di Tina A. Commotrix per Dagospia
Che gran botto/ al Quirinalotto
Mattarella sull’altare/
Il Nazareno nel pitale
La lettura mattutina dei quotidiani suggerisce, però, rime meno baciate.
E’ un torrente di parole, associato ai rituali gridolini di stupore scanditi nei titoli dei grandi giornali, ad accompagnare infatti la silenziosa ascesa al Colle più alto del mite e riservato Sergio Mattarella. Da sette anni, fonte l’agenzia Ansa, il neo presidente della Repubblica non rilascia dichiarazioni su alcunché.
E il suo non far parte della dinamica caciarona di quell’osceno “Teatrone della politica”, definizione dell’ottimo cronista de “la Repubblica” Filippo Ceccarelli, sembra renderlo già meritevole di andare al Quirinale nei panni grigi dell’ex democristiano doc e rispettabile.
Almeno agli occhi ingenui di chi è arrivata nella Roma potentona dei Palazzi per giocare al Quirinalotto con i vecchi e scaltri notabili di una partitocrazia. Un intero sistema politico che all’inizio degli anni Novanta è stato seppellito sotto le carte giudiziarie di Tangentopoli.
“E non soltanto…”, fa osservare il nostro amato interlocutore seduti all’aperto ai tavolini di “Settimio all’Arancio”. Siamo a pochi passi da Montecitorio. Qui nella trattoria dove gli ex giovani Dc festeggiano l’ultimo gran colpo di coda della Balena bianca. Mentre mastica amaro il senatore Denis Verdini, attovagliato a distanza di sicurezza dagli ex De Mita’s boys.
Dopo la “beffa del Nazareno”: Mattarella successore di Napolitano, i suoi avversari forzisti vorrebbero sbranare la “colomba” berlusconiana di Fivizzano.
“Al tavolo verde del Nazareno erano seduti due bari patentati: Renzi e Berlusconi. Ma giocare d’azzardo è fare esperimenti con la casualità e soprattutto sfidare la sorte… E il caso sosteneva Balzac è un grandissimo artista, visto come ha premiato nell’occasione l’astuto Renzi. Certo, anche per Matteo le prossime mani di poker, Italicum e salvacondotto pro Silvio, non saranno una passeggiata con Mattarella a vigilare che qualcuno trucchi nuovamente le carte…”, aggiunge il nostro interlocutore.
“… povero il Cavaliere, nonostante il nome di Mattarella gli fosse stato sussurrato all’orecchio per tempo da Gianni Letta, non aveva messo troppo nel conto l’asso coperto che il suo rivale avrebbe scoperto prima della quarta votazione”.
“… e così, ancora una volta, Silvio ha perso contro l’antico nemico storico degli anni da bere Ottanta: la sinistra Dc. La corrente interna avversaria storica del suo amico e sodale socialista Bettino Craxi”.
“… e adesso tutti scoprono che se la vecchia Balena bianca è morta in giro ci sono ancora i democristiani con i loro melvilliani capitan Achab.
Nell’evocare il vecchio partito dello Scudocrociato i media, sorpresi e sconcertati, sono tornati a parlare della sua “resurrezione” quasi dimentichi – faccio ingenuamente presente - che a guidare l’ex Pci, e il governo del Nazareno, c’è un ragazzotto di Rignano sull’Arno che si è fatto le ossa proprio nella Dc post demitiana.
“Anche se i modelli di riferimento del Matteuccio Renzi non sembrano essere quelli di Moro o Zaccagnini, ma quelli del suo corregionale bischero, l’aretino Amintore Fanfani”, precisa il nostro attento e garbato commensale.
“Amintore, detto – appunto -, Amino per i modi bruschi, e dittatoriali, nel comandare a bacchetta il suo partito negli anni Sessanta. Fini male anche per lui secondo l’implacabile legge del raffinato umorista americano Will Cuppy, sul Declino e la caduta di praticamente tutti (gli uomini illustri), appena pubblicato per i tipi add-editore.
L’ha letto?”.
No.
Incredibile, dunque, ma vero.
Un rigoglioso Biancofiore è spuntato tra la falce arrugginita e martello d’antan in quel nuovo che indietreggia nella cosiddetta seconda Repubblica, almeno a dare altro credito al nostro interlocutore. A quanto pare, però, da giorni leggo e vedo in tv, che il tutto sarebbe accaduto all’insaputa proprio dei giornaloni dei Poteri marciti.
Che, distratti!
Così, dopo l’elezione di Mattarella-Lazzaro i media sono costretti a evocare la Dc come una sorta di mitologica Araba fenice che ogni volta risorge dalle sue ceneri.
henry kissinger giovanni leone aldo moro rome 1975
“Posta fata resurgo”.
“Sì, con buona pace di chi non voleva neppure morire democristiano, ch’è soltanto il titolo a un editoriale del solfureo Luigi Pintor su “il Manifesto” dell’aprile 1983. Siamo cioè alla vigilia delle elezioni politiche. Un epiteto di cui gli ultimi estimatori sono stati, quegli ignorantoni dei leghisti aizzati da Calderoli. Sì, proprio lui il papà (ig)nobile del Porcellum”.
Nell’aula di Montecitorio, i nipotini di Umberto Bossi hanno esposto la copia del quotidiano “il Manifesto”, perché ostili alla scelta, che replicava appunto quel pintoriano “non voglio morire democristiano”.
ROSSANA ROSSANDA LUIGI PINTOR LUCIO MAGRI
“L’ennesima stupidata”, insorge l’amico.
“Lasciamo perdere Calderoli, forse neppure la redazione (superstite) del quotidiano fondato all’inizio degli anni Settanta dagli eretici dell’ex Pci ha mai (ri)letto quel fondino di Pintor in cui, in pratica, s’auspicava una convergenza a sinistra tra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi per impedire che la Dc stravincesse nelle urne”.
“Ma una volta conosciuti i risultati del voto delle politiche - pesante sconfitta della Dc a guida De Mita - nel giugno dello stesso anno, il Giano-Pintor, l’autore del volumetto autobiografico Il nespolo (Boringhieri), poteva scrivere quasi sollevato: Abbiamo vinto le elezioni, noi che da sempre abbiamo indicato nella Dc l’avversario da battere. Forse non moriremo democristiani…”.
Vecchio simbolo della Dc (democrazia cristiana) MANIFESTO ELETTORALE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA jpeg
Forse...
Su quel “non morire democristiano” ironizzava alla sua maniera il divino Giulio Andreotti: “Non capisco perché Luigi, un santino comunista, si è posto il problema di non tirare le cuoia sotto lo scudocrociato. La questione, semmai, riguarda noi cattolici democristiani non lui… Morire in casa propria non è poi il l’aspirazione di ogni buon cristiano?”.