Lizzie Crocker per “Daily Beast”
Il luogo segreto per la sensazionale orgia “Killing Kittens” del sabato sera è un loft nel quartiere Flatiron di Manhattan, sopra al negozio di calzature rinominato “Shoegasm”. Giovani donne e uomini si assicurano di avere la maschera (niente maschera niente party) e bevono champagne mentre sono in fila al guardaroba.
«E’ la prima volta che viene a una festa come questa?» chiede un ospite a una ragazza che somiglia a Bridget Jones. I due sono distratti da una figura voluttuosa in abito fetish che inarca la schiena su un tavolo da biliardo. Dietro di lei, su un televisore a muro, passa una scena di “Colazione da Tiffany”.
I biglietti di ingresso costano 100 dollari per le donne single e 250 dollari per la coppia. La sosia di Bridget Jones risponde che non è la sua prima volta, recentemente ha partecipato ad un’orgia nota come “Torture Garden”, che all’orecchio inesperto suona come un ristorante cinese di Guantanamo.
E’ la mia prima volta ad un appuntamento di questo genere. “Killing Kittens”, il “sex party” itinerante con base a Londra, ha debuttato lo scorso weekend a New York e ha catturato l’attenzione dei media (anche perché la sua fondatrice Emma Sayle è amica di Kate Middleton). Il club è per soli membri e si definisce “un network per la élite sessuale”, dove sono le donne a detenere il potere.
Nei bui corridoi, il patriarcato è sottomesso a un matriarcato sessuale: gli uomini sono ammessi solo se accompagnati da una donna, non possono avvicinarsi senza essere invitati, devono rispettare la regola che un no è un no e solo le “kittens” possono infrangere le regole. Non è permesso l’uso del cellulare, infatti ho visto solo un uomo che, affaticato da ore di attività nella “playroom”, alla fine ha acceso la torcia dello “smartphone” per cercare i suoi vestiti.
Sul taxi parlavo con il mio accompagnatore, che masticava “Xanax” per placare l’ansia, e ci domandavamo cosa fosse una “élite sessuale”. E’ gente che fa un test sulla prestazione amorosa? Si tratta dei leoni di Wall Street? Di aristocratici? Di celebrità hollywoodiane? Ci domandavamo anche se “Killing Kittens” accettasse solo ospiti belli, ricchi e sofisticati. La Sayle ne parla come di una “compagnia che organizza orge di lusso” ma non è “Eyes Wide Shut”. Le maschere sono un requisito, però la loro funzione è solo di creare un ambiente intrigante.
Arrivo intorno alle 22, i recipienti sono pieni di condom, e al bar molti hanno già deposto la maschera. Molti uomini vagano da soli, e non sorprende che le regole siano più rigide su carta che nella realtà. Nonostante il severo criterio di selezione sulla bellezza, non vedo modelle tutte gambe o facce sorprendenti. Ci sono scambisti attraenti ma per lo più sono bassi, tarchiati, allampanati, paffuti e senza stile. “Killing Kittens” è più democratico di quanto dice di essere nelle sue pubblicità.
A un’ora dal mio arrivo, due delle donne più attraenti entrano in ascensore e spariscono, così diventiamo un po’ meno èlite. Una tizia cerca di fare amicizia con me e il mio accompagnatore e io rispondo che siamo qui solo a livello amatoriale, sperando capisca che non intendiamo fare sesso. I presenti sembrano professionisti, ma non certo gli scatenati di alta classe che la pubblicità millantava.
Il party poi non era così segreto, infatti per la sala gira un altro reporter con tanto di registratore in mano. La Sayle aveva detto al “New York Post” che una squadra di donne della banca “UBS” e un sacco di modelle avevano già confermato la presenza tra i 60 ospiti esclusivi. Dice che sabato se ne sono viste 120 e che, dato il successo, l’evento si ripeterà il prossimo fine settimana.
Al bar si mangiano ostriche, pare che gli ospiti preferiscano questo tipo di afrodisiaco ai cocktail a misura di ditale che costano 12 dollari. Accanto alle ostriche ci sono “crudité” e biscotti al cioccolato comprati all’ipermercato. A questo punto penso che la serata sia un bidone.
Non è decisamente d’élite, almeno non per gli standard di New York. E nessuno sta facendo sesso. Sembra un posto frequentato da gente alla moda, tipo quella che va nei club “Boom Boom” o “Le Bain”, nel quartiere Meatpacking, salvo il fatto che lì non sono mai inciampata su un uomo la cui maschera era sepolta in una vagina.
E’ ancora presto. Vedo la ragazza fetish che si era esibita sul tavolo da biliardo che chiacchiera al bancone, ogni tanto bacia un’amica e tocca qualche donna nella sua orbita.
Le conversazioni che ascolto sono banali, ma è anche vero che ad un’orgia non si va per discutere di Proust. Qui, chiedere una sigaretta sotto al portico per fumatori ha forti sottotesti.
All’improvviso, le donne si spogliano e limonano al bar. Una coppia che sembra superare l’età di regola (fra i 18 e i 50 anni) si mischia con la ragazza in pelle, i tre si stendono sul lettone della “playroom”, lui sotto, la sua partner lo cavalca, l’altra gli si siede sulla faccia.
Velocemente la scena degenera in un baccanale su musica techno, con donne che gemono e strillano a vari ottavi, come gatti selvaggi. Nel groviglio di corpi nudi e semi-nudi, noto una donna che si accanisce aggressivamente sulla faccia di un uomo, e un biondo che riceve un pompino da due donne. L’aria è satura di clamidia.
A questo punto sono inebetita, cerco di contare ma perdo il conto dei vari atti sessuali che mi circondano. Una marea di sesso, di tutti i tipi, dall’atletico al pigro, l’unico che manca è quello fra uomo e uomo. In generale, gli uomini servono le donne. Le oscenità da voltastomaco non le ho viste. La cosa più sgradevole è stata quando un uomo che riceveva un pompino da una partner ha tentato di fare una sega a un altro uomo (ma quello ha respinto l’offerta).
Alle 4 del mattino la sala si è svuotata. Restano solo pochi resistenti, incluso il biondo di prima, che sembra lo Zelig del party, praticamente presente ovunque mi girassi. Quando sono andata a ritirare la mia carta di credito al bar, lui stava tenacemente sul divano. Una cosa familiare ad ogni frequentatore di club.