L’OMEOPATIA FUNZIONA SULLE PECORE? – IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE MEDICI VETERINARI: "ALCUNI RISULTATI SUGLI ANIMALI SONO EVIDENTI, ANCHE PIÙ CHE IN CAMPO UMANO" ANCHE SE NON SI PARLA DI "CURE UFFICIALI" MA DI "PRATICHE CHE POSSONO FAVORIRE IL BENESSERE"
Anna Mannucci per www.corriere.it
Il 10 aprile è la giornata dell’omeopatia, e in Italia circa seicento dottori offriranno un consulto gratuito su come utilizzarla nell’ambito di un corretto stile di vita, come forma di prevenzione naturale: sono medici, dentisti, ma anche veterinari. Una categoria che appare molto interessante da considerare, visto che l’accusa che l’omeopatia si attira più frequentemente è quella di agire solo con l’effetto placebo, ovvero con la forza della suggestione.
Ma quale animale potrebbe farsi «condizionare» psicologicamente nell’assumere una pillola piuttosto che un’altra? Sicuramente non succede alle mucche, i polli, le capre, le pecore e i suini che Francesca Pisseri, veterinaria di Pisa, cura da 25 anni usando i rimedi omeopatici per curare disturbi come parassitosi, mastiti, problemi respiratori, enteriti nei giovani animali e molto altro. Se serve, Pisseri usa anche antibiotici e cortisone, ma molto raramente, e questa drastica riduzione è molto positiva non solo per gli animali e il loro benessere, ma per tutto l’ambiente e la salute umana. «Non si parla più infatti di medicine alternative, ma di medicine che devono integrarsi per il bene dei pazienti», spiega Pisseri.
Le pecore «omeopatiche»
Il punto centrale dell’omeopatia è riequilibrare il paziente, attivare le sue difese contro le malattie, valutando anche la situazione in cui vive, come mangia, se è stressato, se può esprimere il suo comportamento naturale, se ha corrette relazioni con gli altri. «Ma questo lo fa ogni buon clinico, non occorre essere omeopati!» precisa Francesca Pisseri. E se le dicono che non è scientifica? «Ho una posizione pragmatica, vedo i pazienti guarire e migliorare. Abbiamo fatto alcune sperimentazioni con l’università di Pisa, utilizzandola per la gestione delle parassitosi delle pecore, con metodo tipicamente scientifico, che prevedeva gruppi di controllo. In una di queste prove un gruppo prendeva il rimedio omeopatico, un altro non era trattato, sul terzo si usavano i prodotti convenzionali». Le pecore «omeopatiche» hanno avuto risultati significativi.
Il consenso informato
Anche Marco Melosi, presidente dell’Anmvi, associazione medici veterinari, ammette: «Alcuni risultati sugli animali sono evidenti, anche più che in campo umano». Ma ricorda che «le medicine non convenzionali non fanno parte del programma di studi delle facoltà sia di medicina che di veterinaria» e che «l’omeopatia non è riconosciuta dalla scienza, per esempio i suoi risultati non sono ripetibili, come richiederebbe il metodo scientifico, e possono essere diversi da paziente a paziente». Quindi più che di «cure» ufficiali, secondo Melosi, «si potrebbe dunque parlare di una pratica che può favorire il benessere degli animali, anche se non riconosciuta dalla scienza».
Come succede in altri casi, dai massaggi alla ozonoterapia e molto altro, si tratta però di attività complementari e non alternative alla medicina ufficiale. «L’importante -precisa Melosi- è il consenso informato: il veterinario deve informare il padrone del paziente che si tratta di una terapia e di rimedi non riconosciuti dalla scienza ufficiale». Insomma, il medico, umano o veterinario che sia, può e deve scegliere «in scienza e coscienza», sempre nell’interesse del paziente.