“SE OGGI GIORGIA MELONI DICESSE LA VERITÀ SUI CONTI, SAREBBE COSTRETTA A SCONTENTARE MOLTI” – TITO BOERI: “SE IL GOVERNO DECIDESSE DI NON DARE INDICAZIONI SUL DEFICIT PROGRAMMATICO DEL 2025 SAREBBE UN PESSIMO SEGNALE ALLE IMPRESE, ALLE FAMIGLIE E AI MERCATI. CREDO CHE MELONI STIA SUBENDO FORTI PRESSIONI PER AUMENTARE LA SPESA E STIA PRENDENDO TEMPO. UN PARADOSSO MENTRE IL PAESE CERCA DI SPENDERE 200 MILIARDI DEL RECOVERY PLAN – E QUEL POCO CHE STIAMO SPENDENDO, NON È DEDICATO ALLE VOCI SU CUI CI ERAVAMO RIPROMESSI DI AUMENTARE LA SPESA, COME GLI INVESTIMENTI NELLA SANITÀ”

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Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera per “la Stampa”

 

tito boeri tito boeri

«Se il governo decidesse di non dare indicazioni sul deficit programmatico del 2025 sarebbe un pessimo segnale alle imprese, alle famiglie e ai mercati».

 

[…] Tito Boeri, già presidente dell'Inps e professore alla Bocconi ne ha tanto per Giorgia Meloni quanto per il leader della Cgil Maurizio Landini, che sta lanciando quattro referendum per smontare l'impianto del Jobs Act: «Del tutto anacronistici. Sarebbe meglio la Cgil si occupasse dei contratti scaduti».

 

Boeri, il governo sta facendo fatica a gestire i conti. Non sono ancora chiari nemmeno i costi dei superbonus edilizi del 2023. Faccio l'avvocato del diavolo: forse Giorgetti non ha alternative?

«Qualunque sia la ragione è una modalità molto pericolosa, non sono certo sia nemmeno conforme alle regole europee».

 

landini meloni landini meloni

Perché pericolosa?

«Dal punto di vista del principio è una violazione di una regola di trasparenza della politica economica, e dunque anche della democrazia. Ma c'è di molto peggio, ed è la conseguenza sulle aspettative di mercati, imprese, famiglie. Se il governo non precisa il deficit programmatico, sta dicendo ad esempio che non sa se avrà i fondi per confermare la decontribuzione o il taglio dell'Irpef varato l'anno scorso. Se così fosse, le imprese sarebbero indotte a investire meno e le famiglie a spendere. In ultima analisi, potrebbe vanificare gli effetti positivi di queste misure».

maurizio leo giorgia meloni giancarlo giorgetti maurizio leo giorgia meloni giancarlo giorgetti

 

E allora perché il governo si prende questo rischio?

«Credo che Meloni stia subendo forti pressioni per aumentare la spesa. Sta prendendo tempo: se oggi dicesse la verità, sarebbe costretta a scontentare molti. Un paradosso mentre il Paese cerca di spendere i duecento miliardi del Recovery Plan».

 

A proposito, come sta andando il Pnrr? Stiamo recuperando i ritardi accumulati?

«Non so rispondere a questa domanda, perché i dati a disposizione sono molto carenti».

 

GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI

L'ultima relazione semestrale sul Pnrr non è esaustiva?

«Assolutamente no […]  quel poco che stiamo spendendo, non è dedicato alle voci su cui ci eravamo ripromessi di aumentare la spesa, come ad esempio gli investimenti nella sanità pubblica. Da questo punto di vista l'occasione del Pnrr è perduta: in quel settore non si sta spendendo un euro […]».

 

[…] Il governo sarà costretto a mettere mano alla spesa per pensioni anche quest'anno? Gli ultimi dati dicono che le spese previdenziali crescono più delle entrate.

«Non mi pare il governo si possa permettere un'ulteriore stretta alla previdenza, sarebbe socialmente insostenibile. […]».

 

MAURIZIO LANDINI GIORGIA MELONI A PALAZZO CHIGI MAURIZIO LANDINI GIORGIA MELONI A PALAZZO CHIGI

[…] Molti studiosi sostengono che la ragione dei bassi salari è sempre più un problema di produttività.

«Il problema dei bassi salari c'è ovunque, anche nel lavoro qualificato, e potrebbe essere causato da una mancanza di concorrenza tra imprese nel procacciarsi i lavoratori. Per dirla più chiaramente: possono permettersi di pagarli poco. È un tema complesso, ma certamente è uno di quelli di cui dovrebbe occuparsi la Cgil. Fra i Paesi più ricchi del mondo i salari italiani hanno perso più potere d'acquisto che altrove, e invece Landini si preoccupa di indire un referendum su una norma del 2015, peraltro depotenziata da una sentenza della Corte costituzionale. […]» .

 

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