Michele Arnese per www.formiche.net
Ma che sta succedendo al Piano Juncker? O meglio, il piano per la ricrescita economica dell’Europa è davvero fattibile o ha qualche pilastro che già scricchiola? O, forse, rischia di collassare prim’ancora di partire?
Le domande, per nulla peregrine, non sono troppo dietrologiche, visti i rilievi dell’economista Giuseppe Pennisi. Anzi, sorgono dopo l’annuncio da parte della Bei (Banca europea per gli investimenti) dei primi progetti di prestiti approvati secondo le previsioni dello schema che prende il nome dal presidente della Commissione Ue, il 60enne lussemburghese Jean-Claude Juncker, come ha scritto su Formiche.net l’economista Paolo Savona.
renzi tsipras rutte juncker all eurogruppo
Ma andiamo con ordine, anche perché ci sono novità non troppo confortanti. I numeri del piano sono chiari. Anzi, più di un piano si deve parlare di un fondo: una posta patrimoniale che serve da base per un’attività addizionale della Bei (la banca dell’Unione europea) dal valore complessivo di 21 miliardi di euro.
Il fondo si chiama Efsi (European Fund for Strategic Investments) ed è composto da 5 miliardi che arrivano dalla Bei e 16 miliardi di euro che sono le garanzie messe a disposizione dalla Commissione europea (del valore doppio rispetto al valore degli stanziamenti del bilancio Ue sottratti ad altri capitoli di spesa, come svelato qui da Formiche.net).
A che serve il fondo? A finanziare – come ha ricordato l’economista Pasquale Lucio Scandizzo – investimenti pubblici e privati per realizzare opere per circa 315 miliardi di euro: 240 destinati a progetti infrastrutturali e innovativi; 75 a piccole e medie imprese.
Il fondo, come detto, mobiliterebbe quindi 315 miliardi di euro. Ma come avviene tale processo? Grazie a un “effetto moltiplicatore combinato di x 15”, si legge nei documenti della Commissione europea che ora sono al vaglio dell’Europarlamento e del Consiglio Ue (e non mancano tensioni per il varo dei regolamenti attuativi, secondo alcune indiscrezioni).
Ovvero: ogni singolo euro del fondo (che è una posta statica il cui compito è quello di registrare eventuali prime perdite, dicono i tecnici che s’intendono della materia) mobilita 15 euro di investimenti. Questo rapporto nasce così.
I 21 miliardi di euro permettono alla Bei di aumentare i prestiti, rispetto alla normale operatività, di 21 miliardi ogni anno nel periodo 2015-2017. O meglio metà 2015-metà 2018, visto che l’Efsi è già in ritardo, come è stato notato implicitamente dalla stessa Bei in un’audizione parlamentare e come si comprende anche da un report dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo. Quindi questa prima leva da “fondo” a “prestiti” è pari a tre, e dovrebbe portare la Bei a maggiori prestiti per complessivi 63 miliardi di euro (21 miliardi all’anno per tre anni. Quindi, 1 a 3.
Questi 63 miliardi, sempre secondo i documenti ufficiali della Commissione e della Bei consultabili da mesi sui rispettivi siti, avrebbero un “effetto catalitico” (così è definito dai tecnici bruxellesi) per altri 252 miliardi (pubblici e privati) portando quindi gli investimenti attivati a 315 miliardi (63 più 252) con una leva quindi di 5 da “prestiti Bei” a “investimenti attivati”. Ed ecco allora che si comprende la leva finale di 15, frutto della moltiplicazione fra 3 (leva da “fondo” a “prestiti Bei”) e 5 (da “prestiti Bei” a “investimenti attivati”): 3×5=15.
Per questo, tra gli addetti ai lavori, da tempo si bofonchia: ma è realistica una leva di 1 a 15? “Funziona, funziona”, il leit motiv di Commissione e Bei. E’ proprio vero? Si vedrà.
Ma a giudicare dal primo pacchetto di finanziamenti annunciati ieri dal presidente della Bei Werner Hoyer, tedesco (uno dei tanti nei gangli vitali delle istituzioni cosiddette comunitarie), ex sottosegretario agli Esteri del precedente governo della cancelliera Angela Merkel, la seconda leva (quella 1 a 5 tra prestiti Bei e investimenti attivati) è sensibilmente più bassa di quella promessa.
Secondo il comunicato diramato dalla Bei, infatti, sono stati approvati quattro progetti (in Italia, Spagna, Irlanda e Croazia) per totali 300 milioni, che una volta che l’Efsi sarà partito attiveranno 850 milioni di investimenti. Leva inferiore a 3, quindi; altro che 5. E per l’Italia? Beneficiario sono le acciaierie del cavalier Giovanni Arvedi, il quasi 80enne imprenditore di Cremona alle prese da anni con la crisi del settore siderurgico. Il comunicato stampa di ieri diffuso da Arvedi sottolinea che il prestito di 100 milioni di euro dalla Bei (ex piano Juncker) permette di attivare investimenti per complessivi 227 milioni di euro. Quindi con una leva di poco superiore a 1 a 2.
parodia su twitter del saluto tra david cameron e juncker
Allora, per questo primo pacchetto: uno a meno di tre la leva complessiva; uno a poco più di 2 la leva per il caso italiano. Ben più basse, entrambe, della leva 1 a 5 promessa da Juncker e Hoyer.
Se questa fosse la leva dei prossimi mesi e triennio del piano Juncker, si borbotta in ambienti finanziari che maneggiano ogni giorno queste materie, avremmo l’attivazione di investimenti per 180 miliardi (1 a poco meno di 3) o per 135 miliardi (uno a poco più di due) nell’intero triennio. Con un pil europeo che viaggia sui 13.500 mila miliardi di euro ogni anno, si tratta di investimenti attivati (e non prestiti) che oscillano tra lo 0,25% e lo 0,44% del pil.
Peanuts, direbbero Oltreoceano.
Noccioline o truffa mediatico-politica?
Cercheremo di capirlo.