TELECOM-MEDIA – LA SERPE IN SENO ALIERTA DICE CHE VUOLE USCIRE DA TELECOM E SI LAMENTA ANCHE: “UN PROBLEMA NON ESSERE ITALIANI” – RECCHI VA A RIFERIRE A RE GIORGIO LO STATO DELLE TLC
1. “ALIERTA: TELECOM ITALIA, VOGLIAMO USCIRE - RECCHI, COLLOQUIO AL QUIRINALE”
Massimo Sideri per “Il Corriere della Sera”
L’affaire Telecom Italia-Vivendi arriva ufficialmente anche al piano istituzionale: ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto nel pomeriggio al Quirinale Giuseppe Recchi, presidente del gruppo, per parlare dell’importanza dell’ asset aziendale per il Paese e anche delle prospettive. Che gli assetti dell’importante gruppo italiano — con 53 mila dipendenti in Italia Telecom è attualmente la società che investe maggiormente — siano in piena trasformazione è ormai un fatto.
Dopo l’annuncio da parte di Vivendi, la società presieduta da Vincent Bolloré, di una trattativa in esclusiva con Telefonica, che aveva offerto 7,45 miliardi di euro contro i 7 di Telecom, il cambio di azionista di riferimento è ormai considerato certo. Vivendi ha già detto di considerare l’opzione a salire nel capitale di Telecom all’8,3% interessante. E, cosa ormai chiara, ieri il numero uno di Telefonica, Cesar Alierta, ha confermato il desiderio di chiudere qui la campagna italiana, durata meno di 11 mesi e decisa, in gran parte, in Brasile. Alierta durante un incontro sulle telecomunicazioni ha affermato: «Non vogliamo stare in Telecom Italia».
La compagnia spagnola, ha aggiunto, «ha appreso molto» durante il periodo di presenza in Telecom. Infine non ha resistito alla tentazione di lanciare una frecciatina al Paese, aggiungendo che «il non essere italiani» è stata la principale barriera trovata da Telefonica per giungere a nuovi accordi con Telecom. L’azionista di riferimento del gruppo, con il 22,4% del capitale, è la holding Telco, controllata da Telefonica, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Generali.
I soci hanno però disdetto il patto e la holding è destinata sciogliersi a breve. Il gruppo spagnolo diventerà quindi il primo azionista, con poco meno del 15% del capitale. Il gruppo ha già offerto a Vivendi l’opzione per acquistare l’8,3% di Telecom Italia, nell’ambito dell’accordo su Gvt, opzione che i francesi hanno giudicato attraente. Peraltro ambienti vicini a Bolloré fanno sapere che il finanziere ha intenzione di investire in Telecom Italia «perché ha fiducia in Mediobanca e ha trovato il management di Telecom professionale nella sua offerta senza essersi lasciato andare a delle follie».
Sempre Telefonica ha in essere un prestito convertendo e, quindi, l’obbligo di vendere a termine una partecipazione fino al 9% del capitale della stessa Telecom Italia, ma con clausole di riacquisto del bond anche per qualunque «ragione che non consenta il trasferimento delle azioni Telecom». Il bond scade a luglio 2017. Nel frattempo per l’azienda guidata dall’amministratore delegato Marco Patuano si complica ulteriormente il dossier Telecom Argentina.
Il gruppo ha risposto «no comment» alle indiscrezioni secondo le quali la vendita già stipulata della controllata Telecom Argentina slitterebbe ancora, rispetto al termine fissato ieri. La società è stata ceduta lo scorso 13 novembre 2013 per 960 milioni di dollari a Fintech, lo stesso gruppo che è poi entrato nella compagine di Banca Mps. L’iniziale termine era stato fissato al primo trimestre 2014, poi le slide del gruppo avevano dato come deadline il primo semestre. A seguire erano comparsi il 12 agosto, il primo settembre e ora, da quanto sembra, inizio ottobre. Il dossier non è certo secondario perché all’appello mancano oltre 800 milioni di dollari e la situazione dell’Argentina non è certo in miglioramento.
2. LA SCELTA DEI MANAGER TELECOM DA GIUDICARE NON COME SI FA NEL RISIKO
Alberto Mingardi, direttore generale Istituto Bruno Leoni, per “Il Corriere della Sera”
La guerra non è che la prosecuzione della politica con altri mezzi, diceva Clausewitz. Ogni tanto, noi italiani sembriamo pensare lo stesso dell’economia. Sembriamo convinti, cioè, che essa debba obbedire ad altre logiche, piuttosto che a quella, arida e impersonale, del sistema dei prezzi. Dev’esserci altro: una trama di relazioni e intrighi celati nell’ombra, apparentemente lontani dalle transazioni mercantili e che proprio per questo le spiegano.
Molto si è scritto della «sconfitta» di Telecom, nella «lotta» per assicurarsi la brasiliana Gvt, attualmente di proprietà di Vivendi. Come molto s’era scritto, in anticipazione di una eventuale «vittoria», su un pranzo al largo della Sardegna e sul panfilo del finanziere Bolloré, imbastendo una narrazione intrigante, con l’eterno canovaccio «gli amici dei miei amici (in questo caso, Mediobanca) sono miei amici».
Qualcuno avrà storto il naso, leggendo sul Corriere l’intervista di Massimo Sideri a Giuseppe Recchi, dove questi spiegava che i cavalleggeri di Telecom non hanno fallito l’assalto. Semplicemente, erano disponibili a pagare un certo prezzo, e non un altro. La storia recente delle tlc è piena di matrimoni finiti male, ricordava Recchi, e i matrimoni finiti male possono rivelarsi tremendamente costosi.
Non è che i manager non sbagliano: essendo esseri umani, sbagliano con la stessa frequenza di ciascuno di noi. Ma non ha senso valutarne le mosse come se stessero giocando a Risiko, e nella competizione del mercato vincesse chi pianta la sua bandierina su più territori. Così, seguitiamo a pensare che un’azienda che compra un’altra sia «forte», mentre una che non lo fa è «debole».
Quando siamo noi a fare spese, però, sappiamo benissimo che non vale sempre la pena di acquistare un certo bene o un certo servizio: e che il prezzo non è un dettaglio irrilevante, affinché uno scambio avvenga oppure no. I bravi amministratori cercano di fare l’interesse degli azionisti, coraggio e prudenza per loro sono virtù complementari. I tifosi vorrebbero vederli marciare sulla Kamchatka, al costo di rimetterci tutti i carrarmati. Il tifo è meglio tenerlo lontano dalle board room .