Daniela Mastromattei per "Libero quotidiano"
«In futuro tutti saranno famosi per quindici minuti». Andy Warhol lo aveva capito già tanti anni fa. Aveva intuito che quel desiderio di celebrità sarebbe diventato un chiodo fisso, ma forse non aveva previsto l'influencermania. Blogger che spuntano come funghi.
In Italia non ci sono solo Cristiano Ronaldo con 300 milioni di follower (qualcuno meno dopoil suo recente addio alla Juventus) e Chiara Ferragni con 24,8 milioni, anche se qualcuno fa notare la sottile differenza: il primo è seguitissimo perché è un calciatore campione del mondo, la seconda perché sul "vendere la propria immagine" ha costruito una professione e un impero.
Di narcisisti a caccia di consensi è pieno il mondo e molti avendo fiutato il business provano la strada della bionda imprenditrice virtuale di Modena che deve tutto al suo «desiderio di voler apparire», come lei stessa ha rivelato: «Mi sono sempre fotografata tantissimo... Mi piaceva vedere la reazione della gente». E a soli 22 anni il debutto a Los Angeles con il suo blog TheBlondeSalad.com che le ha cambiato la vita.
Era il 2009 da noi, l'attività di influencer era ancora sconosciuta. «I primi inviti alle sfilate li ho ricevuti nel 2010: non mi sembrava vero», ricorda la Ferragni. È successo tutto di colpo, non ero pronta, mi arrivavano proposte di brand che non mi piacevano e dire no era difficilissimo». Oggi quello che tocca si trasforma in oro.
E sì che può permettersi di rifiutare di esibire i marchi che non le stanno simpatici, di non badare alle critiche di chi pensa che le sue recenti foto in lingerie con gli slip trasparenti siano «indecenti», consapevole di determinare i gusti di mezzo mondo. Per questo le aziende la corteggiano e la pagano profumatamente affinché indossi le scarpe col tacco sotto la tuta sportiva o le sneakers con l'abito da sera.
TENDENZE
Idee bizzarre che lei trasforma in tendenza, subito ripresa dall'esercito di fan pronto a seguire Chiara in capo al mondo. Non a caso nel 2017 Forbes l'ha incoronata personaggio più influente nel campo della moda. Ferragni, fenomeno di costume studiato anche nelle università americane, ultimamente però è stata sorpassata da Khaby Lame uno degli influencer italiani più forti al mondo con 110 milioni di fan su Tik Tok e 40 milioni su Instagram che lascia tutti senza parole con i suoi esilaranti siparietti.
Il giovanissimo Khaby ha vissuto 20 anni nelle case popolari di Chivasso e ha fatto ogni tipo di lavoro, dal lavavetri al cameriere e ora i suoi video sono seguitissimi (piacciono pure a Mark Zuckerberg che ha messo un like) e le aziende se lo contendono. Come entrare in questo mondo? La prima mossa è aprire un profilo social (Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok ecc.) su cui pubblicare i propri selfie ritoccati ad arte, tanto di vero nel mondo virtuale c'è quasi nulla.
Per attrarre e moltiplicare i follower molti ricorrono alle foto in costume da bagno o in biancheria intima (i maschi lo fanno mostrando pettorali e dintorni). Gli sguardi ammiccanti da soli non bastano, per raggiungere il maggior numero di persone si utilizza l'hashtag (nella lingua inglese "hash" si riferisce al simbolo del cancelletto "#" mentre "tag" significa parola chiave) che indirizza il post verso gruppi tematici.
Per esempio, se il cancelletto viene messo prima della parola "lusso", ogni volta che sui social si cerca quel termine emerge il profilo di chi l'ha utilizzato.
I FURBETTI
Seguire i personaggi famosi, commentando a destra e a manca, è importante per avere visibilità. I più furbi cominciano a seguire migliaia di persone a caso, per essere ricambiati. Poi, invece di ringraziare, smettono di seguire i follower. Alcuni se ne accorgono e abbandonano a loro volta, altri, più distratti, restano. Il giochetto può andare avanti all'infinito, per smettere quando il numero dei follower, come per magia, inizia a crescere spontaneamente.
A quel punto si iniziano a seguire solo pochissime persone, selezionatissime. C'è pure chi compra migliaia di follower (finti), ma è un campo che non ci interessa. Le aziende sono molto attente al fenomeno e vanno a caccia di influencer che più li rappresentano per tipologia di follower (sensibili ad accogliere determinati prodotti).
I nano influencer (dai mille ai 10mila follower), invece vengono ignorati e allora si propongono loro ai brand per uno scambio merce: indosso il tuo tailleur e tu me lo regali, metto le foto sul mio profilo del tuo albergo e in cambio mi offri un soggiorno.
Lo sa bene Anna Penello, 25 anni, regina degli influencer di Padova con 239mila follower che racconta nel libro "Influencer mania" di Omar Rossetto e Mariasabella Musulin: «Ho aperto il mio profilo su Instagram circa 7 anni fa e ho cominciato a pubblicare foto dei miei outfit. Gli scatti spesso me li faceva mia sorella davanti al muro di casa prima che uscissi. Sono arrivata a 10mila follower in pochi mesi ed ero super entusiasta. Ho cominciato con delle collaborazioni, tutte in scambio merce. Io ero contenta perché mi regalavano una t-shirt o un braccialetto in cambio di una foto e per me già questo era surreale ma mi piaceva».
Poi sono arrivati i "procuratori", che sanno riconoscere le blogger dalle uova d'oro: «Sono stata contattata da un'agenzia che si occupava solo di blogger e influencer, mi ha offerto un contratto e da lì ho cominciato a lavorare e a raddoppiare le mie collaborazioni con i brand e a percepire uno "stipendio"». Intanto sui social qualcuno precisa: non sono loro ad essere dei bravi influencer, siete voi tutti (o quasi) ad essere facilmente influenzabili.
LA CINA CONTRO I FAN CLUB DELLE POPSTAR
Michele Serra per "la Repubblica"
Pare sia in corso, in Cina, un giro di vite contro i siti web dei fan club delle popstar (in italiano sarebbe: contro le pagine in rete gestite dai circoli di ammiratori dei cantanti e degli attori più popolari. Vedi come l'inglese ci frega, sempre, per capacità di sintesi). Come ogni censura, anche questa si fonda sulla presunta immoralità del bersaglio.
E va detto, ammesso che la cretinaggine sia una forma di immoralità, che il fan club di una popstar sembra fatto apposta per attirare gli strali della censura senza che nessuno se ne dia troppa pena (a parte, ovviamente, il fan club e la popstar). Diciamo che la cretinaggine è come un San Sebastiano che fa di tutto per meritarsi le sue frecce.
Beh, proprio qui sta il problema. Finché si tratta di censurare il grande artista o l'intellettuale scomodo, tutti sono capaci di indignarsi. Ma la libertà di parola, e di pensiero, non è garanzia di qualità. È anche libertà di minchiata, di melensaggine, di cuoricini, bacetti, glorie da un centesimo, piccole cose di pessimo gusto e di calibro infimo.
La libertà ha un prezzo, e il prezzo è esattamente quello che stiamo pagando qui in Occidente: qualità bassa, perché "la parola a tutti" vuol dire che il vaglio è molto largo, e lascia passare, in caduta libera, anche tonnellate di robaccia. A parte l'apologia della violenza (che va sempre stroncata, a Pechino come a Viterbo o a Chattanooga), tutto il resto va difeso dalla censura.
Non è la sorveglianza di un potere occhiuto che può salvarci: è la lotta quotidiana dell'intelligenza (di massa) contro la cretineria (di massa). Non esiste altra strada. Dunque ci tocca difendere la libertà del fan cretino della popstar burina, in attesa che, nel corso dei secoli, si accorgano di esserlo.