Piero Colaprico per Repubblica
«Non mi faccio condizionare da nessuno. Com'è possibile dipingere un presidente Formigoni condizionato da qualcuno? », dice il governatore della Regione Lombardia. Lo dice dopo aver saputo che i magistrati vogliono tenere ancora in carcere i due faccendieri Piero Daccò e Antonio Simone, perché hanno potere di ricatto, e perché stanno arrivando altre carte giudiziarie.
formigoni DACCO' - FORMIGONIFormigoni contrattacca, ma è come se non ricordasse di aver ricevuto a giugno l'invito a comparire per corruzione, e di non aver mai mostrato le ricevute dei cinque lussuosi capidanno, di yacht a disposizione, di eventi, cene e vari benefit mai pagati da lui. Come se Formigoni non conoscesse la pericolosità di un avverbio che lo riguarda ed è «naturalmente»: «Naturalmente anche Antonio Simone più volte ha sottolineato l'amicizia che legava sia lui che Pierangelo Daccò a Roberto Formigoni. I due riferivano del loro rapporto d'amicizia indicandolo come la ragione che consentiva loro di "aprire le porte" in Regione».
MERCOLEDÌ LA PAROLA AL GIP
Sta qui, sempre qui, la questione, e a parlare così era Costantino Passerino, il braccio operativo della Fondazione Maugeri. È anche per questo e altri verbali di numerosi dipendenti del San Raffaele, della Maugeri e pure del Fatebenefratelli; è anche per l'elenco delle delibere regionali sospette e le relazioni dei consulenti, che mercoledì si arriverà a una piccola svolta.
E cioè a inquadrare più da vicino il percorso che «naturalmente» ha fatto diventare ricchissimi, ma senza apparente spiegazione, senza una logica connessa al lavoro, Simone e Daccò. Fra tre giorni, dunque, il gip milanese si troverà davanti per la prima volta i pm e i difensori dei due amici di Formigoni.
FORMIGONI SULLO YACHT DI DACCO Formigoni Roberto correPOTERE FORMIDABILE
Il muro contro muro è nettissimo. I primi chiedono, a sorpresa, un trimestre di proroga dell'arresto. Lo ritengono indispensabile perché, se i due "apriporte" tornassero liberi, «anche in forza di chances "ricattatorie" di cui possono avvalersi», potrebbero, così sostiene l'accusa, «incidere ancora e illecitamente» sulla Regione Lombardia. Perché quei due hanno, secondo l'accusa, un «formidabile potere», anche grazie alle loro «complicità» interne. In altre parole, conoscono segreti, hanno versato soldi, possono chiedere favori e inquinare le prove.
SPARITO IL RICICLAGGIO
I difensori, viceversa, hanno notato che è sparito il reato di riciclaggio, contestato all'inizio. Adesso c'è un'associazione per delinquere, finalizzata alla corruzione. Daccò e Simone sono in concorso con Passerino e con Umberto Maugeri, e il presunto corrotto (meglio: uno dei presunti corrotti) è Formigoni. Può reggere questo schema? Nei corridoi della procura si sente pronunciare una frase che sa di tempi antichi: «Se non è zuppa è pan bagnato». Lo diceva Antonio Di Pietro, per far capire che se c'è un passaggio indebito di denaro, più che importante la veste giuridica, è importante capire che cosa sia capitato di contrario alle leggi.
COME TANGENTOPOLI
L'udienza è fissata a una settimana esatta dalla pesantissima condanna di bancarotta per Daccò, dieci anni, una sentenza che ha dato più valore all'impostazione accusatoria. Ma arriva due giorni prima della data che il co-indagato Simone aspettava per lasciare la cella di San Vittore: venerdì scadono i termini del carcere preventivo, ora però la libertà potrebbe allontanarsi. Per una volta, Formigoni non prende le distanze: «Mi sembra un accanimento abnorme nei confronti di due persone alle quali è stato inflitto un periodo di carcerazione preventiva che non ha precedenti in Italia, neppure all'epoca di Mani pulite».
COL "PRES" IN VACANZA
In realtà, per continuare il paragone improprio, ai tempi di Mani pulite nessuna "coppia" di faccendieri ha mai incamerato da sola gli 80 milioni di euro razziati sin qui grazie alle coperture in Regione: «Daccò e Simone dice Passerino - mi riferivano di vacanze trascorse insieme con il presidente e al suo entourage (...) Spesso Daccò, a fronte delle mie richieste, mi rispondeva che sarebbe andato in vacanza con "il Pres", intendendo Formigoni e che avrebbe potuto parlare con lui dei problemi della fondazione (...) Ero certo che le loro vacanze fossero pagate con i nostri soldi». E cioè che con i soldi pubblici che la Regione versava come contributo e rimborso alla Maugeri e sui quali Daccò ritagliava percentuali del 25 per cento, e del 12,5 per cento.
IL PIZZO DEL FATEBENEFRATELLI
Il loro potere di ricatto è una fantasia dei pubblici ministeri? «La mia opinione - si legge nel verbale di Passerino - è che dietro Daccò e Simone ci fosse un articolato di soggetti che garantivano il buon esito della loro attività (...)». Questa visione catastrofica è condivisa anche da Umberto Maugeri, il titolare:
«Il nostro equilibrio finanziario dipendeva da provvedimenti discrezionali della Regione Lombardia. Mi fate presente che anche il San Raffaele e il Fatebenefratelli pagavano il "pizzo" a Daccò e devo dire che effettivamente si tratta di un vero e proprio sistema». Nel quale i due faccendieri navigavano «naturalmente».