Carlo Tarallo per Dagospia
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
Benvenuti al Sud de-renzizzato. La Campania va al voto e lo sfidante di Stefano Caldoro, unico governatore forzista rimasto in Italia, sarà Vincenzo De Luca. L’ex sindaco di Salerno ha sconfitto alle primarie Andrea Cozzolino.
Né De Luca né Cozzolino sono renziani: mentre il delfino di Antonio Bassolino aveva sostenuto Gianni Cuperlo, l’ex sindaco di Salerno aveva in realtà votato e fatto votare per Matteo Renzi, per poi trionfare alle primarie senza il minimo sostegno da parte della leadership nazionale del Pd, che anzi ha fatto di tutto per ostacolarlo.
renzi dalema fassina civati gioco dello schiaffo
In Campania, quindi, Matteo Renzi semplicemente non esiste. Ha provato a lanciare in pista un “suo” candidato, Gennaro Migliore, ex deputato di Sel. Migliore ha fiutato l’aria di tracollo e si è ritirato due giorni prima del voto. Nessuno, ma proprio nessuno, l’avrebbe votato perché nessuno, in Campania, considera Matteo Renzi il proprio leader.
O meglio: quasi tutti i capibastone si definiscono renziani, ma agiscono autonomamente, senza tenere minimamente in conto le indicazioni del Nazareno. Basti pensare alla tragicommedia che ha visto come protagonista Lorenzo Guerini, braccio destro di Matteuccio, incaricato di seguire la vicenda-Campania e di trovare il modo di evitare le primarie (obiettivo fallito) e la vittoria di De Luca (idem).
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
Guerini, per mesi è stato frullato a dovere dai capi delle 11 (undici) sottocorrenti in cui è diviso il Pd campano: bassoliniani, pittelliani, dalemiani, dalemiani “eretici”, giovani turchi, renziani della prima ora, renziani dell’ultima ora, ex popolari per Renzi, ex popolari per Cozzolino, deluchiani, caldoriani (già, ci sono tantissimi piddini che preferirebbero la vittoria di Caldoro e lo dicono pure). Ha partecipato a direzioni regionali estenuanti, ha riunito a Roma molte volte i capicorrente campani tentando di trovare un nome, un candidato, che andasse bene ai 2/3 del partito regionale e consentisse di evitare primarie e vittoria di De Luca. Nulla di nulla.
MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN
Quello che a Roma andava bene per tutti (Gino Nicolais, Gennaro Migliore) diventata “inaccettabile” non appena le allegre carovane di piddini campani tornavano nei rispettivi quartieri generali. Alla fine la credibilità di Guerini è risultata distrutta: mentre all’inizio dei questa incredibile tarantella i piddini della Campania, parlandone al telefono, lo chiamavano “Lorenzo” per simulare una certa confidenza, adesso non c’è un solo dirigente Democratico che non usi la formula sprezzante “questo Guerini”, rimpiangendo “i bei tempi di Stumpo e Migliavacca”.
Sul tracollo renziano in Campania si staglia l’ombra del baffo di Massimo D’Alema. Dietro il successo di De Luca, infatti, c’è anche lo zampino del suo luogotenente campano Massimo Paolucci, europarlamentare piddino che ufficialmente ha “lasciato il partito” in disaccordo con la gestione della vicenda da parte della segreteria nazionale, e che stando a spifferi attendibili ha dato una bella mano nelle urne all’ex sindaco di Salerno.
D’Alema, la scorsa settimana, due giorni prima delle primarie, è stato a Napoli: ha partecipato a un incontro pubblico nel corso del quale ha randellato Matteo Renzi manco fosse un esponente dell’opposizione. Se Vincenzo De Luca diventerà governatore della Campania, l’opposizione interna a Renzi e al giglio magico avrà messo a segno un colpaccio.
Ecco perché, come sussurrano tantissimi renziani a Roma, in fondo Matteo si augura la vittoria di Stefano Caldoro. Meglio un socialista-forzista che un potenziale avversario interno. Così ragiona oggi Matteo Renzi. Anzi, come dicono i piddini a Napoli, “questo Renzi”.