Francesco Agnoli per “La Verità”
avvenire prima pagina family day
Non mi era mai capitato prima d' ora di leggere su Avvenire un fuoco di fila così violento contro un personaggio politico. Su Avvenire ho scritto per qualche anno, all' epoca in cui il direttore era Dino Boffo. Un giornale sempre ponderato, forse talvolta anche troppo, ma giustamente attento a non trascinare la Chiesa italiana in vicoli ciechi, polemiche inutili e dannose.
Boffo, chiamandomi nel 2005 come collaboratore dell'inserto Vita è, decise che c'era però un argomento su cui parlare con chiarezza: la difesa della vita. Trattasi, infatti, di un tema che non è né di destra, né di sinistra, né cattolico, né laico, ma di diritto naturale, di ragione. Un tema in cui esiste solo il sì e il no, perché con la vita non si gioca.
Allora, per Avvenire, l'aborto era l' omicidio di un bambino; la fecondazione artificiale era manipolazione della vita. Si cercava di dirlo, senza troppa enfasi, ma certi di non sbagliare. In politica, invece, passi felpati: perché qui le faccende sono molto più delicate. Questa linea rendeva Avvenire un po' paludato, ma irreprensibile. Nessuno, in buona fede, avrebbe potuto dire ai vescovi italiani «fate politica».
Oggi a leggere quel giornale trasecolo: la simpatia per il Pd renziano è stata, sino a ieri, palese; oggi, l'avversione verso Trump è, oserei dire, delirante, ossessiva, smodata. Non rimane molto dell'antica prudenza, della ponderatezza di un giornale che dovrebbe impegnare i vescovi italiani.
Sembra di avere tra le mani un foglietto partigiano, urlato, di infima categoria. Peccato per i bravi giornalisti che ci scrivono. Sul numero di domenica scorsa, Marco Tarquinio definisce Trump «il signore dei muri», fingendo di ignorare che il muro con il Messico fu costruito, anzitutto, da Bill Clinton nel 1994; che Hillary Clinton, come ha ricordato Mario Sechi sul Foglio, «votò il capitolo successivo della strategia anti -immigrazione con il Messico, il Secure fence act del 2006, insieme ad altri 25 senatori democratici e (che) la norma diventò legge con la firma di George W. Bush» e il voto del senatore Barack Obama.
Se il titolo è demenziale, il sottotitolo è peggio: «I gesti di Trump, un incubo che ritorna. Infame è il marchio»: si lascia intendere che Trump sia un nuovo Hitler. Il nome del dittatore tedesco, è vero, non è mai esplicito, ma chiarissimo. Con un linguaggio da profeta del Vecchio Testamento, con un' indignazione santa che poco gli si addice, Trump viene paragonato, udite udite, anche «al califfo nero di Raqqa», ai persecutori di cristiani che hanno imposto la «n» araba di Nazareno ai cristiani di Mosul.
Il lettore di tale invettiva, se non conoscesse né l'attualità, né la storia, potrebbe allarmarsi davvero. Confesso di aver provato, nel leggere il pezzo, un forte senso di angoscia.
Quando un altro essere umano ti giura e spergiura che sta avvenendo qualcosa di cui non ti eri accorto, ti allarmi: possibile? sarò davvero così ingenuo?
Non che il sottoscritto giuri sulla bontà di Trump. Non fa parte del mio credo. Non sono stato educato a vedere in un uomo politico il Salvatore. Così come mi infastidiva molto il clima messianico del 2008, quando il mondo progressista salutò Obama come l'uomo della Resurrezione mondana e della pace, così oggi mi sfugge come si possa dipingere Trump come l' uomo dell' Apocalisse e della guerra. Mi chiedo anzitutto dov' era, il direttore di Avvenire, negli anni passati? L' incubo di oggi deve essere figlio, infatti, di una lunghissima dormita.
Quando i Clinton e gli Obama hanno incendiato il mondo con le loro bombe, i loro droni intelligenti, le loro guerre umanitarie, dove era? Tarquinio dovrebbe sapere che ci sono due Paesi al tracollo, con milioni di morti e di emigranti disperati: la Libia e la Siria. I responsabili di quei disastri sono gli stessi che oggi urlano, come Tarquinio, contro il neopresidente.
Quanto ai cristiani massacrati dall' Isis, dal nero califfo di Raqqa, anche lui è piuttosto preoccupato, proprio come Tarquinio, per l' elezione di Trump: perché se il neopresidente mantiene la parola data, non solo, con l'aiuto di Putin, porrà definitivamente termine all'Isis, salvando quel poco che resta anche dei cristiani d'Oriente, ma, ponendo finalmente termine alle guerre umanitarie per l' esportazione della democrazia, condotte dai Clinton, dai Bush, dagli Obama, seccherà il brodo di coltura in cui molto del terrorismo islamico è cresciuto in questi decenni.
Quanto a Hitler, suvvia, direttore. La reductio ad Hitlerum non solo è scontata e inflazionata, ma anche ridicola. Se Hitler odiava cristiani ed ebrei, Trump ha in molti di loro, al contrario, degli alleati; se Hitler odiava la Russia e voleva conquistarla, Trump ha buttato acqua sul fuoco e ha detto di volerla trattare come si tratta uno Stato sovrano, da pari a pari; se Hitler cercò nell' islam più aggressivo un alleato, Trump, di tutt'altre idee, vuole semplicemente, a quanto sembra, ridurre sia i visti, sia i motivi di guerra; se Hitler, infine, introdusse per primo in Europa l'aborto, Trump, al contrario, ha subito bloccato i fondi alla più potente associazione che diffonde aborto e contraccettivi nel mondo, e che è implicata anche in vendita di organi.
Accanto a qualche visto in meno, insomma, si prevedono meno morti: meno aborti e meno guerre umanitarie. Un bilancio che non andrebbe trascurato. Direttore, si svegli, l' incubo può finire, solo così. Allora si troverà di fronte alla realtà: con la sconfitta della Clinton è scomparsa dalla scena una grande nemica della vita, della famiglia, della Chiesa cattolica; una donna che avrebbe voluto lo scontro con la Russia, e che ha contribuito alla distruzione di Libia e Siria; un alfiere di quella globalizzazione di cui proprio i poveri pagano le peggiori conseguenze, e da cui lei ha tratto quegli immensi profitti che le hanno permesso di spendere, in campagna elettorale, il doppio di Trump. E Trump? Lo vedremo. Il premio Nobel per la pace non va dato in anticipo, e poi non porta neppure bene.