IL CINEMA DEI GIUSTI - ARRIVA NELLE SALE ITALIANE IL BRASILIANO “IO SONO ANCORA QUI”, FILM POLITICO E GRANDE RITRATTO DELLA BORGHESIA ILLUMINATA DI RIO E SAN PAOLO, CANDIDATO A BEN TRE OSCAR, MIGLIOR FILM, MIGLIOR PROTAGONISTA E MIGLIOR FILM STRANIERO - GIÀ A VENEZIA, DOVE HA VINTO IL PREMIO ALLA SCENEGGIATURA, FECE PIANGERE GRAN PARTE DEI CRITICI CHE LO VIDERO COME QUALCOSA CHE DAVVERO MANCAVA DA TEMPO SUGLI SCHERMI NON SOLO DEI FESTIVAL, MA DI TUTTO IL MONDO. - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
“Non possiamo non far niente”. Candidato a ben tre Oscar, miglior film, miglior protagonista, la strepitosa Fernanda Torres, miglior film straniero, già forte di un Golden Globe vinto per la miglior protagonista, di un premio alla sceneggiatura a Venezia e candidato un po’ ovunque, arriva nelle sale italiane il brasiliano “Io sono ancora qui”, film politico e grande ritratto della borghesia illuminata di Rio e San Paolo diretto da Walter Salles, che torna al cinema dopo una pausa di ben dodici anni e, significativamente, dopo il terribile governo fascista di Bolsonaro.
Già a Venezia, dove era in concorso, fece piangere gran parte dei critici che lo videro come qualcosa che davvero mancava da tempo sugli schermi non solo dei festival, ma di tutto il mondo. Il cinema di impegno civile che oppone una resistenza morale all’avanzare della destra e della dittatura. Al punto da presentare come una eroina da Oscar il personaggio che interpreta la grande Fernanda Torres.
i’m still here: ainda estou aqui
Cioè la vera madre coraggio Eunice Paiva, mamma di cinque figli e moglie che non si arrende nella ricerca della verità di quel che era capitato al marito, l’ingegnere Rubens Paiva, che nel Natale del 1970 venne rapito dalla polizia segreta e dato per disperso per 25 anni quando era stato barbaramente ucciso solo venti giorni dopo il suo arresto.
Confesso che non è facile non commuoversi quando alla fine del film, a cinquant’anni dalla dittatura brasiliana, nel ruolo di una Eunice ormai vecchia e malata di Alzheimer, compare il mito del cinema brasiliano, Fernanda Montenegro, star di “A falecida” e “Non portano lo smoking” di Leon Hirszman (Leone d’Argento a Venezia nel 1981 grazie a Bernardo Bertolucci), vera madre, nella vita, proprio di Fernanda Torres, che 26 anni fa con di “Central do Brasil” dello stesso Walter Salles venne candidata agli Oscar. E non vinse.
Come forse non vincerà Fernanda Torres, anche se agli Oscar ha già eliminato avversarie come Angelina Jolie e Nicole Kidman, che invece vinse a Venezia con “Baygirl”. Torniamo al film. Cosa aveva fatto di così terribile l’ingegner Paiva, ricco signore di cultura borghese con bellissima casa sul mare a Rio? Aveva cercato di far qualcosa per aiutare chi si opponeva alla dittatura. E per questo erano stati arrestati lui, la moglie, perfino una delle figlie. Con la differenza che lui non solo non tornerà mai, ma la polizia negherà anche di averlo arrestato.
Far qualcosa in questo caso non significava entrare nella lotta armata, ma passare lettere e messaggi alle famiglie degli esiliati. Anche se meno criminali delle repressioni in Argentina e in Cile, anche in Brasile ci furono torture, omicidi e violenze insopportabili. E un’intera classe di intellettuali finì in Europa, tra Londra, Parigi e Roma, dove qualcuno ancora ricorderà che era pieno di brasiliani negli anni 70.
Ora. Non è che il cinema di Walter Salles sia in genere molto amato né dai vecchi fan del Cinema Novo, troppo ricca la famiglia Moreira Salles, troppo facili i temi di solito trattati, né dai registi della stessa generazione, che lo vedono come cinema per signore di sinistra, ma devo riconoscere che tutta la prima parte del film, con la descrizione della famiglia Paiva, le cinque figlie, la cameriera, le cugine, i rapporti fra di loro e con gli amici, è uno spettacolo di altissima classe che Salles non ci aveva mai dato.
Ogni personaggio, ogni bambino ha la sua personalità e quando la storia si stringe sulla madre e il dramma della scomparsa del marito, e lì esplode la grandezza di Fernanda Torres, siamo già così dentro la famiglia che il regista raccoglie facilmente tutte le trame che ha messo in scena e lo spettatore, alleluja, capisce tutto. E la ricostruzione del Brasile del 1970, della sua strepitosa musica, tra Os Mutantes, Caetano, Gilberto Gil, Erasmo Carlos, è travolgente, complice la colonna sonora coltissima di Warren Ellis. Ma, al di là dei premi vinti o che può vincere, “Io sono ancora qui”, ci ricorda quanto, con la dittatura al potere, si possa precipitare rapidamente in un incubo. In sala da ieri con davvero poche copie.