“IMMUNI”, MA DE CHE? – LA APP CHE DOVEVA SALVARCI DALL’EPIDEMIA È UNA CIOFECA: NON LA SCARICA NESSUNO, NON SERVE A NIENTE E NON FUNZIONA – IL RACCONTO DELLA DONNA DI CHIETI SBANDIERATA COME IL PRIMO POSITIVO SCOPERTO CON LA APP: “HO SCOPERTO DI ESSERE POSITIVA DOPO IL RICOVERO DI MIO PADRE, NON DALL’APPLICAZIONE. A UNA MIA AMICA È ARRIVATA UNA NOTIFICA, MA...” – LA SMENTITA DEL MINISTERO PER L'INNOVAZIONE
LA SMENTITA DEL MINISTERO PER L'INNOVAZIONE
Gentile Direttore,
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il servizio sull’app “Immuni” pubblicato oggi dal suo giornale contiene descrizioni non corrispondenti al vero sul funzionamento dell’applicazione italiana per le notifiche all’esposizione al virus Covid-19, causando discredito verso uno strumento tecnologico che in questa fase contribuisce a combattere il coronavirus.
Non sappiamo chi abbia definito una signora di Chieti, citata nell’articolo, una donna “presentata giorni fa come il primo caso di positività scoperto grazie all’app”. Di certo non può essere stata presentata così dagli uffici del Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, fin dall’inizio della preparazione di “Immuni” attivi affinché l’app venisse realizzata dal punto di vista tecnico e giuridico nel rispetto delle normative italiana ed europea sul diritto alla privacy.
Stupisce tuttavia che una testata prestigiosa come la Stampa riporti attribuendola a una persona indicata con nome diverso dal proprio, seppure invocando ragioni di riservatezza, un’affermazione che non può corrispondere al vero su quanto accaduto dopo una sua asserita autorizzazione all’attivazione del sistema di notifiche ai contatti avvenuti nei giorni precedenti: “Ho acconsentito e dopo qualche giorno ho saputo che era arrivato un altert a una persona di Pescara, che a me è restata totalmente anonima così come deve essere. Ho controllato giorno e orario ma io in quel momento ero a Chieti a fare proprio il tampone”.
È incomprensibile come una utente di “Immuni” possa aver saputo di “un alert” ricevuto da un’altra persona che a lei è restata totalmente anonima. Per sua configurazione il sistema di “Immuni” non permette non solo agli utenti, ma anche allo Stato, di identificare chi è entrato in contatto con un caso di positività al Covid-19.
Il riscontro dei contatti è infatti affidato allo scambio tra telefonini di codici alfanumerici anonimi, soggetti per di più a frequenti cambiamenti per proteggere la privacy degli utenti. Nell’articolo vengono inoltre attribuiti alla persona indicata con nome di fantasia ulteriori considerazioni su vicende che le sarebbero state riferite da altra persona indicata senza nome.
Ci aspetteremmo che in un momento così delicato per la perdurante presenza del virus Covid-19 nel nostro e in altri Paesi la necessaria libera informazione, senza nulla togliere al prezioso diritto di critica, fosse basata sulla verifica di circostanze di fatto come si conviene nella tradizione della testata da lei diretta.
Ringraziando per l’attenzione, invio cordiali saluti,
Laura Sala
Capo ufficio stampa del Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione
2 –UTENTI E NOTIFICHE, IL FLOP DI IMMUNI. “SONO POSITIVA E L’APP È ANDATA IN TILT”
Paolo Russo per “la Stampa”
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Doveva essere l' arma tecnologica in più per tenere sotto controllo l' epidemia, ma più giorni passano e più i dati su diffusione e funzionamento confermano il fallimento di Immuni. Ce lo dicono anche storie come quella di Francesca, la giovane donna di Chieti sbandierata come il primo caso di contagiato scoperto grazie alla app, che a La Stampa racconta però tutta un' altra storia.
Quella di notifiche di allerta da località dove né lei né una sua amica "immunidotata" erano mai state. E poi ci sono i numeri. Ad oggi hanno fatto il download in 4,4 milioni, 100 mila in più rispetto a una settimana fa. Basta però fare un po' di conti per scoprire che fino ad ora è servita a poco o nulla.
Da quando è stata lanciata su tutto il territorio nazionale, il 15 giugno scorso, in Italia si sono contati circa 10 mila contagi, di questi scovati grazie a Immuni appena 47. Fatte le debite proporzioni, calcolando che ad averla installata sul proprio smartphone è il 7,7% della popolazione complessiva, almeno 7-800 casi si sarebbero dovuti attribuire alla app, invece qui siamo allo zero virgola qualcosa.
Che ci sia qualcosa che non va lo dice però un altro numero fornito dallo stesso Ministero dell' innovazione: dagli smartphone di quei 47 positivi che hanno poi sbloccato l' applicazione sono partite appena 23 notifiche di allerta. Una miseria, se si pensa che Immuni dovrebbe memorizzare in forma assolutamente anonima tutti i contatti stretti degli ultimi 14 giorni.
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Più specificatamente tramite il bluetooth, che deve essere sempre acceso per consentirle di funzionare, la app memorizza i contatti di tutti coloro che nelle due settimane precedenti la notifica del contagio sono stati a meno di due metri di distanza e per più di 15 minuti con chi è risultato poi essere positivo. Tanto per capire, quando i cacciatori di virus delle Asl, gli uomini addetti al così detto "contact tracing", vanno a ricostruire i contatti stretti avuti da ciascun positivo accertato, nella loro agenda segnano tra i 20 e i 30 nomi. Con il tracciamento digitale invece di persone a rischio se ne è rintracciata in media una ogni due contagiati muniti di app.
Le falle del sistema
Che Immuni non funzioni come si deve ce lo racconta anche Francesca (il nome è di fantasia per ragioni di privacy) la donna di Chieti che era stata presentata giorni fa come il primo caso di positività scoperto grazie alla app, ma che a noi racconta un altro film. «Ho scaricato Immuni da subito sia per proteggere i miei cari che per senso civico, ma ho scoperto di essere positiva dopo il ricovero di mio padre per Covid, non dalla app».
Venerdì le fanno il tampone e la domenica le comunicano il risultato. «A quel punto un addetto della Asl mi ha chiesto se avevo installato Immuni e se volevo attivare il sistema di notifiche alle persone con le quali ero stata in contatto negli ultimi giorni.
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Ho acconsentito e dopo qualche giorno ho saputo che era arrivato un alert a una persona di Pescara, che a me è restata totalmente anonima così come deve essere. Ho controllato giorno e orario ma io in quel momento ero a Chieti a fare proprio il tampone», confessa, per poi raccontare di un' altra falla, stavolta scoperta da una sua amica.
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«Anche lei ha scaricato Immuni e le è arrivata più di una notifica di allerta. Ma anche nel suo caso si riferivano a persone incontrate in località dove lei non è mai stata in quei giorni». Francesca ora è in quarantena insieme al suo compagno e alla figlia di 7 anni, e per questo ci tiene a fare un appello: «Tutto si può dire meno che la app violi la privacy di chi la scarica, quindi il mio consiglio è di attivarla, perché scoprire per tempo di essere positivi è il modo migliore per proteggere se stessi e i propri cari». «Certo, se poi fosse un po' più precisa nelle notifiche sarebbe meglio». Sicuramente con oltre 700 focolai accesi lungo lo Stivale converrebbe rifarle al più presto il tagliando per farla finalmente diventare quel che doveva essere: l' arma in più per mettere la museruola all' epidemia. Soprattutto se i contagi dovessero continuare a salire.
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