GUERRE DI MEGABYTE – C’È L’OMBRA DELLA RUSSIA DIETRO IL MAXI-ATTACCO DI FINE LUGLIO AI SISTEMI DI SICUREZZA DI JP MORGAN E DI ALTRE 9 BANCHE USA – UN SENATORE: “LA PROSSIMA PEARL HARBOUR SARÀ DIGITALE”

Giuseppe Bottero per “La Stampa”

 

IL COLABRODO JP MORGAN IL COLABRODO JP MORGAN

Portano dritte alla Russia le indagini sul maxi-attacco informatico che, a fine luglio, ha colpito JpMorgan e altri nove istituti di credito statunitensi. Un’offensiva in grande stile, che ha messo a nudo le falle nella sicurezza del sistema bancario americano: in mano agli hacker, adesso, ci sono i dati di 83 milioni di clienti. Non i codici di accesso ai conti correnti, ma una sorta di «passaporto digitale»: nomi, indirizzi e-mail, numeri di telefono. «I criminali possono assumere l’identità di 83 milioni di aziende e persone. Un problema enorme», spiega l’analista Mark Rasch.

JPMorgan ChaseJPMorgan Chase


Sfumata la pista dell’offensiva partita dall’Italia o dal Sud dell’Europa, adesso gli inquirenti si concentrano su Mosca e il «New York Times» parla di legami con funzionari del governo. «Potrebbe trattarsi di una rappresaglia per le sanzioni», spiega una fonte citata dal quotidiano. Oppure, di uno schiaffo a Wall Street. L’unica certezza è che la controffensiva, ancora una volta, ha fatto flop.

 

HACKER CINESI HACKER CINESI

«La prossima Pearl Harbour sarà digitale», attacca il senatore democratico Angus King, che chiede un piano per blindare i sistemi informatici. A spingere i sospetti verso la Russia c’è un altro indizio: qualche mese fa, a finire nel mirino dopo un’escalation di intrusioni nei sistemi informatici dei giganti dell’energia, era stato il gruppo Dragonfly, che opera proprio nei dintorni di Mosca. «L’esercito delle libellule» è una piccola legione di cyber-mercenari, la punta dell’iceberg di un settore che ogni anno provoca danni per 315 miliardi dollari.


In questo caso, però, manca la firma e, al momento, non sono stati resi noti i nomi degli altri istituti colpiti oltre a Jp Morgan.

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