riuscito nell\'impossibile: conquistare un nuovo record nell\'olimpo creativo dei venduti» , ironizza la Dowd, secondo cui la docile autocensura di Dylan in Cina «è peggio di Beyoncé, Mariah Carey e Usher che incassano milioni per esibirsi di fronte alla famiglia Gheddafi. Peggio persino di Elton John che intasca una fortuna per cantare al matrimonio dell\'anti-gay Rush Limbaugh» .
Il Dylan che a 22 anni abbandonò l\'Ed Sullivan Show quando la CBS gli impedì di cantare «Talkin\' John Birch Paranoid Blues» non ha fatto una piega di fronte al diktat cinese: purgare dalla scaletta «Blowin\' in the Wind» e «The Times They Are a-Changin\'» . «Non sarebbero state un\'adeguata colonna sonora per i 2mila apparatchik cinesi che si trovavano tra il pubblico per una pausa di relax dopo la repressione», chiosa la Dowd. La sua indignazione sembra però tardiva.
Bob Dylan e Willie NelsonNella sua autobiografia Chronicles, Dylan aveva ammonito i fan di «non essere interessato al ruolo di cantore anti-establishment» . «Avevo ben poco in comune e conoscevo ancora meno la generazione di cui avrei dovuto essere la voce - spiega il cantante - Qualunque cosa fosse la controcultura, ne avevo abbastanza» . Ma alla vigilia del suo 70 ° compleanno, mentre la democrazia che si sta svegliando in Nord Africa e Medio Oriente continua ad additarlo come un eroe, resta difficile credergli.
beyonce knowles24
DYLAN IN VIETNAM - LA SFIDA DEL POETA NELLA EX SAIGON I CLASSICI DEGLI ANNI ´60...
Gino Castaldo per \"la Repubblica\"
Ci sono voluti decenni ma alla fine il piccolo paese che ha ingoiato l´America nella sua giungla e l´ha rispedita a casa sconfitta e dilaniata, ha accolto il bardo dei bardi Bob Dylan, il pifferaio che più di ogni altro artista smosse la coscienza del mondo occidentale in favore del popolo vietnamita.
MUAMMAR EL GHEDDAFIE lui? Niente, neanche una parola, non un messaggio, neanche un \"ciao Saigon!\" per compiacere la folla entusiasta che si è radunata nel verde campus della Rmit University, un variopinto pubblico, circa ottomila persone, fatto di giovani studenti, famiglie, stranieri, qualche acciaccato reduce con bandana e capelli bianchi. Figurarsi un proclama, come molti avrebbero voluto nelle due date a Pechino e Shangai (dove si è esibito il 6 e l´8), e magari anche a Ho Chi Minh City, dove il governo socialista non ama la dissidenza e ha chiesto moderazione e nessun pezzo \"sovversivo\".
Ma c´è davvero bisogno di censurare Dylan, più di quanto non si sia censurato da solo? Dylan parla a modo suo, come ha sempre fatto, e lo fa attraverso le parole di Gonna change my way of thinking, il pezzo d´apertura, con un verso, \"blood and water flowing through the land\", che sembra fatto apposta per questo paese pieno d´acqua, di fiumi che ancora portano il ricordo del sangue versato.
E lo ribadisce con quel gioiellino antico che è It ain´t me babe, per quanto massacrato con un´interpretazione che è sembrata più che altro un ruvido e sgrammaticato colpo di tosse, lo dice chiaramente: \"non sono quello che stai cercando\", come cantava sbeffeggiante ai tempi d´oro a tutti quelli che cercavano di imprigionarlo in un ruolo. Anche in Vietnam parla per metafore, arringa la folla con voce burbera cantando Ballad of thin man, dove manda a quel paese tutti i Mr.Jones che pretendono di spiegare e non capiscono quello che davvero sta succedendo.
La prima volta in Vietnam, così com´è stata la prima volta in Cina, poco prima di compiere settant´anni (il 24 maggio) ed esattamente cinquant´anni dopo il suo folgorante debutto nei localini del Greenwich Village, e il Vietnam lo ha accolto con calore, con migliaia di persone osannanti che hanno sfidato lo smog afoso che avvolge la città, dove pochi manifesti col volto sorridente e mefistofelico del Dylan di oggi invitavano gli abitanti di Ho Chi Minh City a celebrare il maestro.
La Sede del New York TimesE ci sono molti giovani, risultato lusinghiero considerando che la gran parte della popolazione vietnamita è nata dopo la guerra, e tra i ragazzi vanno di moda i teen-idol come i Backstreet boys, per non parlare della passione divorante per i karaoke che sono ad ogni angolo di strada. Enigmatico e sornione Dylan si è presentato in nero, con un cappello bianco a tese rigide e ha proposto diciotto pezzi, tra cui una insolitamente ben cantata A simple twist of fate, l´ondeggiante imprevedibilità del destino, e poi il classico pacifista A hard rain a-gonna fall, applauditissima, che in fondo è una versione più profonda e impegnativa di Blowin in the wind, se è questo il genere di pezzi che il regime temeva, e poi Like a rolling stone, Highway 61, All along the watchtower, per parlare di classici, alternati a cose più recenti suonate a ritmi ferocemente blues e rock´n´roll.
Eppure Dylan alla guerra del Vietnam che ha segnato un´intera generazione deve averci pensato attraversando la città che di quella lotta porta ancora i segni, con carri armati esposti come monumenti di guerra, con la bandiera rossa con la stella gialla a cinque punte della repubblica socialista che sventola ovunque, dove persino i club portano nomi evocativi come Apocalypse now.
Deve averci pensato quando prima di lui un gruppo di volenterosi musicisti e cantanti hanno reso omaggio a Trinh Song Con, ritenuto il Bob Dylan vietnamita, scomparso dieci anni fa dopo aver scontentato, come il suo modello americano, tutti quelli che lo volevano leader e interprete di un movimento. Deve averci pensato quando ha cantato l´enigma biblico di All along the watchtower, con il ladro e il buffone che spiano dalla torre di guardia i cavalieri che annunciano la caduta dell´impero, davanti ai ragazzi vietnamiti che lo guardavano adoranti.
Guerra VietnamUno di loro è venuto da Hanoi per non perdere il concerto, i pezzi di Dylan li conosce a memoria, un gruppetto di americani è arrivato dalla Thailandia, e tra la folla una giovane insegnante della Rmit University ci racconta che lei Dylan lo conosce e la sua preferita è Forever Young. Almeno in questo caso Dylan l´ha accontentata, chiudendo il concerto proprio con una struggente versione del pezzo che dice a tutti di rimanere giovani, per sempre. Detto da un poeta di settant´anni che per misteriose ragioni non smette di girare per il mondo, pretendendo solo di essere se stesso, e non una bandiera.