Gian Guido Vecchi per il "Corriere della Sera"
PAPA RATZINGER AFFATICATO jpegChe nell'indagine sui corvi si facesse sul serio lo si era capito già il mese scorso, quando Benedetto XVI istituì la commissione cardinalizia con pieni poteri presieduta dal porporato dell'Opus Dei Julián Herranz e con il prefetto emerito di Propaganda Fide Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi, già arcivescovo di Palermo. In apparenza poteva sembrare pletorica, da settimane erano già in corso l'indagine penale del Tribunale vaticano e quella amministrativa della Segreteria di Stato.
PAPA CON IL SOMBRERO IN MESSICOMa una commissione simile ha due caratteristiche fondamentali: risponde direttamente al Papa e, con piena autorità, può indagare su chiunque. Gia allora si era messo in conto che l'inchiesta sulla fuga di notizie, al di là della manovalanza, potesse toccare livelli più alti, fino al Collegio cardinalizio: «Agirà in forza del mandato pontificio a tutti i livelli». E ora a quei livelli si è arrivati, almeno come «ipotesi investigativa» che riguarda un porporato, e non uno in astratto: nel linguaggio felpato di Oltretevere, «non si esclude» il coinvolgimento di «un cardinale» nel complotto.
E questo significa, nel caso, una procedura totalmente diversa, rispetto all'arresto del maggiordomo del Papa o agli interrogatori di funzionari proseguiti anche ieri: se il codice penale del Vaticano recepisce nella sostanza quello italiano, il codice civile, per dire lo status, prevede (articolo 113, paragrafo 2) che «i cardinali di Santa Romana Chiesa, i vescovi e le persone illustri» siano «dispensati dall'obbligo di comparizione avanti al giudice per deporre come testimoni» e possano «scegliere il luogo dove essere interrogati», magari a casa.
JULIAN HERRANZ DELL OPUS DEIIn Vaticano il segreto istruttorio è totale ma nessuno si straccia le vesti all'idea di un cardinale coinvolto nell'inchiesta: si parla, anzi, di un italiano. Forse perché «questa faccenda è essenzialmente tutta italiana», sospira un monsignore (italiano) della Curia. Del resto non solo si è «appena all'inizio» ma il quadro generale «è già definito», altrimenti «non si sarebbe proceduto col primo arresto». Il primo: altri se ne attendono. E non è solo per quello che potrà dire l'«aiutante di Camera» Paolo Gabriele agli investigatori.
In queste ore gli uomini della Gendarmeria stanno controllando i documenti trovati a casa del maggiordomo, ne hanno portate via «quattro casse». Ma soprattutto si compulsano tabulati telefonici, email, computer e «supporti magnetici» vari alla ricerca dei suoi contatti. Si cercano i complici, altri corvi, soprattutto nessuno crede che Gabriele possa avere orchestrato da solo la fuga di documenti: «Se si arriva in quella posizione, in Vaticano, si è debitori nei confronti di qualcuno».
PAOLO GABRIELE ASSISTENTE DI CAMERA DEL PAPAIl maggiordomo è sempre in camera di sicurezza, ha parlato con i suoi avvocati e ieri sera filtrava la voce che avesse cominciato a dire infine qualcosa, a fare nomi dopo tre giorni di silenzio e preghiera nella cella di quattro metri per quattro. Dal punto di vista formale, per ora è accusato «soltanto» di furto aggravato. Ad incastrarlo, si spiega, sono state delle carte che potevano trovarsi solo nello studio privato del Papa perché non erano state ancora archiviate nella segreteria di Stato: come un documento di bilancio della «Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI» appena pubblicato nel libro di Gianluigi Nuzzi «Sua Santità, le carte segrete di Benedetto XVI».
Non sono invece considerate rilevanti le apparecchiature fotografiche e di ripresa, «strumenti che hanno tutti, una falsa pista». La fase di «istruttoria formale», condotta dal giudice istruttore Piero Antonio Bonnet, comincia di fatto oggi. Ma Paolo Gabriele non è l'unico ad essere messo sotto torchio. Nonostante la festa di Pentecoste, il lavoro e gli interrogatori sono andati avanti anche ieri.
La prudenza è d'obbligo, il fatto di essere stati sentiti non significa nulla e ci sono funzionari che sono stati interrogati e poi scagionati. Quando le indagini si sono concentrate sull'Appartamento, sono state ascoltate (e subito escluse) perfino le quattro Memores Domini. Certo non tutti i documenti sono usciti dallo studio violato del pontefice. Le falle si sono aperte in vari uffici, a cominciare dalle due sezioni della Segreteria di Stato, Affari generali e Rapporti con gli Stati. Un «corvo» intervistato da Nuzzi diceva: «Siamo una ventina».
Vero o falso che sia, il clima Oltretevere è pessimo, si dà per scontato che ogni telefono o ambiente sia intercettato, cresce quella diffidenza che ieri Benedetto XVI ha tratteggiato nell'evocare l'«esperienza» di Babele: «Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l'uno per l'altro?».
TARCISO BERTONEDurante la messa, ieri, si sono così notate alcune assenze di cardinali importanti della cosiddetta «vecchia guardia», cosa strana per una celebrazione così importante per la Chiesa: quasi fosse un altro segnale di malumore interno. Una persona vicina all'Appartamento, che conosceva bene Gabriele, esclama: «Com'è possibile che sia stato già condannato prima del processo, che abbiamo lasciato filtrare il suo nome? Non vorrei che fosse un tentativo di bloccare tutto, una sentenza anticipata per chiudere la vicenda e impedire si arrivi alla verità».
Le cose non sembrano andare così, peraltro. Il pontefice per primo desidera che si proceda, «addolorato» ma «sereno» e ben «determinato» a «guardare avanti». Sabato Benedetto XVI ha invitato i fedeli ad avere fede e fiducia, la Chiesa è fondata evangelicamente «sulla roccia». Oltre la guerra che si è consumata negli ultimi anni, tra chi ha raggiunto il potere e chi non lo ha più, o vorrebbe averlo. Tra le Mura leonine, di questi tempi, è citatissimo l'aneddoto attribuito al cardinale Ercole Consalvi, grande segretario di Stato di Pio VII, la sua risposta a Napoleone che minacciava di distruggere la Chiesa: «Non ci riuscirà, maestà. Non ci siamo riusciti neanche noi».