Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica”
Il grande freddo tra Beppe Grillo e Luigi Di Maio arriva in pieno luglio, alla vigilia dei trent’anni del vicepresidente della Camera (li compirà domani) e sullo sfondo di quella battaglia romana che è diventata il crocevia delle correnti del Movimento 5 Stelle.
Il fondatore, ancora detentore di un simbolo da cui ha tolto il nome, ma che rimane di sua proprietà, ha chiamato Virginia Raggi per chiederle di fare un passo indietro sulla nomina di Daniele Frongia a capo di gabinetto e di Raffaele Marra come suo vice.
Lo ha fatto perché per gli “ortodossi” nominare qualcuno che avrebbe un potere dimezzato per via della legge Severino (Frongia) e un vice che ha avuto a che fare con l’ex ad di Ama Panzironi, oltre che con Gianni Alemanno e Renata Polverini, era impensabile.
Lo ha fatto nonostante la sindaca di Roma fosse stata coperta dalle parole pubbliche, a Spoleto, di Luigi Di Maio. «Non abbiamo pregiudizi su chi ha lavorato in altre amministrazioni », rispondeva l’esponente del direttorio a una domanda su Marra. E invece, quei pregiudizi, gran parte del Movimento li ha.
Così, è servito l’intervento di Grillo a sconfessare la linea sempre più pragmatica del candidato premier in pectore Di Maio, che tra un pranzo all’Ispi alla presenza - il 22 aprile scorso - dei vertici di aziende e istituzioni (tra cui Pirelli, Intesa Sanpaolo, A2A, ENI e l’ex premier Monti), una cena riservata con imprenditori italiani a Londra, una colazione privata con tutti gli ambasciatori dell’Unione e un invito in Israele già questa settimana, tesse una tela che per molti movimentisti della prima ora non è esattamente quella di un perfetto 5 stelle.
La distanza tra Grillo e Di Maio si era già manifestata, viene da lontano. Nei mesi scorsi l’ex comico spesso si era lamentato con un «non mi fido». Una sfiducia nascosta dai toni - sempre in bilico tra commedia e politica del fondatore del Movimento, ma evidente ai più e, soprattutto, palese ai nemici interni di Di Maio che vorrebbero fermarne la corsa a Palazzo Chigi.
Nell’ottobre del 2014 al Circo Massimo, ad esempio, nei giorni in cui si parlava di un’”incoronazione” come leader politico del vicepresidente della Camera, Grillo prendeva la parola dopo di lui sul palco con una battuta: «Era un ragazzo napoletano che diceva poche parole in un paesino della Campania...ora è un mostro, anche gli altri, mostri, io e Casaleggio finiremo al Parlamento europeo con Mastella».
E il 24 gennaio 2015, alla Notte dell’Onestà a Roma, il fondatore ringraziava «i ragazzi» definendo Di Battista «il nostro guerriero» e Di Maio «un politico straordinario che piace alle mamme e ai bambini» («”Un politico” - notava in diretta un detrattore - capito che ha detto? »). Va peggio il 18 ottobre 2015: alla kermesse di Imola, dal titolo programmatico «Il Movimento 5 stelle al governo», Beppe Grillo spiegava, fuori dal suo albergo: «Non si tratta di Di Maio o Di Battista.
Nel Movimento ci sono decine di persone pronte. Perché dobbiamo candidarle attraverso la tv? Su questo la gente deve maturare».
E sul palco, sempre arrivando dopo di lui: «È una macchina da guerra, ma quando lo abbiamo preso parlava come Bassolino. Io gli dicevo: “Luigi come va? E lui: “O nun me romp u cazz”». Quel giorno, a domanda diretta sul futuro di Di Maio da candidato premier, Gianroberto Casaleggio aveva risposto tra i banchetti: «Non è certo, decideremo in rete».
Poco dopo sono arrivati il passo sempre più di lato di Grillo, la morte di Casaleggio, una campagna per le comunali giocata da Di Maio tutta in prima linea, in tv e nelle piazze. E quella distanza dal fondatore, l’esponente del direttorio grillino, non l’ha più subita, ma ha addirittura cominciato a ostentarla.
A In mezz’ora, il 30 maggio scorso, spiegava che Grillo è il garante delle regole, ma aggiungeva: «Lo avete più visto su un palco? Lo avete più visto parlare a nome del Movimento? Eppure questo era impensabile tre anni fa. Il passo di lato è nei fatti, senza il famoso parricidio di cui tutti parlavano».
Ancor più netto, in una conferenza stampa in cui presentava i candidati sindaci del Movimento, a una domanda sull’uscita di Grillo che prefigurava un “algoritmo” per far espellere i politici traditori, Di Maio tagliava corto: «È solo la battuta di un comico».
La freddezza è certificata. Il futuro non ancora. Le lotte dei 5 stelle, non solo a Roma, sono appena cominciate.