Gian Luigi Paracchini per “il Corriere della Sera”
Perché nei primi anni ’80 Andrea Rizzoli andò all’assalto dell’avvocato Agnelli per comprargli a ogni costo le quote utili al controllo sul Corriere della Sera ? Le saghe familiari presentano sempre qualcosa d’irrisolto o di sfumato che aprono nuove curiosità. Proprio come I Rizzoli/La vera storia di una grande famiglia italiana (Mondadori), di Nicola Carraro e Alberto Rizzoli, che risponde all’interrogativo lasciandone uno più sfizioso. «Gelosie — buttano lì gli autori — per colpa di una qualche donna?».
Ecco perché è interessante sentire, dal suo buen retiro monegasco, l’opinione di Ljuba Rosa, classe 1932, un quarto di secolo vissuto con i Rizzoli (a cominciare proprio da Andrea scomparso nel 1983), affascinante protagonista d’una vita senza vie di mezzo: grandi gioie e grandi dolori, come la perdita dell’amata figlia Isabella a soli 23 anni.
Che opinione s’è fatta signora?
«Sì, è evidente, parlano di me».
Può spiegarsi meglio?
«Mio marito non aveva feeling con l’Avvocato e non certo perché fossero l’uno ex presidente del Milan e l’altro numero uno juventino. Forse per via delle voci che ci fosse una certa simpatia fra noi».
Lei conferma o smentisce?
«Non confermo e non smentisco. D’altra parte Gianni aveva perfettamente ragione su quella scalata al Corriere ».
E cioè?
«Che era difficile, che ci si poteva fare male. Non a caso mio suocero, uomo di fiuto pazzesco, anni prima aveva rinunciato a lanciare un Oggi quotidiano».
Ma l’Avvocato lo diceva a lei o a suo marito?
«Lo diceva a me. Era nostro vicino a Cap Ferrat. Quando mi veniva a trovare in villa, mio marito non c’era mai. Fra l’altro avevamo la stessa governante di casa, madame Eugenie. Quando s’è congedata da casa Agnelli, madame avrebbe potuto scrivere un libro di sicuro interesse...».
L’analisi dell’Avvocato era corretta: i Rizzoli si sono fatti male, ma anche il Corriere , indebitato e corroso dalla P2, non s’è sentito bene.
«Mio marito, già malato, vedendo i suoi figli Angelo jr. e Alberto in manette ha avuto il colpo decisivo. È morto di crepacuore».
Che tipo era invece Angelo Rizzoli, il fondatore?
«Un dittatore geniale. Da zero ha costruito un impero. Andrea però lo temeva, capiva d’essere fatto d’altra pasta. Lo amavo per la grande bontà: ci siamo dati i primi baci in macchina tra i prati di Lambrate, vicino alla Rizzoli: lui era in crisi con la moglie, io avevo alle spalle una storia».
Che ne pensa del libro sui Rizzoli?
«Non male, anche se il fondatore viene visto più come un simpatico nonno dispotico che come un rivoluzionario dell’editoria con grandi autori di libri e nuovi giornali, per non parlare del cinema».
Peschi fra i suoi ricordi un’immagine del cumenda.
«A New York, nel 1964 a inaugurare la mitica libreria Rizzoli. Con noi di famiglia c’erano l’onorevole Fanfani e signora, Federico Fellini con Giulietta Masina e Sandra Milo, Marina Cicogna, Jacqueline Kennedy e l’upper class di Manhattan. Un giorno speciale».
Fra i tanti personaggi conosciuti che tris sceglierebbe?
«Potrei dire Chagall, Mastroianni e il duca di Edinburgo, ma ce ne sono molti di più».
Tornando al libro, che cos’altro non l’ha convinta?
«Il modo in cui si parla di Angelone, cioè Angelo jr. Da ragazzo sarà stato pure ghiotto ma a casa nostra era quello che leggeva di più. Non a caso il nonno lo vedeva suo erede in azienda. Ha fatto tanti errori ma sempre in buona fede e comunque ha pagato duramente. Per fortuna ha trovato consolazione in Melania, la sua seconda moglie, che gli è stata vicina 25 anni».
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Mentre la prima moglie Eleonora Giorgi?
«Mah, sono stati assieme cinque anni, era un altro tipo, un po’ capricciosa. Mandava di sera l’autista in Rolls Royce per negozi a cercare l’acqua minerale Sangemini».
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Signora come va il suo vizio della roulette?
«I casinò oggi m’intristiscono. Sembrano un deserto. Io ci vado più per scambiare qualche chiacchiera con i croupier . Poi ogni tanto metto qualcosa sul 29, un numero buono, generoso».