1. JOSEPH STIGLITZ SUL FINANCIAL TIMES: "PER SALVARE L'EUROPA MEGLIO DIVIDERE L'EURO IN DUE"
L'Europa ha un solo modo per salvarsi: dividere in due la moneta unica. Un euro forte per i Paesi del Nord, e uno più debole a Sud. A scriverlo è il premio Nobel Joseph Stiglitz sul Financial Times, che definsce la valuta europea "difettosa fin dalla sua nascita". Secondo Stiglitz, l'unione monetaria "avrebbe dovuto portare ricchezza e rafforzare la solidarietà europea. Invece ha prodotto il risultato opposto, con Paesi che affrontano depressioni persino maggiori della Grande Depressione"
Il premio Nobel sottolinea come molti hanno abbiano puntato il dito contro una serie di politiche messe in atto dai governi europei, indicandoli come possibili responsabili del fallimento dell'Unione monetaria - come l'eccessiva austerity o la scarsa qualità delle riforme strutturali - ma, spiega - "ci sono problemi fondamentali sulla struttura dell'Eurozona, le regole e le istituzioni che la guidano. Problemi che potrebbero essere insormontabili, aprendo la strada alla possibilità di un più complessivo ripensamento della moneta unica, compreso lo scenario di una divisione".
Secondo l'economista "la fine della moneta unica non rappresenterebbe la fine del progetto europeo, visto che le altre istituzioni resterebbero, così come la libera circolazione delle merci e delle persone".
"È importante che ci sia una transizione morbida fuori dall'euro, con un divorzio amichevole, verso un sistema euro-flessibile, con un Euro forte del Nord e uno più debole del Sud. Certo non sarebbe semplice. Il problema più rilevante riguarderebbe l'eredità del debito. Il modo più semplice sarebbe ridenominare tutti i debiti europei in debiti dell'euro del Sud".
Secondo Stglitz "la moneta unica doveva essere un mezzo per un fine, e invece è diventato un fine in sé stesso, in grado di mettere a repentaglio alcuni aspetti più importanti del progetto europeo, dal momento che alimenta divisioni anziché creare solidarietà. Un divorzio amichevole - prosegue Stiglitz - potrebbe riportare prosperità in Europa e consentire al continente di concentrarsi, con rinnovata solidarietà, sulle sfide più importanti che ha davanti. L'Europa - conclude l'economista - potrebbe dovere abbandonare l'euro per salvare l'Europa e il progetto europeo".
2. STIGLITZ: GERMANIA E GRECIA FUORI DALL'EURO
Anche Joseph Stiglitz si butta nel filone letterario anti-euro con un libro dal titolo immaginifico: «The euro and its Threat to the Future of Europe». L’economista già consigliere di Bill Clinton e ed ex capo economista della Banca Mondiale si inserisce in un filone di sicuro successo anche se, come racconta oggi Stefano Lepri nella sua recensione, si infila anche in qualche contraddizione evidente: come quando il suo ragionamento poggia su un assunto condiviso dagli avversari contro cui di continuo polemizza e inveisce, i neoliberisti.
Ovvero, nella sua interpretazione se ogni Paese europeo avesse conservato la propria valuta, grazie alla magia del mercato si sarebbe meglio adattato ai rapidi mutamenti imposti dalla globalizzazione.
L’ideona di Stiglitz su Germania e Grecia fuori dall’euro
Ma la parte più interessante del libro non è tanto la ricostruzione storica, quanto le proposte per uscire dall’impasse. Sul punto, Stiglitz offre tre alternative. E c’è da segnalare che quella che ritiene migliore prevede una riforma dell’euro con il mantenimento della moneta comune.
La prima, salvare l’euro «seppur non a qualsiasi costo» comporta una lista di innovazioni tutte una volta o l’altra invocate dai governi italiani, e tutte respinte dalla Germania più altre che a Berlino sarebbero accolte ancora peggio, come sanzioni contro i Paesi che esportano molto. Ovvio che non ci speri. Anche perché a somiglianza di molti altri americani gli riesce difficile capire come mai gli europei – britannici a parte – vogliano stare insieme.
A che scopo sognare una via di mezzo tra efficienza tedesca e sregolatezza latina? Se «diversi Paesi nutrono differenti credenze economiche»,scrive, lasciamoli cercare ciascuno la propria strada. Pur preferendo questa via dunque l’ex consigliere del presidente Clinton, ex capo economista della Banca mondiale, ne indica altre due: «divorzio amichevole» o regressione verso una limitata flessibilità dei tassi di cambio.
Nel divorzio, non sarebbe necessario tornare a 19 monete nazionali; meglio se la Germania uscisse da sola o con altri Paesi nordici, in una scissione dell’euro in due. La Grecia starebbe in ogni caso meglio fuori. Qui Stiglitz, molto popolare a sinistra, non riesce a spiegarsi la scelta dell’unico governante europeo di estrema sinistra, il premier Alexis Tsipras. Al suo posto, il salto fuori dall’euro l’avrebbe fatto, più o meno secondo il «piano X» preparato in segreto dal ministro Yanis Varoufakis poi licenziato.
Tsipras valutò nel luglio 2015 che le sofferenze imposte dall’accordo europeo, pur gravi, sarebbero state minori di quelle conseguenti a un ritorno alla dracma. E si può supporre che quando leggerà il libro di Stiglitz non ne rimarrà convinto: una delle misure consigliate è un ferreo controllo alle importazioni, penoso in un Paese che non ha petrolio e compra all’estero il 60% di ciò che mangia.
Chissà invece quanto gli italiani gradirebbero il consiglio di Stiglitz per il Belpaese: finanziare più investimenti pubblici con un aumento delle tasse.