GIU' LE MANI DA NOSTRI CANNONI - L'AD DI LEONARDO, PROFUMO, VUOLE DISMETTERE OTO MELARA E WASS, LA PARTE PIÙ MILITARE DEL GRUPPO, PERCHE' TEME LE CRESCENTI DIFFICOLTÀ CHE SUI MERCATI FINANZIARI INCONTRANO I PRODUTTORI DI ARMAMENTI - LA SUA IDEA E' INCASSARE E POI INVESTIRE NEL SETTORE DELL’ELETTRONICA PER DIVENTARE FORNITORE DEI PROGETTI EUROPEI - UNA STRATEGIA COMPLESSA PERCHE' LA COMMISSIONE UE HA TAGLIATO LA LORO DOTAZIONE IN MODO CONSISTENTE - IL RISCHIO E' CHE…
Pietro Romano per “il Messaggero - MoltoEconomia”
Per ora l’italianità di Oto Melara e di Wass è salva. Ma il rischio di un passaggio a un’azienda francese e/o tedesca di questi due gioielli del Made in Italy non è fugato. E il governo e il gruppo Leonardo, che li possiede, farebbero bene a studiare in tempi rapidi una soluzione che possa valorizzarli.
A meno che l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, non abbia già deciso di metterli fuori perimetro. In questo caso la parola spetterebbe alla politica: è il Tesoro a controllare il gigante dell’aerospazio e della difesa. In verità, il governo si è già espresso: il futuro assetto delle due aziende dovrà tenere conto dell’interesse nazionale anche nel quadro di possibili intese a livello europeo. Una posizione sulla quale convergono l’opposizione e i sindacati.
I PRETENDENTI
Numerosi rimangono gli aspiranti acquirenti delle due aziende: dal consorzio franco-tedesco Knds alla britannica Bae Systems, dalla tedesca Rheinmetall a Iveco Defence Vehicles e soprattutto a Fincantieri, il gruppo italiano controllato al 71% di Cassa depositi e prestiti. Questa folta lista dimostra che Oto Melara e Wass non sono aziende fuori mercato.
Anzi, per entrambe sono in vista buone opportunità nel breve-medio periodo. Le due aziende fanno parte della divisione Sistemi di difesa di Leonardo, che conta circa 1.500 addetti e fattura quasi 550 milioni di euro con un Ebit stimato superiore al 10%. Oto Melara produce il cannone 76/62, il più diffuso al mondo sulle navi da guerra, e ha appena realizzato un sistema di munizionamento “intelligente” – detto Vulcano – per cannoni navali e terrestri definito “rivoluzionario”.
Inoltre, in consorzio paritetico con Iveco Defence Vehicles, produce sistemi di armamento terrestre e a breve dovrebbe partecipare, con ottime aspettative, alla gara da 2,2 miliardi per sostituire i veicoli blindati Dardo dell’esercito italiano. Wass a sua volta è tra i leader mondiali nella produzione di siluri e droni marittimi, anche per uso civile. Il livello di qualità dei suoi siluri Black Shark è tale da aver spinto l’India a revocare la sospensione dei rapporti commerciali con Leonardo appunto per non farne a meno. In ballo ci sarebbe una fornitura di 4-500 milioni.
Va tenuto conto che i prodotti per la guerra subacquea sono tra quelli per i quali vengono previsti i maggiori investimenti internazionali. Intendiamoci, l’eventuale vendita di Oto Melara e Wass non è un fulmine a ciel sereno.
Già oltre dieci anni fa l’allora numero uno di Finmeccanica (poi Leonardo), Pier Francesco Guarguaglini, era arrivato a buon punto nelle trattative con la tedesca Krauss-Maffei Wegmann per costituire una società nella quale Finmeccanica avrebbe però conservato il 70%. E da anni l’amministratore delegato di Fincantieri, Bono, aspira alle due aziende.
UNA STRATEGIA DUBBIA
Profumo potrebbe voler dismettere la parte più propriamente militare del gruppo consapevole delle crescenti difficoltà che sui mercati finanziari incontrano i produttori di armamenti e investire nel settore dell’elettronica le risorse derivate dalle vendite per ritagliarsi un ruolo di fornitore globale in eventuali progetti europei.
Una strategia interessante a patto che questi progetti si realizzino davvero, e non sarà facile visto che la Commissione Ue ha tagliato la loro dotazione in modo consistente. Non solo. L’esperienza dimostra come non sia per niente scontato che all’Italia venga concesso quanto promesso.
Ecco perché la politica non può rimanere alla finestra, comunicati a parte. Va evitato a tutti i costi che i fondi nazionali per investimenti e commesse finiscano per finanziare la crescita di gruppi stranieri che in pochi anni potrebbero privare l’Italia di know how, posti di lavoro ed esportazioni. Una strategia – come ha sottolineato il ministro del Lavoro, Andrea Orlando – tutt’altro che intelligente.