Marco Giusti per Dagospia
Fratelli! Remo Remotti fa 100 anni. Per festeggiarlo la figlia Federica e la moglie Luisa Pistoia, hanno pensato a un evento, 100% REMOTTI, presso Spazio Sette in Roma il 16 novembre dalle ore 18.30 con la partecipazione di amici e parenti. Ci sarà una mostra delle opere di Remo aperta al pubblico con ingresso libero dal 17 Novembre al 1º Dicembre 2024 a Spazio Sette a Roma (Via dei Barberi, 7).
Per non parlare di una nuova versione, curata dal Piotta, con tante guest star, da Carlo Verdone a Valerio Mastandrea, della sua spettacolare hit “Me ne andavo da quella Roma...” che negli anni in tanti hanno eseguito, allungando, cambiando, come del resto faceva lo stesso Remo. Una canzone che non era una canzone, era un’invettiva d’amore che solo a Roma si può dedicare con la stessa violenza, che un po’ per caso divenne una canzone. E non sapete quanto mi dispiace non aver capito, negli anni, che andava registrata per bene in studio alla Rai.
La registrammo a Stracult con Lele Vannoli, che è quello che, dopo Remo, la cantava meglio di tutti. E con Dago l’abbiamo messa a chiusura del nostro documentario su Roma nella versione del povero Cranio randagio. Andrebbe cantata a Sanremo, dove conobbi Remo al seguito di Sabina Guzzanti come “riserva indiana”. Negli anni è diventata l’inno di una certa Roma che abbiamo amato o odiato, riamato e riodiato mille volte, ma che non c’è più.
Ci sono solo turisti coi trolley. Come, già da nove anni, non c’è più Remo, che se ne è andato via proprio da quella Roma “puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del volemose bene e annamo avanti”… Per non parlare del paese, che da quando Remo non c’è più è pure parecchio peggiorato. Ma Remo se ne è andato anche da quella Roma di Nanni Moretti, di Carlo Verdone, di Massimiliano Bruno, di Carlo Vanzina, di Christian De Sica, di Ettore Scola, di Marco Bellocchio, di Victor Cavallo, di Renato Mambor, di Galliano Juso, di Luis Molteni, da quella Roma dei Cesaroni e di mille esordienti scriteriati e spesso squattrinati che lo hanno chiamato nel corso degli anni a fare il barbone, il poeta, il guardone, il pipparolo, il prete, il vecchio rincojonito, il vecchio serio, il valente professore, il cameriere.
Da quella Roma del cinema dove potevi fare Marx che vende i libri col carrettino. O da quella Roma dove Carlo Verdone ti chiama e ti dice “Ma Remo Remotti come mio padre, che ne dici?”. E io: “A Ca’, ma non me lo hai già chiesto l’anno scorso?”. Poi però un ruolo per Remo nei film di Carlo c’era sempre. Perché Remo è Remo. Da quella Roma dei grandi film internazionali, dove bastava che facessi il cardinale nel Padrino e ti chiamavano altri mille registi americani per lo stesso ruolo, rigorosamente senza barba.
Film miliardari, come Nine, Mangia, prega, ama, Letters to Juliet, dove a un certo punto appare Remo e ti fa sempre allegria. E anche se il film è una porcheria, una risata te la sei fatta. Da quella Roma dove un tempo anche un pittore, anche un poeta poteva campare senza lavorare con il cinema. Magari quello di Romano Scavolini assieme a Carlo Cecchi, Lou Castel, laura Troschel e Valentino Zeichen. Da quella Roma che se a Bellocchio gli girava bene ti chiamava per Il gabbiano di Cechov o per Salto nel vuoto, e i Taviani ti volevano per Il prato.
Da quella Roma dove anche i giovani registi tedeschi vedevano Remo e lo facevano recitare con Bruno Ganz, ma se andava bene anche con l’Ispettore Derrick. Solo che Remo non recitava, era se stesso. Sempre. Con Francis Coppola, con Nanni Moretti, con Marco Bellocchio, con Nanni Loy, con David Riondino, con Felice Farina, coi tedeschi, con gli americani. Fratelli, Remo se ne è andato da quella Roma dove se lo incontravi ti parlava sempre di figa (“A me praticamente interessa solo la sorca”). Inevitabilmente. Tutta di testa, certo. Ma lo dovevi accettare, perché Remo era Remo. E non sarebbe stato Remo, e non sarebbe stata Roma se non ne avesse parlato. Remo se ne è andato dalla Roma di Sogni d’oro, di Bianca, di Palombella rossa, i film che ne hanno fatto un monumento.
I film di Nanni Moretti quando era Nanni Moretti. Di quando accanto a Nanni vedevi Tatti Sanguineti e Gigio Morra. E se ne è andato dalla Roma del Papa Buono, di Ladri di barzellette, di Shooting Silvio, di qualsiasi film assurdo degli anni ’80, ’90, 2000. Remo se ne è andato da quella Roma che lo ha tanto amato, viziato, coccolato, che lo ha sentito cantare in qualsiasi versione, anche rap “Me ne vado da quella Roma”. Da quella Roma “dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…” da dove, in realtà, non se ne era mai andato. E che se ne annava affà? Ma da dove gli piaceva da morire dire che se ne sarebbe andato. Mamma Roma, addio!
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