LA FAVA E LA FAVOLA - IL DIVINO QUIRINO CONTI VERGA PER DAGOSPIA IL GIUDIZIO DEFINITIVO SULL'AFFAIRE VERSACE: ''I MALIGNI DELLA MODA DICEVANO CHE DOPO LA MORTE DI GIANNI IL MARCHIO DI QUELLA FAMIGLIA 'COSÌ MERIDIONALE' SAREBBE SPARITO PER SEMPRE. INVECE LA PICCOLA DONATELLA SI È TRAMUTATA IN UNA RUPE SALDA E TENACE - E ORA CHI S'INDIGNA PER LA VENDITA AGLI AMERICANI FINGE DI NON SAPERE UNA VERITÀ CHIARA A TUTTI, E CIOÈ…
QVIRINO CONTI per DAGOSPIA
Come tiene a precisare l’espertissimo Karl Lagerfeld, nel crudele e sanguinario Colosseo della Moda non c’è stato mai spazio per moralismi e buoni sentimenti. Ed è per questo che nell’ambiente, dopo ogni eventuale dolorosa disavventura, si assiste sempre alla vibrante ansietà di chi non aspira ad altro che alla conseguente catastrofe.
Avvenne con Armani, dopo la scomparsa di Sergio Galeotti (suo socio, compagno e con lui preveggente creatore del marchio). Cosicché, quando nella collezione che seguì la tragedia lo splendore dello Stile si rivelò persino più fulgido, non pochi dovettero immediatamente travestire da compiacimento un astio che spezzava loro il cuore.
Per loro, Armani sarebbe dovuto sparire. E il suo restare invece saldo, anzi aziendalmente perfino più efficiente, risultava una prova troppo dura da sopportare. Con la sua tenuta, un autentico smacco in quel teatro della crudeltà che è sempre stato lo Stile.
Per Versace sembrò più facile: l’oscurità delle vicende rendeva più agevole la malignità. Tanto che alcune cene milanesi divennero presto autentici tribunali da Inquisizione spagnola. Del resto, quella singolare famiglia aveva ispirato da subito impietose caratterizzazioni, dapprima solo bisbigliate (“Così meridionali e tanto diversi”, “Stretti in un ambiguo clan”, “Tragici per origine e destino”).
donatella versace con le top model
Soprattutto attorno alla più visibile, Donatella, per la quale si profetizzava ogni genere di disastro: solo per come si gettava senza rete al centro dell’arena. Con dicerie su dicerie, soprattutto da parte di chi nulla sapeva e da nessuno era stato informato, alla periferia di quel circo.
E invece, in mezzo a innumerevoli profeti di sventura e moraleggianti savonarola a fare da coro tragico alle più ignobili illazioni, la piccola Donatella si andava via via tramutando – forse per il dolore – in una rupe salda e tenace. Natalia Aspesi, commossa, confidava di una ragazza impietrita dallo strazio: eppure, in quel piccolo corpo, con un orgoglio temprato e pressoché indomabile.
Riuscendo così, dopo passaggi in verità piuttosto arzigogolati, a condurre il marchio al sicuro approdo di oggi. Che pertanto, naturalmente, non può che attirare come un bignè ogni ulteriore malignità e dibattito. Mentre si tratta di un episodio del tutto normale nell’attuale modernità.
Qualcuno per caso si è reso conto di cos’è divenuto lo Stile? Di quant’è macroscopico e immensamente difficile e costoso da gestire? Chi può anche solo pensare di farlo in solitaria tenendo il ritmo di una simile mutazione?
C’è da qualche parte un “esperto” che possa quantificare senza tremori il costo vivo (in lavoro e denaro) di collezioni immani come quelle, ad esempio, di Dolce & Gabbana o Gucci (con il relativo costo-capestro della pubblicità)? O siamo ancora alla leggenda del piccolo industriale di provincia e del suo talentuoso e timido stilista omosessuale con solo due collezioni da realizzare ogni anno e un compenso proporzionato alle vendite?
C’è forse chi pensa che sia ancora il tempo del bel prodotto portabile e del rappresentante di commercio scavalca-montagne con le sue valigie colme di novità? Qualcuno dei ciarlieri gazzettieri in circolazione è mai entrato in un odierno showroom basilicale e dentro i meccanismi del mercato corrente?
Attorno alla fine degli anni ’60 perfino Valentino, il più italico degli stilisti, era finito nei conti di un imprenditore americano (con la leggenda della sua ultima collezione in contratto, quella dei papaveri e delle spighe di grano, tanto costosa da sfiancare perfino quel ricco inscatolatore di pomodori, si diceva).
Ma davvero si può essere alternatamente liberisti e sovranisti? Senza enormi capitali (da qualsiasi tasca usciti), la Moda non ha più spazio nell’attuale sistema planetario. E i cosiddetti grandi gruppi riescono nello scopo solo perché fanno girare vertiginosamente utili e perdite dei loro numerosi marchi in un’unica camera di compensazione, nota solo al ricco Epulone. Ma la Moda se ne avvantaggia: anche se con qualche dolorosa privazione e innumerevoli improprietà (Lacroix, ad esempio, o il primo Galliano-Dior, seguito dalle confuse vicende di quello storico nome).
Dai tempi del Divino Poeta è risaputo quanto faticoso sia salire scale straniere con il cappello in mano. Ma oggi è la sola strada riservata alla Moda. E per Versace un’occasione importante, dopo quella eccezionale capitata a Fendi. O si dovranno attendere i finanziamenti elargiti dal ministero dei Beni Culturali?
(PS Forse qualcuno dubita ancora che la Moda sia un bene culturale? Ma soprattutto: è mai possibile esprimere opinioni sullo Stile e sul suo futuro conciati come si mostrano – indignati – i nostri raccapriccianti esegeti?)
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