DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - LA DEPRESSIONE E I TRAUMI TRASFIGURATI IN “SEA OF SOLITUDE - DIRECTOR’S CUT” PER NINTENDO SWITCH - IL PROCESSO DI ANAMNESI E DI RIABILITAZIONE DI UNA DONNA SPROFONDATA IN UN MARE DI TENEBRE DOVE NUOTANO I MOSTRI DEL PASSATO. MA C’È UN LUCORE DI SPERANZA ALLA FINE DI QUESTO BREVE E INTENSO VIAGGIO LIQUIDO AL TERMINE DELLA NOTTE… - VIDEO

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Federico Ercole per Dagospia

 

sea of solitude sea of solitude

Sea of Solitude di Jo-Mei Games comincia nelle tenebre liquide della solitudine di una donna chiamata Kay, divenuta un offuscato mostro dagli occhi rossi. Ella naviga sola su una barchetta a motore, per le acque cupe di una città allagata, quand’ecco una luce, qualcosa di luminoso che l’attrae per poi rigettarla, un lucore che toccherà a chi “gioca” ricercare e affermare mentre i mostri di traumi e disillusioni tentano di riacciuffare l’oscura protagonista per ricacciarla nel mare nero della depressione.

 

Sea of Solitude, del quale è appena uscita la versione “director’s cut” per Nintendo Switch, trascorre lento e angoscioso per poche ore e ha il pregio di non pascersi nella sua disperazione, di non fare spettacolo di quella depressione forse irrimediabile su cui si si fondano estetica e narrazione, ma di riuscire attraverso le sue meccaniche ludiche elementari ed immediate ad alimentare fino alla fine  il desiderio del giocatore, affinché egli  infine comprenda le dolorose ragioni che hanno sprofondato Kay in disparte, ingoiata dalla solitudine.

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Si tratta quindi di un gioco catartico, sebbene questo breve e intenso viaggio tra le onde di depressione e misantropia sia a tratti davvero angosciante, toccando un dolere che è umanamente universale, anche se iscritto nell’ambito di un nucleo famigliare “tradizionale” in crisi.

 

I MOSTRI DEL PASSATO

Rappresentazione efficace e lirica di una psiche tormentata, il mondo di Sea of Solitude, tra ombre e possibili luci, è come una Venezia sprofondata dove non sono esclusi tuttavia gli interni di scuole abominevoli, desolanti ghiacciai, fabbriche che pulsano di fiamme e vapori bollenti, così che l’esplorazione non risulta monotona, sia che navighiamo, nuotiamo o camminiamo.

 

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Ci sono innumerevoli mostri dall’aspetto terrificante ad abitare queste lande altrimenti vuote: leviatani dalle zanne abnormi, corvi immani e furiosamente disperati, lucertole fiammanti, piovre dai tentacoli immani. Ma non dobbiamo combattere queste creature, il nostro obiettivo è quello di seguirle, cogliere i ricordi che le hanno trasfigurate in mostri, comprenderle e redimerle, salvando al contempo Kay dai suoi sensi di colpa.

 

C’è un segmento dolente in una maniera quasi insostenibile che racconta, in una anamnesi spietata, le sofferenze del fratellino di Kay, trascurato durante le torture che ha subito dai bulli travestiti da amici che frequentavano la sua scuola. Ci sono i litigi irreparabili di genitori un tempo innamorati, con il progressivo sfaldamento della felicità domestica. C’è il disastro inevitabile di un primo amore.

 

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Lo scenario fantastico non dissimula la disperazione, non la annacqua come ha tentato di fare Kay quando ancora vittima di infecondo egoismo, ma la amplifica e la circoscrive, la comunica senza filtro alcuno, capitolo dopo capitolo, ciascuno dei quali ha il titolo di una canzone: The Sound of Silence, Hurt, Paint it Black, One...

 

Ci sono stati momenti durante i quale chi scrive, come Kay, avrebbe voluto non “ricordare”, spaventato da quel passato che non ha nulla di straordinario nella sua sconvolgente umanità, e quindi risulta condivisibile. Eppure è stato impossibile abbandonare Sea of Solitude, sospinto dalle correnti di una vaga ma non utopica speranza. E finire quest’opera fa bene, consola, da coraggio.

 

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GIOCANDO CON LA MESTIZIA

Non temiate l’assenza di un’azione marziale, dalla quale comunque i videogiochi, e non solo gli indipendenti (Jo-Mei è un piccolo studio ma ha alle spalle colossi come EA e Quantic Dreams), si stanno comunque sempre più emancipando. Infatti sebbene non si combatta, Sea of Solitude non è certo un gioco senza gioco. Nella sua concisione ci sono numerose meccaniche di “platform” in cui saltiamo e ci inerpichiamo, fughe e inseguimenti, la risoluzione di enigmi ambientali, la collezione di bottiglie con i ricordi, la fotografia, la tensione del doversi occultare.

 

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Sea of Solitude non risulta mai difficile, almeno nella sua accezione di videogioco, perché come già scritto di sopra, la sua difficoltà risiede altrove. Non ci perdiamo mai, guidati dalla luce di razzi da marinaio, è raro estinguersi nel Game Over, ma possiamo smarrirci in noi stessi, in un dolore empatico troppo forte.

 

Esperienza da vivere soprattutto in portatile e con gli auricolari per godere di una colonna sonora, che varia da deprimenti e ispirate rarefazioni timbriche alla Alban Berg a spaventose esplosioni ritmiche carpenteriane, Sea of Solitude può essere completato tutto in una notte (sull’eShop di Nintendo costa 19,90 euro, quindi un prezzo accessibile e destinato a calare con eventuali offerte) ma lascia qualcosa di importante nel profondo, come un grande racconto che ci devasta con la sua tristezza solo per farci navigare infine oltre i suoi mari d’oscurità. negando i presupposti iniziali di “un viaggio senza fine nella notte... le visioni di morte... le voci indicibili” fino a laddove “ogni paura resta indietro” e non permane che una dolce tranquillità.

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