Sara Gandolfi per il “Corriere della Sera”
L'induismo da sempre venera i fiumi, somme divinità della natura. Come Ganga, dea del Gange e Madre di tutti i corsi d'acqua, o il possente Sarasvati. Ora la sacralità diventa obbligo di legge.
Alla vigilia della Giornata mondiale dell' acqua, che si celebra oggi, la Corte suprema dell' Uttarakhand, stato settentrionale attraversato dall' Himalaya, ha decretato che il Gange e lo Yamuna, suo principale affluente, avranno lo status di «entità legali e viventi con status di personalità giuridica»: se qualcuno li danneggia, sarà punito come se avesse ferito o ucciso un essere umano.
I giudici di Nainital hanno citato il precedente del fiume neozelandese Whanganui, adorato dai Maori che, dopo decenni di battaglie legali, sono riusciti la scorsa settimana ad ottenere - prima volta al mondo - il riconoscimento dei suoi «pieni diritti». Come in quel caso, anche il tribunale indiano ha nominato dei «tutori» per controllare e proteggere Gange e Yamuna.
Nel punto della loro confluenza ogni dodici anni si celebra il Maha Kumba Mela, il più grande pellegrinaggio di massa al mondo: nel 2013 vi hanno partecipato 100 milioni di persone. Sono i fiumi più amati dagli induisti e fra i più inquinati del pianeta.
Nelle acque del Gange - in cui gli induisti si bagnano per purificarsi - ogni giorno si riversano 1,5 miliardi di litri di liquami non trattati e 500 milioni di litri di rifiuti industriali, cui si aggiungono enormi quantità di pesticidi agricoli e altre scorie chimiche. Lo Yamuna è ancor più contaminato: in diversi punti le sue acque sono così sporche e stagnanti che non si trova più alcuna forma di vita.
Eppure è proprio questo fiume a dissetare, dopo trattamento chimico, i 19 milioni di abitanti di New Delhi. Le leggi anti-inquinamento esistono già, ma i controlli sono decisamente carenti. La sentenza che riconosce ai due fiumi «lo status di persona giuridica e i corrispondenti diritti, doveri e responsabilità» si rivolge innanzitutto ai governi dell' Uttarakhand e del vicino Uttar Pradesh, colpevoli di non aver istituito il Ganga Management Board, un' agenzia ambientale di controllo.
Sono oltre 554 milioni gli asiatici che non hanno accesso a fonti di acqua potabile sicura, secondo i dati diffusi dal Consiglio mondiale dell' acqua (Wwc), più che nell' Africa sub-sahariana (319 milioni). Una delle questioni più critiche è proprio lo smaltimento delle acque reflue.
«A livello mondiale, circa il 90% finisce nell' ambiente senza alcun tipo di trattamento - spiega il presidente del Wwc Benedito Braga - mentre quasi il 40% della popolazione convive con la scarsità delle risorse idriche, percentuale che potrebbe arrivare al 66% entro il 2025».
Le acque reflue, però, potrebbero anche diventare il «nuovo oro nero», in grado di soddisfare la crescente domanda di acqua dolce e altre materie prime, secondo il rapporto dell' Onu sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali. «Si tratta di introdurre processi mirati di gestione e di riciclo dell' acqua che utilizziamo nelle nostre case, nelle fabbriche, nelle aziende agricole e nelle città», assicura Guy Ryder, presidente di UNWater.