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Ilaria Maria Sala per “la Stampa”
«Kenji è morto. Non ho parole. La mia sola speranza è che possiamo continuare a portare avanti il suo lavoro per cercare di salvare i bambini dalla povertà e dalla guerra»: queste le parole, spezzate dal pianto, di Ishido Junko, la madre di Kenji Goto, 47 anni, il giornalista giapponese decapitato ieri dai militanti dell’Isis dopo quattro mesi di prigionia, e dopo che le trattative per un riscatto o uno scambio di prigionieri con la Giordania sono naufragate.
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Goto viene ricordato come un uomo dalla profonda umanità, un giornalista che aveva cercato di dare un volto alle vittime della guerra e che si è ritrovato a pagare il massimo prezzo in modo violento e barbaro. Decapitato come Yukawa Haruna una settimana fa, l’uomo per la cui salvezza Goto si era mobilitato, finendo invece nelle mani dei suoi aguzzini. Nel video diffuso ritorna il terrorista inglese John che minaccia: «Siamo un esercito che ha sete del vostro sangue».
La reazione del governo
Il Giappone intero si ritrova segnato dalla tragedia, e da uno sdegno che lo vede però diviso: se il primo ministro giapponese Shinzo Abe reputa l’accaduto l’ennesima prova che la Costituzione pacifista nazionale sia obsoleta e vada rivisitata, molti rifiutano questa logica, considerando che parte della responsabilità per la morte di Goto ricada anche sull’inefficacia delle operazioni diplomatiche giapponesi, e hanno organizzato proteste contro il governo.
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Il tentativo di liberare Goto è infatti fallito dopo una trattativa dapprima sul pagamento di 200 milioni di dollari di riscatto, poi su uno scambio di prigionieri con la Giordania, che ha nelle sue carceri Sajida al-Rishawi una terrorista irachena di cui l’Isis voleva la liberazione.
La protesta popolare
Ma contro la svolta «militarista» del premier si è creata una vera mobilitazione. Lo scopo principale dell’iniziativa promossa dalle associazioni è stato quello di protestare contro un ruolo più attivo di Tokyo nei conflitti internazionali.
La protesta è arrivata davanti alla residenza di Shinzo Abe e tra i manifestanti c’era chi esponeva cartelli con su scritto: «Colpa tua Abe» per la morte anche del secondo ostaggio e «Io non sono Shinzo Abe» per riaffermare l’estraneità del popolo giapponese al conflitto in Medioriente. Per il momento, però, Shinzo Abe va avanti per la sua strada e anzi rilancia affermando che si intensificheranno gli aiuti, per il momento solo umanitari.