Peregalli I luoghi e la polvere piatto
"Così doveva accadere, e questo
forse era già stabilito da molto tempo,
cioè da quel giorno lontano che Drogo
si affacciò per la prima volta, con Ortiz,
al bordo del pianoro e la Fortezza
gli apparve nel greve splendore meridiano..."
(Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari)
DAGOANALISI
La presa della Fortezza Bastiani da parte dei barbari dei Poteri marci e l'annuncio della sua distruzione (vendita all'incanto) è soprattutto uno schiaffo e un insulto alla città di Milano, prima ancora che un atto di prepotenza inaudito e insensato nei confronti di chi lavora in via Solferino, 28: giornalisti, operai, impiegati e le migliaia di cittadini che ogni anno vanno a visitarlo alla stregua di un museo e, spesso, ne frequentano, da studiosi, lo straordinario archivio storico.
Un'offesa stupida e gratuita; una ferita alla città del Manzoni, di Dossi, Gadda, Savinio e Arbasino che, ancora oggi è il principale centro editoriale italiano. "I luoghi hanno per noi un significato in quanto sono attaccati a una stratificazione di sensazioni, di immagini che li fa vivere e che non sono necessariamente la nostra storia", aiuta a ricordarci Roberto Peregalli nel suo delizioso saggio "I Luoghi e la polvere" edito dalla Bompiani.
GIOVANNI BAZOLI FOTO ANSAIl tenente Drogo-Buzzati, che in quel presidio, metafora delle stanze ovattate del "Corriere della Sera" in cui aveva lavorato, attese invano l'arrivo di un nemico invisibile, lo vede materializzarsi oggi con l'arrivo dei barbari-avidi capitanati dai vari (e avariati) Bazoli, Rotelli, Greco, Pesenti, Tronchetti Provera, Merloni, Elkan, Nagel, Della Valle e compagnia stonando.
Il Gotha der potere bancario-economico dell'Italia dei tecnici e dei professori, tollerato da Rigor Mortis e da chi l'ha preceduto alla guida del governo in questi ultimi vent'anni. Non la sciamannata cricca dei "furbetti del quartierino", messa nell'angolo in nome del prestigio e della libertà d'informazione, ma che ora potrebbe pure offendersi di fronte alle malefatte di cui si sono resi protagonisti e si sono macchiati Lor Signori sulle pelle, la storia e la memoria dell'ex impero Rizzoli.
GIUSEPPE ROTELLISe l'Rcs Media Group è indebitata fino al collo (oltre un miliardo di euro) e deve mettere in vendita i gioielli di famiglia avuti in eredità (testate e sede storica), la colpa è tutta - proprio tutta - dei suoi arroganti azionisti di maggioranza. I Poteri marci vincolati da anni in un "patto di sindacato" di ferro in cui hanno potuto fare il brutto e il cattivo tempo. Più il brutto che il bello, in realtà. Fuori da ogni logica economica, finanziaria e manageriale; fuori da ogni aurea regola borsistica. Il flottante del gruppo in piazza Affari, sotto il 20%, da qualche tempo avrebbe richiesto l'intervento della Consob.
E mentre la corazzata Corriere, prima sotto la direzione (doppia) di Paolo Mieli e a seguire quella (duplice) di Flebuccio dei Bortoli, saliva in cattedra denunciando il marcio della politica, delle Caste, delle Razze (straccione) e dei conflitti d'interesse (ovviamente altrui) - facendo spesso di tutta un'erba un fascio e lasciando così sul terreno delle vendite migliaia e migliaia di copie a causa della sua furia pseudo moralizzatrice - non si accorgeva che il marcio era lì dentro, nell'essere stesso dei suoi armatori.
"Questo capitalismo si regge su un architrave - i patti di sindacato - che è la sentina dei conflitti d'interesse", sostiene da sempre il prof. Guido Rossi. Fino a domandarsi (invano) cosa aspettasse l'allora Commissario europeo alla concorrenza, Mario Monti, "a vietare i patti di sindacato che sono un enorme ostacolo al libero mercato della proprietà aziendale".
Rigor Mortis, ovviamente, si è ben guardato dall'accogliere il sano e sacrosanto suggerimento dell'ex presidente della Consob. E al momento di conquistare palazzo Chigi, complice il Quirinale, per questa sua non ingerenza nello sciogliere i patti di sindacato si è guadagnato il pieno e totale sostegno del Corriere dei Pattisti (e non soltanto).
ALBERTO NAGELDi fronte all'immoralità di una proprietà che nonostante alcune spericolate operazioni editoriali e il vasto buco di bilancio che queste hanno arrecato sui conti dell'Rcs, negli ultimi cinque esercizi (2007-2011) - l'ha ricordato il comitato di redazione del Corriere - si è messo nelle tasche "108 milioni di euro, contro risorse provenienti da aumenti di capitale pari a zero", non basta denunciarne una simile pratica cialtrona e di rapina delle risorse e del capitale umano.
Diego della valleIl "caso" Corriere, l'alienazione di un luogo, la sede di via Solferino, un luogo che ormai è, per dirla con le parole autorevoli del filosofo James Hillman, una dei "luoghi-anima" di Milano richiede ben altro delle fragili "contestazioni" fin qui accennate dalla rappresentanza interna dei giornalisti.
Paolo MieliE' arrivato il momento per affermare alcune verità lampanti: il piano presentato dall'amministratore Scott Jovane (taglio della forza lavoro) è il nulla assoluto per il futuro editoriale dell'azienda sia via carta sia via web; la vendita dell'immobile di via Solferino (e di via San Marco) poco più di 200 milioni di euro da incassare non risolverà, almeno nel medio periodo e sempre che ci sia un acquirente, il pesante debito accumulato in Spagna dall'azienda.
Se i Poteri marci e il suo santo protettore, il pio Abramo Bazoli, vogliono "governare" il Corriere si facciano carico dei propri errori (e sprechi) imprenditoriali, procedendo senza indugi ad un robusto aumento di capitale. Altrimenti passino la mano a chi ha soldi freschi o portino i libri contabili in tribunale.
Ferruccio De BortoliDa parte loro le maestranze di via Solferino minaccino azioni legali in tribunale per la cattiva gestione dell'azienda, con la richiesta di commissariamento (se utile), i cui costi salatissimi - con buona pace dei Gabibbo alle vongole -, cadranno nuovamente sulle casse dell'Inpgi e dello Stato.
E il direttore del "Corriere della Sera", che fin qui ha dato fin troppo credito ai suoi padroni, si faccia ricevere dai suoi azionisti per chiedergli - a brutto muso -, se gode ancora della loro fiducia. Flebuccio de Bortoli si è impegnato con i suoi colleghi", "per iscritto", che non avrebbero mai lasciato la sede di via Solferino. Nel momento in cui che viene sputtanano dall'ad. Scott Jovane, quel voltafaccia aziendale sembra suonare anche come un sonoro atto di sfiducia nei suoi confronti.