Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Troppe interviste, troppe polemiche. Denis Verdini è furibondo con i suoi parlamentari. E ieri, nel primo incontro post elettorale al quarto piano di via Poli - parquet tirato a lucido e soffitti a cassettoni - il leader di Ala ha richiamato tutti all' ordine e al silenzio.
«State tranquilli, i numeri parlamentari sono sempre gli stessi, Renzi ha bisogno dei nostri voti e dunque non cambia nulla nel rapporto con il Pd». Prima la carota, poi il bastone: «Dovete smetterla di raccogliere provocazioni. Centralità significa essere determinanti in Aula, non rilasciare interviste sensazionali».
Un appello alla prudenza, rivolto a senatori loquaci come Vincenzo D' Anna. E un richiamo a concentrarsi sul lavoro parlamentare. Perché, ha spiegato ai suoi Verdini, «se stiamo alla realtà vediamo che la sinistra del Pd può strepitare quanto vuole, ma noi restiamo indispensabili».
Poi l' analisi del voto, in cui il senatore che guida il drappello di Ala ha sottolineato la «débâcle» di Forza Italia e della Lega e fatto autocritica sui magri risultati della lista a Napoli. «Forse i tempi non erano maturi per scendere in campo con il nostro simbolo», avrebbe detto Verdini. Una lunga riunione per ribadire che Ala è nata per fare le riforme.
«La nostra lunga marcia per le riforme continua. È partita dal Caf di Craxi, Andreotti e Forlani e arriverà in porto con Renzi». Parola del senatore Lucio Barani, che non ha smesso di sentirsi un padre costituente: «Io sono socialista e mi piace essere associato a Pertini e Calamandrei».
Quando Matteo Renzi ha detto che l' alleanza con Verdini «è un tema che non è mai esistito», in via Poli è scattato l' allarme rosso. Eppure i verdiniani continueranno a offrire i loro voti al governo, convinti che siano vitali. «La linea non cambia - conferma Ignazio Abrignani -. I non amici hanno strumentalizzato il nostro risultato elettorale e le parole di Renzi, al quale io non ho mai sentito pronunciare la frase "basta con Verdini"».
Se dunque la prospettiva del Partito della Nazione si allontana, il rapporto tra democratici e verdiniani è destinato a continuare. Come prima e, forse, più di prima. Lo conferma Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera: «Continueremo a consultarci sui provvedimenti, come facciamo con tutti i gruppi parlamentari che ce lo chiedono».
L' accordo dunque tiene? «Loro valuteranno volta per volta se votare le leggi o no. Il loro punto di vista è "meglio fare le riforme, che non farle"». Barani lo dice con parole diverse, ma il senso è lo stesso: «Non siamo quelli che si castrano per fare un dispetto alla moglie». Renzi deve aspettarsi segnali o avvertimenti, quando si tratterà di votare la legge sulle banche o il ddl concorrenza? «Non vogliamo dare nessun segnale - assicura il senatore - il tanto peggio tanto meglio non fa per noi.
Senza i nostri voti la riforma costituzionale, le unioni civili e il terzo settore non ci sarebbero stati». Se Renzi è stanco di «alleanze con i partitini», l' onorevole Saverio Romano è invece convinto che la prospettiva di un matrimonio con il Pd non sia affatto chiusa: «L' unico spazio che il Pd può coltivare è quello del rapporto col centro, perché tutti i partitini alla sua sinistra non raggiungono il 4%, mentre la somma dei moderati fa il 10% e se ci aggiungi Forza Italia il 20%...».