1. IN ALTO FORCHETTE E COLTELLI! LA GASTRO-RETE IMPAZZITA PER MASSIMO BOTTURA 2. IL CUOCO MODENESE HA FATTO IL COLPO DELLA VITA ED È PASSATO DAL SECONDO POSTO ALLA VETTA SECONDO LA PRESTIGIOSA CLASSIFICA 'THE WORLD'S 50 BEST RESTAURANTS' 3. UN SUCCESSO ANNUNCIATO E, PER FORTUNA, CONSEGUITO PERCHÉ BOTTURA NON È SOLO IL PIÙ BRAVO MA È ANCHE UN GRANDE UOMO. TALENTUOSO, CREATIVO, INTELLIGENTE, COLTO
1. W L'ITALIA! MASSIMO BOTTURA NUMERO UNO.
Lady Coratella per Dagospia
Che Massimo Bottura fosse il più bravo di tutti lo avevamo già detto, il mio pappagallino su quel trespolo non faceva che ripeterlo da tempo, ma stavolta il cuoco modenese ha fatto il colpo della vita ed è passato dal secondo posto alla vetta secondo la prestigiosa classifica The World's 50 Best Restaurants che lo ha premiato a New York da Cipriani. Gastrorete hot, da due giorni letteralmente impazzita.
Un successo annunciato e, per fortuna, conseguito perché Bottura non è solo il più bravo ma è anche un grande uomo. Talentuoso, creativo, intelligente, colto, disponibile, non se l'è mai tirata e non perde tempo a lanciar padelle in faccia ai concorrenti di Masterchef diffondendo una pessima immagine della cucina, dei cuochi e del quoziente intellettivo che li agita dinanzi alla telecamera.
Già impegnato lo scorso anno nel Refettorio Ambrosiano a Milano, una mensa per i poveri dove si cucinavano gli avanzi del cibo di Expo, il cuoco modenese è ora in prima linea con Food for Soul, un'organizzazione no-profit per combattere lo spreco alimentare. Tema di grande attualità, perfettamente in linea con quanto sostenuto da Papa Francesco che ci esorta a un impegno contro la cultura dello spreco e del superfluo.
Peccato che all'Osteria Francescana di Modena non si trovi mai posto, ma se avete in testa un piano quinquennale di prenotazioni potete provare ad inserire il vostro viaggio in Emilia e W l'Italia!
2. UN PREMIO MOLTO ATTESO CHE RILANCIA IL MADE IN ITALY
Enzo Vizzari per “la Repubblica”
«Massimo Bottura è il miglior cuoco mai nato in Italia», così, con un tocco di voluta provocazione, si iniziava la scheda dedicata all’Osteria Francescana nella Guida dell’Espresso 2016, che al cuoco modenese, già al vertice da anni, attribuiva il punteggio, mai dato in precedenza, di 20/20. Non è una sorpresa, allora, l’affermazione di primo fra i 50 Best.
La classifica è discutibile e discussa, visto che i giurati possono votare per qualsiasi ristorante senza dimostrare di averlo visitato: è una specie di Tripadvisor di lusso. Ma conta, eccome, per la risonanza mediatica e per il successo dei ristoranti. E conta, ancor più, per la cucina italiana e la sua influenza in un mondo che è sempre più invaso da insegne farlocche e prodotti italian sounding.
Bottura al vertice è un riconoscimento che va oltre ai meriti della persona e del cuoco, è un formidabile strumento di promozione per tutto il sistema Italia. Questa classifica negli anni 2000 ha decretato la Spagna, ben al di là del valore effettivo della sua cucina, il Paese di riferimento dell’avanguardia. Fra il 2010 e il 2015 è stata la volta dei Paesi del Nord Europa a conquistare fama e clienti curiosi di scoprire una cucina apparentemente primitiva.
Singolare che proprio Francia e Italia, i due Paesi di più ricca tradizione, non abbiano mai primeggiato. Anche in questa classifica 2016 nei primi 50 figurano 7 spagnoli e 7 statunitensi, contro soltanto 3 francesi, 3 danesi, 3 inglesi e 4 italiani. La Francescana è oggi un simbolo dell’Italia intelligente che accoglie e si trasforma, quella che all’estero, malgrado tutto, continuano ad ammirare. Massimo Bottura ha ora titolo — e possiede tutti i requisiti, dalle capacità al carisma — per aggregare intorno alla nostra cucina consensi e visibilità come mai in precedenza.
2. IL TRIONFO DI BOTTURA “AL SUO RISTORANTE L’OSCAR DELLA CUCINA”
Licia Granello per “la Repubblica”
And the winner is Massimo Bottura! Nella cerimonia degli Oscar della ristorazione, l’altra notte l’America ha premiato il migliore di tutti, occhi febbrili e faccia da birbante, equamente diviso tra il Parmigiano Reggiano e il collezionismo d’arte contemporanea. Come tutte le classifiche, anche la World’s 50 Best Restaurants stilata dalla rivista inglese Restaurant è tema di discussioni infinite. Ma che dopo tredici edizioni, molte delle quali dedicate a celebrare la supremazia stellare di Ferran Adrià e poi quella dei magnifici fratelli Roca (alternati al danese René Redzepi), sia arrivato il turno dell’Italia, trova d’accordo tutti: merito ulteriore del suo cuoco più immaginifico e originale.
Non è facile incasellare Massimo Bottura, al di là del riconosciuto talento culinario. Più che al cinema, per raccontarne la diversità occorre richiamarsi allo sport. Proprio come il calcio, infatti, la cucina attinge alle fasce popolari per trovare e crescere i suoi nuovi campioni. Un tempo si diceva «se non hai voglia di studiare, vai a fare il cuoco», un po’ minaccia e un po’ destino. Eserciti di ragazzini respinti dai licei e restii alle scuole tecniche si sono ritrovati con le mani in pasta quasi loro malgrado. Molti di loro, dopo aver sperimentato le fatiche fisiche del mestiere negli stage estivi, preferiscono ricominciare a studiare. Altri imparano a convivere con un lavoro durissimo e straniante, che dà dipendenza come una droga, amato e odiato, ma quasi impossibile da lasciare.
Poi ci sono quelli che lo fanno per vocazione, quando ben altro sarebbe il futuro disegnato dai genitori. Figli della buona borghesia (quando non decisamente alta), educazione inappuntabile e generazioni di laureati a occhieggiare nelle foto di famiglia. Liceali irrequieti, fulminati dalla torta al cioccolato preparata dalla tata, dal pasticcio di piccione assaggiato nel ristorante tristellato o semplicemente dagli irripetibili tortellini della mamma.
Bottura è uno di questi.
Esattamente come Gianluca Vialli e Gerard Piqué, cresciuti pranzando con i gomiti incollati al corpo e invece rapiti dal dio del pallone. Famiglia di commercianti del settore petrolifero, bella casa e buone fequentazioni, la laurea in Giurisprudenza dietro l’angolo e il lavoro paterno da ereditare in condivisione con i fratelli.
A segnarlo in modo indelebile, la memoria d’infanzia, quando la cucina era riparo dagli inseguimenti dei fratelli e la consolazione aveva il sapore paradisiaco di un tortellino crudo appena chiuso, soave come l’ombelico di Venere a cui si ispira. E poi il naso imbiancato di farina, la conta delle porzioni, i primi tentativi impacciati sotto gli occhi amorevoli e severi — fare la pasta non è un gioco come un altro, neanche da bambini — delle donne di casa.
Così, tra un tema d’italiano e una rimestata al ragù — rigorosamente di tre carni — Bottura approda all’Università. E lo strappo arriva, doloroso e inevitabile, perché più che Diritto Romano il ragazzo studia la ricetta del soufflé e invece di preparare la tesi si esercita con Lidia Cristoni, madre di tutte le sfogline del mondo, nella difficilissima arte di tirare la sfoglia, «tanto non sarò mai bravo come lei perché mi manca il movimento morbido dell’anca».
Una prima esperienza in trattoria a Campazzo, e poi stage, incontri illuminanti — con l’adorato cuoco franco-piacentino Georges Cogny e con Alain Ducasse — mille ricette mandate a memoria. Diviso tra la benedizione di mamma Luisa e i malumori paterni, Bottura parte per la Grande Mela, dove incontra Lara Gilmore, l’amore della vita. La Francescana è figlia del suo rientro in Italia. Una stagione al Bulli, due figli — Alexa e Charlie — e tre stelle Michelin arrivati sempre ideando, senza tregua.
L’uomo è iperenergico, entusiasta, faticoso da gestire come certi ragazzini vistosamente intelligenti. Lara tempera, modula, organizza. Il ristorante come una galleria d’arte con tanto di colonna sonora, la brigata coinvolta in sfide sempre nuove, le cene d’autore in giro per il mondo «perché La Francescana non può stare in piedi da sola».
E poi la solidarietà sociale: l’associazione Tortellanti, dove i bambini autistici si appassionano alla pasta fresca e le nuove sedi del Refettorio Ambrosiano ideato per l’Expo. Quando La Francescana chiude, a notte fatta, Bottura si chiude nella sala da musica che ha allestito a casa. Impianto stereo da mille e una notte, pareti insonorizzate, sul piatto un 33 giri di Miles Davis. È quello il momento in cui il più grande cuoco del mondo sogna i piatti di domani.
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