Tonia Mastrobuoni per “la Stampa”
David GunnlaugssonIl centrodestra che aveva condotto l'Islanda alla bancarotta finanziaria del 2008 torna al potere. Imperniando la campagna elettorale sulla promessa di mettere fine all'austerità con tagli alle tasse e ai debiti, ma affidandosi anche a parole d'ordine euroscettiche, il Partito Indipendente e il Partito del Progresso hanno ottenuto alle elezioni politiche di ieri la maggioranza dei seggi in Parlamento (38) prendendo rispettivamente il 26,7% ed il 24,5% dei voti. Crollati i partiti dell'alleanza di governo (socialdemocratici e verdi). Il partito dei Pirati raggiunge il 5,1%.
È quasi certo che i due partiti del centrodestra, che hanno governato quasi sempre l'isola del Nordatlantico nella storia del secondo dopoguerra, formeranno un nuovo esecutivo. Per il capo del Partito Indipendente e probabile primo ministro Bjarni Benediktsson «siamo stati nuovamente chiamati a governare perché sono evidenti gli effetti dei tagli sul sistema sanitario e sociale».
Bjarni BenediktssonMa è stata la demagogia e regnare sovrana nella campagna elettorale del centrodestra: promesse di sgravi fiscali e soprattutto una nuova sforbiciata al debito ai danni dei creditori stranieri.
Bjarni BenediktssonÈ probabile inoltre che il processo di adesione all'Unione europea, già avviato, subisca una brusca frenata. I vincitori delle elezioni sono tradizionalmente vicini alla potentissima lobby dei pescatori, che si oppone all'ingresso nella Ue e all'adozione dell'euro. La tesi è che convenga mantenere il forte protezionismo interno - il Paese è blindato verso gli investitori stranieri che vogliano conquistare quote del mercato ittico continuando ad approfittare del generoso mercato unico europeo. Il fronte pro-euro, invece, punta il dito contro l'instabilità della corona, che continua a erodere la ricchezza delle famiglie (prima del crac 70 corone valevano un euro, oggi il cambio è oltre quota 150).
Va ricordato che negli anni 2000 l'Islanda si era trasformata in un gigantesco polo finanziario: le prime tre banche valevano dieci volte il Pil. Quando fallirono, nel 2008, furono nazionalizzate ma per lo Stato non ci fu scampo: fallì. Per limitare i danni Reykjavik decise con un referendum di non ripagare molti debiti, facendo infuriare il Regno Unito e i Paesi Bassi, i due maggiori creditori.
David GunnlaugssonMa ora il Partito del Progresso di Signundur David Gunnlaugsson ha raddoppiato i voti promettendo un altro taglio del debito ai danni dei creditori stranieri per ottenere risorse per uno sconto del 20% sui mutui immobiliari appesantiti da un'inflazione a due cifre. Dal 2008 l'Islanda soffre inoltre di un blocco dei capitali che sarà una delle prime sfide che il governo dovrà affrontare.