CHE CE FAMO CON GOOGLE? UN BELLO SPEZZATINO – PERIODI BUI PER LA SILICON VALLEY, MESSA NEL MIRINO DAGLI “SCERIFFI” ANTITRUST IN AMERICA ED EUROPA. I COLOSSI DEL WEB NON HANNO PRESO BENISSIMO LA NOTIZIA DELLA CONFERMA DELLA VESTAGER (TE CREDO) – LE MULTE NON FANNO PAURA, MA PRESTO POTREBBERO ARRIVARE NORME CONTRO IL MONOPOLIO. CHE C’È ED È INNEGABILE, VISTO CHE TRA MAPPE E RICERCA IL 98% DEGLI ITALIANI USA I SERVIZI DI GOOGLE – VIDEO
1 – “È UN MONOPOLIO”, ORA GOOGLE POTREBBE FINIRE IN PEZZI
Arturo Zampaglione per “la Repubblica”
Un immenso uragano, senza più ostacoli politici, né barriere geografiche, si sta dirigendo minaccioso contro i giganti della Silicon Valley. Amazon, Apple, Facebook e soprattutto Google sono nel mirino di nuova leva di "sceriffi" dell' antitrust che si muovono a tutti i livelli, federale e statale, americano ed europeo. Otto stati americani hanno aperto venerdì una inchiesta antitrust su Facebook. Poi lunedì, quarantotto stati americani hanno annunciato un' indagine giudiziaria su Google per scoprire, come ha detto il repubblicano del Texas, Ken Paxton, capofila di questa iniziativa, «eventuali comportamenti anti- competitivi ai danni dei consumatori nella pubblicità online e nel motore di ricerca». E ieri, a Bruxelles, Margrethe Vestager che negli ultimi anni non ha dato pace ai colossi hi-tech, è stata riconfermata all' Antitrust.
I colossi rischiano grosso. Anche se fanno finta di essere tranquilli e promettono collaborazione, si preparano alla battaglia giudiziaria. Temono multe miliardarie, aperture forzose alla concorrenza, break-up societari e, in definitiva, una perdita del loro immenso potere. In un paio d' anni, azzarda qualche esperto, il mondo dell' hi-tech potrebbe essere molto diverso - meno ricco, invadente e arrogante - di quello che abbiamo conosciuto finora.
Gli Stati Uniti si sono mossi in ritardo nel contrastare lo strapotere delle multinazionali tecnologiche. Pesava forse l' umiliante sconfitta del governo federale nella causa antitrust contro la Microsoft persa da Bill Clinton. E mentre i democratici difendevano a oltranza i liberal (miliardari) della Silicon Valley e i repubblicani sventolavano la bandiera del liberismo e della supremazia tecnologica americana, nessuno si occupava veramente dei problemi di privacy e concorrenza. Lo scandalo di Facebook e Cambridge Analytica, con i suoi contraccolpi in termini di interferenze elettorali, ha lanciato un primo segnale d' allarme.
Così, invece di raffreddare gli animi, la multa di 5 miliardi di dollari a Facebook, proprietaria anche di Instagram e Whatsapp, per l' uso improprio dei dati personali di 87 milioni di utenti ha accelerato le offensive giudiziarie e politiche. Il dipartimento della giustizia di Washington e la Ftc (Federal trade commission) hanno avviato indagini sulle quattro Big: Amazon, Apple, Facebook e Google. Il Congresso ha varato un programma di udienze e indagini. E Donald Trump non perde occasione per criticare non solo Google, il cui motore di ricerca non darebbe abbastanza spazio alle posizioni della destra, ma anche Amazon, che danneggerebbe i piccoli commercianti e che ha un boss, Jeff Bezos, proprietario anche del Washington Post , da sempre molto critico della Casa Bianca.
L' ultimissima mossa contro Google dei 48 stati americani (con l' eccezione della California e dell' Alabama) è di gran lunga la più seria. Se fosse dimostrato che la multinazionale di Mountain View ha danneggiato consumatori e concorrenti nella gestione del motore di ricerca e della pubblicità online, con comportamenti monopolistici, ci sarebbero conseguenze gravissime.
Forse le multe non fanno molta paura ma non si può escludere che la pena per una violazione delle norme anti-monopolio arrivi alla frammentazione del gruppo in varie società, come accadde al gigante telefonico At&t e come suggerisce Elizabeth Warren, una delle tre democratiche nel plotone di testa per la Casa Bianca. Sundar Pichai, chief executive del motore di ricerca ha subito sguinzagliato i suoi lobbisti. Grazie ai loro profitti miliardari, tutte le aziende hi-tech non badano a spese in questo settore, oltre che nel finanziare i partiti politici. Facebook "investe" 12,6 milioni di dollari all' anno in contributi elettorali, Amazon 14,2 e Google 21.
Somme e uomini per bloccare l' offensiva a Washington e a Bruxelles.
2 – BIG G DOMINA SU RICERCHE E MAPPE SCELTA DAL 98% DEI NAVIGANTI
google riconoscimento facciale 3
Jaime D’Alessandro per “la Repubblica”
Wayne Gladstone, fra gli altri, lo ha immaginato nel 2014 e descritto nel romanzo Internet Apocalypse : un mondo che d' improvviso si ritrova senza più il Web. Niente Facebook né mail, niente Whatsapp, Instagram e soprattutto niente Google. Dal suo motore di ricerca a You-Tube, dal browser Chrome alle mappe, si spegnerebbe tutto. E sarebbe un problema non da poco, perché il colosso di Mountain View ha radici profonde nella vita di miliardi di persone. «Specialmente da noi», fanno sapere dalla ComScore che da sempre monitora il traffico dati. «Su un totale di 38,2 milioni di persone che hanno accesso alla Rete in Italia, 37 milioni frequentano i suoi servizi».
Significa il 98 per cento di chi naviga da smartphone e il 99 di chi lo fa da computer. Senza dimenticare che ha in mano poco più del 30 per cento del mercato pubblicitario mondiale online, settore da 340 miliardi di dollari l' anno stando alla eMarketer. Si potrebbe quindi fare a meno dell' universo di questa multinazionale nata con le ricerche in Rete 21 anni fa? Si, sopravvivremmo, ma a fatica.
Di alternative ce ne sono, difficile però che riuscirebbero a compensare il vuoto all' inizio. Prendete il sistema operativo Android per smartphone: l' unica altra scelta è iOs di Apple, legato a doppio filo con i costosissimi iPhone; Windows Mobile, stabile e ben disegnato, lo hanno invece mandato in pensione per assenza di app; il finlandese Sail-FishOs, eredità della Nokia, prometteva ma è stato acquisito dalla Russia; Harmony Os della cinese Huawei deve ancora dimostrare di poter competere. Nei motori di ricerca Google ha ancora meno concorrenti. Da Qwant a Bing di Microsoft, finora non è andata bene a chi ha provato a cambiare le cose. Ad agosto Google poteva contare su una quota di mercato del 92 per cento. Bing è in seconda posizione, con il 2,6.
google mapsmark zuckerberg e la criptovaluta di facebook
In Italia l' app di YouTube, fra le prime venti più usate da noi non ci sono altri servizi puramente video, ha davanti solo Whatsapp e raggiunge l' 81 per cento delle persone. Google Search arriva al 77 per cento, le mappe al 73. A proposito di mappe.
contenuti disturbanti su youtube kids
Google ha il 67 per cento del mercato, eppure è uno dei pochi terreni nei quali le alternative non mancano. Here, Moovit, Bing Maps, Apple Maps sono solo alcuni esempi. La sua posizione in pratica è meno schiacciante rispetto ad altri ambiti, dove i problemi non sono mancati.
L' Antitrust italiano da maggio sta indagando per abuso di posizione dominante riguardo Android Auto, sistema operativo per automobili dal quale è stata esclusa la app Enel X Recharge. E a marzo Google è stata multata dal commissario Margrethe Vestager, futura vicepresidente della Commissione Europea con delega al digitale. Un miliardo e mezzo di euro, sempre per abuso di posizione dominante, anche se nel settore pubblicitario. L' ultima di una lunga serie di sanzioni.
GOOGLE ANDROID VS HUAWEImark zuckerberg
Insomma, se Google sparisse domani non si dovrebbe tornare agli sms, alle cartine stradali, alle enciclopedie (magari su cd-rom come ai tempi di Encarta), alla televisione tradizionale, ai cd e al vinile. Ma certo le nostre abitudini cambierebbero. «Quando ci fu il grande crash non andò affatto come temevamo. Non ci fu panico. Niente lacrime. Solo gente che batteva i pugni sul tavolo e imprecava. Internet non funzionava più, e cliccare su Aggiorna non serviva a niente», scriveva Gladstone. Ed è quel che probabilmente accadrebbe se invece di tutto il Web crollasse uno dei suoi pilastri che oggi sembra invulnerabile.
mark zuckerberg vuole creare una moneta virtuale 1mark zuckerberg 1