1. MODENA CONTRO BOLOGNA: LA DISFIDA DEL TORTELLINO
Franco Giubilei per “la Stampa”
Fra Bologna la grassa e la confinante (ma non meno grassa) Modena, la rivalità cominciò nel 1325 con la battaglia fra Guelfi e Ghibellini cantata dal Tassoni nella Secchia Rapita, per mutare in caciara calcistica il secolo scorso e poi finire a tavola, come da tradizione italiana, a rivendicare la maternità del tortellino. Sì, perché la domanda che agita petroniani e geminiani, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, è chi cucini meglio la prelibatezza che la leggenda vuole ispirata all’ombelico di Venere, e il modo per stabilire la verità è stato trovato nella sfida fra cuochi in scena stasera a Palazzo Re Enzo, a Bologna:
«La sfoglia tira!» vedrà affrontarsi quattro chef per parte selezionati dopo le elezioni primarie (avete letto bene, come le primarie del Pd…), pronti a contendersi la palma per il miglior tortellino tradizionale, quello creativo, i tortelloni e le lasagne. L’anno scorso la vittoria per il tradizionale è andata a Lucia Antonelli, bolognese, che quest’anno se la vede con Claudia Ricchi, cuoca di Spilamberto, nel Modenese.
L’idea di risolvere la disfida del piatto principe della gastronomia emiliana armando di mattarello i maestri di cucina delle due province è venuta dall’associazione «Tour-Tlen», che riunisce i ristoratori bolognesi, amichevolmente contrapposti ai cugini di «Modena a tavola»: «Lo scopo comune è il rilancio del territorio, l’identificazione di Bologna e Modena con la Food Valley, e anche arrivare al riconoscimento del tortellino Dop, ma lo spirito competitivo emerge eccome», spiega lo chef Massimiliano Poggi, fra gli animatori dell’iniziativa. Tant’è vero che al termine delle primarie è subito partito il coro da stadio «Chi non salta modenese è!».
E dire che, storicamente parlando, il tortellino sarebbe nato in zona di confine, a Castelfranco Emilia, paesone di frontiera in provincia di Modena solo perché Mussolini decise di mutare l’assetto amministrativo di un comune i cui abitanti non hanno mai smesso di sentirsi bolognesi.
La sfidante
Insomma, i «turtlein» appartengono profondamente a entrambe le realtà, eppure si continua a discutere, anche in nome del rispetto dell’ortodossia. Di qui le domande fondamentali: i tortellini vanno in brodo o (eresia!) alla panna? E nel ripieno cosa ci deve essere?
Giriamo le questioni alle cuoche in lizza per il miglior tortellino tradizionale, a cominciare dalla sfidante, Claudia Ricchi: «Ho cominciato a tirare la sfoglia a 11-12 anni, seguendo gli insegnamenti di una vecchietta, e la ricetta è quella di mia mamma: prosciutto di Modena, parmigiano reggiano stagionato almeno 30 mesi, mortadella, lombo di maiale, noce moscata e uova. C’è chi aggiunge salsiccia, chi pane, ma io no. Secondo la tradizione vanno mangiati in brodo di cappone, poi è successo una volta che un cliente danese me li abbia chiesti alla carbonara, che è un sacrilegio, ma se lui è contento cosa ci devo fare?».
La campionessa
Il pragmatismo emiliano non fa difetto neanche alla campionessa in carica, Lucia Antonelli, la cui taverna si trova in Appennino: «Io ho imparato in casa a cucinare, e la mia idea è che non esiste un tortellino codificato, anche se la ricetta classica di quello bolognese, depositata alla Camera di commercio, prevede nel ripieno parti uguali di lombo, mortadella, prosciutto e parmigiano, più noce moscata, sale e pepe.
La cucina tradizionale cambia di famiglia in famiglia: io ci metto il 50 per cento di mortadella, il 30 per cento di parmigiano e il resto lombo di maiale, niente uova e poi sale, pepe e noce moscata. Le donne di casa una volta dovevano arrangiarsi con quel che avevano. Se poi mi chiedono i tortellini alla panna io glieli faccio, non sono mica così integralista».
2. BOTTURA: ECCO IL MIO COMPROMESSO STORICO
Da “la Stampa”
Che la morte del tortellino sia in brodo è un dogma per i puristi del tortellino, usi a guardare con disprezzo chi osi contaminare il piatto principe con la panna. Ma ecco che Massimo Bottura, chef modenese alla guida dell’Osteria Francescana, fra i più apprezzati sul panorama internazionale, si è inventato «il compromesso storico»: «Ho messo d’accordo i puristi e gli altri - spiega - creando una crema di parmigiano reggiano pura, che ottengo mescolando il parmigiano con l’acqua a 55 gradi grazie a un procedimento particolare. L’acqua è purezza assoluta e io non aggiungo burro né altri latticini. I tortellini vengono cotti nel brodo e poi adagiati sulla crema».
A Castelfranco Emilia, il paese dov’è nato il tortellino, l’associazione di sfogline La San Nicola ha fatto proprio questo tipo di preparazione e la serve a migliaia di persone alla sagra annuale. Ma il derby fra i fan del brodo e i tifosi della panna resta acceso: «C’è stata una degenerazione del tortellino alla panna, che è nato dai casari che una o due volte all’anno si dissanguano togliendo la panna di affioramento e servendola in occasioni speciali – commenta Bottura -. Il mito è degenerato perché l’industria ha creato le panne finte, che sono tutto tranne che di affioramento».
Al di là di fedi e pregiudizi, per lo chef vale un principio di realtà: «Il tortellino è buono o non è buono, ed è fondamentale non perdersi nella nostalgia, sennò quello di tua mamma resterà sempre il migliore che tu abbia mai mangiato. Invece ho sempre pensato che la noce moscata fosse una stupidaggine, perché è una spezia e in quanto tale copre il sapore. Il tortellino perfetto nasce da ottime materie prime: parmigiano reggiano di bianca modenese del presidio Slow Food di Rosola, prosciutto Galloni di Parma di 30 mesi, mortadella Due Torri dell’Alcisa, solo una spolverata di noce moscata, ma giusto per non perdere la memoria storica, e poi vitello e maiale in parti uguali per il bilanciamento».
(f.giu.)