Estratto dell’articolo di Giovanna Vitale per www.repubblica.it
Inaugurazione dell’Estate al Maxxi, il museo del XXI Secolo guidato da Alessandro Giuli, intellettuale di destra cui nel novembre scorso il ministro Gennaro Sangiuliano ha affidato una delle più importanti istituzioni culturali d’Italia.
ALESSANDRO GIULI - VITTORIO SGARBI - MORGA AL MAXXI
È la sua prima kermesse estiva e il novello presidente ci tiene a far bella figura. Perciò venerdì 21 giugno, serata d’apertura, Giuli invita sul palco Morgan – il cantautore che non ha mai nascosto le sue simpatie sovraniste – a conversare con Vittorio Sgarbi.
E lì accade quel che era facile immaginare: parolacce e volgarità a gogo, in un crescendo che sul finale culmina in battutacce e aneddoti pesanti sulle donne, raccontate come pezzi da collezionare, meri strumenti di piacere in mano a maschi voraci – attori, scrittori e capi di Stato –, contate a migliaia per vantare le loro conquiste.
Talmente imbarazzante che a un certo punto la videoregistrazione dello show viene amputata, come si evince dal taglio netto alla clip pubblicata su Youtube: al minuto 49 e 38 secondi, zac, la parola si spegne e si cambia scena. Forse perché si era andati troppo oltre?
La protesta dei dipendenti
Uno shock per il personale del Maxxi, in prevalenza femminile. Prima ne discutono fra loro, quindi decidono di fare qualcosa mai accaduta prima. In 43 su 49 registrati in pianta organica, una quarantina dei quali donne, prendono carta e penna e sottoscrivono una lettera di protesta al presidente della Fondazione. La formula prescelta è quella della “riservata personale”, a dimostrazione di un intento non finalizzato a menare scandalo, bensì a interrompere una deriva degradante per il Museo dedicato alla creatività contemporanea fra i più importanti d’Europa.
La lettera
“Gentile presidente, con riferimento alla serata inaugurale dell’Estate al Maxxi, con rammarico sentiamo di rappresentarle il nostro dispiacere per i contenuti degli interventi del sottosegretario prof. Vittorio Sgarbi che in nessun modo collimano con i valori che da sempre hanno contraddistinto il nostro lavoro all’interno di questa istituzione, luogo di cultura libera, inclusiva e critica nei confronti di pregiudizi e luoghi comuni”, scrivono i dipendenti all’indomani dello show. “Siamo certi che la governance saprà individuare le modalità più idonee per esprimere il proprio dissenso e per il futuro evitare di esporre l’istituzione tutta a simili gravi intemperanze”.
La reazione di Giuli
Giuli evidentemente si preoccupa. E incarica la segretaria di spedire una mail di risposta a ciascuno dei firmatari per comunicare che “se vorrai, il presidente è disponibile a riceverti per un colloquio personale”, indicando data e ora della convocazione ad personam: il 27 giugno nella fascia oraria 16,30-17. Non è chiaro in quanti si siano presentati al cospetto del presidente. Quasi tutti, stando a quanto trapela da fonti interne. Ai quali Giuli chiede in pratica di ritrattare. Di ritirare la lettera, o almeno la singola adesione. Il tutto in un clima divenuto all’improvviso pesante, tanto da far temere possibili ritorsioni.
L’elogio del pene
D’altronde il capo della Fondazione, da giornalista esperto qual è, si era ben accorto dell’esondazione triviale dei suoi due ospiti, coi quali ha condiviso il palco. Iniziata con un’ode di Morgan a Sgarbi, definito in rima “Vittorio, amico mio, del vaffanculo il Dio”, e condita da una serie di provocazioni tutt’altro che culturali.
Tra uno “sfrattiamo Amadeus da Sanremo” e una telefonata ricevuta da un numero sconosciuto – “Pronto? Chi cazzo sei? Cornuto” – la serata finisce con un elogio dell’organo genitale maschile, la conta delle conquiste sgarbiane e varie amenità di contorno.
“Hai letto più libri o fatto l’amore con più donne? Qual è il tuo record?” è la domanda miccia che, dopo tre quarti d’ora di chiacchiere, scatena il sottosegretario. “Houellebecq dice che c’è un momento della vita in cui noi conosciamo un solo organo: il cazzo”, esordisce Sgarbi. “Il cazzo è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione, serve a capire”, insiste mentre Giuli interviene, nel tentativo di arginarlo: “Sta citando Moravia, non è una cosa volgare”.
Ma il critico prosegue: “Poi, dopo i 60 anni, scopri che ci sono anche altri organi, c’è per esempio il colon, il pancreas, la prostata. Io non sapevo che cazzo fosse ‘sta prostata, mai incontrata, a un certo punto sui 67 appare la prostata e tu devi fare i conti con questa troia puttana di merda che non hai mai incontrato in vita tua. Il cazzo se ne va e arriva la prostata”.
Donne da collezionare
Non è che l’inizio della valanga. “Quante donne hai avuto?” insiste Morgan. E Sgarbi, a valanga: “Ti posso rispondere con Califano. Il Corriere fa un’inchiesta perché si scopre che quello che nel mondo ha avuto un patrimonio più ampio di conoscenze femminili si chiama Warren Beatty: 12.500”. E Morgan: “Ma cosa sono rispetto a te? Nulla, un’inezia”.
Sgarbi continua a contare: “Il secondo è Simenon 10mila, ma a lui non importava se fossero libere o puttane. Poi va avanti e arrivi a Julio Iglesias 7mila; Jack Nicholson 6mila; Juan Carlos 2mila; Mitterand 1.500; Kennedy mille. Poi si arriva all’Italia, e dice, voi in Italia cosa fate? Beh, io non ho un contatore all’uccello – dico - quindi non lo so, però posso risponderle con il mio amico Califano: ma tre al mese me li vuoi dare? Sono proprio una media piccola piccola”.
Non pago, si vanta: “Gli osservatori dell’Osce, nel momento in cui ero attivo, valutava anche 9 al mese. Quindi venne fuori 1.500, che era una quota minima di servizio”. Non si ferma più, il sottosegretario alla Cultura, racconta pure una storiella su Berlusconi, che gli rivelò di aver avuto meno di 100 donne, “una tragedia”.
Quindi, il colpo di teatro, virato in chiave politica: “Io però ho fatto una ricerca, e sembra che il campione del mondo sia un altro statista insigne che non ha avuto inchieste, Fidel Castro: 35mila. Viva il comunismo!” urla.
Il pubblico ride, Sgarbi si bea e ammette di aver “ormai smesso”. Altri applausi e poi zac, al minuto 49 e 38 secondi, la registrazione si interrompe. Una censura che tuttavia non basta a chi lavora al Maxxi. Se è questa l’egemonia culturale che la destra vuole imporre al Paese, c’è poco da stare allegri.