TRA PALCO E CRIMINALITÀ – IL TRAPPER ZACCARIA MOUHIB, IN ARTE "BABY GANG", TRA HA UNA LUNGHISSIMA ESPERIENZA DI REATI E INCARCERAZIONI. ESPERIENZA CHE RACCONTA NEI TESTI DELLE SUE CANZONI, MANDATE A MEMORIA DA MILIONI DI RAGAZZINI – GLI INSULTI SUI SOCIAL: “SBIRRI INFAMI, GIORNALISTI PEZZI DI MERDA”, LE FINTE ARMI APPESE ALLE PARETI E IL LUSSO OSTENTATO: QUANDO L’HANNO FERMATO IN STRADA, INDOSSAVA UNICAMENTE ABITI GUCCI. E NEL PREPARARE LA BORSA PER LA PRIGIONE HA…
ANNUNCIO DEL VIDEO DI BABY GANG GIRATO IN CARCERE
1 - FAIDA TRA TRAPPER A MILANO, SCARPE GUCCI, SBUFFI E TUTA DEL MILAN: L’ULTIMA CADUTA DI BABY GANG, IL DIVO ANTI-SISTEMA
Andrea Galli per www.corriere.it
In una precedente occasione, d’estate, colloquiando con il questore di Milano Giuseppe Petronzi, era emerso il tema dell’assenza di inneschi ideologici, di richiami politici nei presunti «manifesti» dei trapper.
E del resto, scorrendo la breve — ha soltanto 21 anni — e intensa esistenza di Zaccaria Mouhib alias «Baby Gang», esploriamo canali di violenza e rabbia, di insulti, di nemici «banali» da individuare — dai «giornalisti pezzi di m…» alla «polizia associazione mafiosa» —, con poche e poco fantasiose variazioni («Sbirri infami»).
BABY GANG NELL AUTO DEI CARABINIERI
E insieme esploriamo una catena di azioni che un esperto potrebbe inquadrare nella casistica dei disturbi della condotta: atteggiamenti fin da ragazzino di prepotenza e minacce, danni fisici, la «volontà» di affrontare direttamente la vittima, faccia a faccia; insomma manifestazioni precoci rispetto alle quali, col trascorrere del tempo, risulta difficile recuperare.
Di suo, «Baby Gang», figura apicale (anche) in quest’ultima inchiesta centrata sulla gambizzazione, lo scorso 3 luglio nella zona di corso Como, di due senegalesi autori di presunti torti contro la banda del musicista trapper, ha spesso lamentato la situazione di «bersaglio», per esempio spiegando, nei canali social, che «da quando sono piccolo, di ogni cosa che succede intorno a me la colpa è sempre mia».
Del 25 maggio 2013, a 11 anni, il primo incontro con le forze dell’ordine: «Imbrattava con una bomboletta spray il muro di un’abitazione».
Del 2014 il furto di un cellulare; del 2016 lo spaccio di droga e l’aggressione — le mani strette intorno al collo — di un commerciante cui aveva rubato una maglietta; del 2017 l’irruzione in un centro sportivo per arraffare negli spogliatoi magliette e palloni, mentre nel 2021 aveva capeggiato la marcia di trenta coetanei verso la discoteca «Old Fashion» sostenendo che lì avessero impedito a un suo amico di entrare; ne seguivano lanci di pietre contro il personale di sicurezza e la caccia indiscriminata a clienti del locale per picchiarli.
Una catena densa e inquietante, culminata nell’agguato del 3 luglio, che pare segnerà quantomeno una pausa nella degenerazione di «Baby Gang»; degenerazione che però, forse non soltanto in linea teorica, magari poteva essere evitata. Due mesi prima di quell’episodio, il Tribunale di Milano aveva rigettato la proposta della polizia di una sorveglianza speciale, in base alla quale il ragazzo non avrebbe potuto uscire da Sondrio, la città di residenza.
I giudici avevano sottolineato le dichiarazioni di «Baby Gang» di aver «cambiato vita non avendo più la necessità di delinquere», e avevano riportato la relazione della comunità che lo aveva ospitato: «Si trova in bilico tra intenti contrapposti e non ha ancora trovato un punto di equilibrio tra la personalità di rapper antisistema, con cui si è affermato a un livello artistico, e la necessità di rispetto, sul piano personale, del precetti del vivere civile».
Per l’intera giornata di ieri, un numero sproporzionato di adolescenti ha commentato, beninteso sui social network, la caduta di «Baby Gang». Ammesso che venga considerata una caduta e non, come al contrario accade, una medaglia. Nel nome, nel segno, di lui, solo lui, idolo e capo, e dei suoi «post», come quello rivolto a una pattuglia di carabinieri: «Ecco a voi ragazzi, cioè io devo svegliarmi e trovarmi ste facce di m… qui sotto casa mia… Fuck you».
In questa faida esplorata negli ultimi mesi dagli investigatori, si è evidenziata la contrapposizione tra quelli di «Baby Gang», e del socio, l’altro musicista trapper «Simba la Rue», che nonostante fosse in stampelle a causa di un precedente accoltellamento inferto dai rivali di «Baby Touché» — ed ecco la seconda formazione che completa lo schieramento — era lì, alle 5.20 del 3 luglio.
Pronto a inseguire e utilizzare quelle stampelle come armi. Laddove a sintesi delle precedenti indagini di luglio il gip Guido Salvini aveva sottolineato le analogie con dinamiche da banlieue francesi, adesso il giudice ha rimarcato, scrivendo a proposito degli indagati, la «totale astrazione dalla realtà in cui agiscono, con l’ego totalmente incluso in quello della banda che impedisce anche solo di percepire il disvalore e il peso delle azioni criminose, con un grave rischio imitativo nei confronti di altri soggetti molti giovani».
Quando l’hanno fermato in strada, «Baby Gang» indossava unicamente abiti Gucci; nel preparare la borsa per la prigione, ha tenuto a cambiarsi per mettere una tuta del Milan, nel mentre manifestando un atteggiamento di fastidio per il disturbo che i carabinieri gli stavano arrecando. Sbuffi, sbuffi, sbuffi. Una colossale noia.
2 - La vita da fuorilegge di Baby Gang: simulacri di armi appesi alle pareti, risse, droga e insulti alla polizia
Estratto dell'articolo di Alice Castagneri per www.lastampa.it
[...] Spaccio, rissa, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali, istigazioni a delinquere, diffamazione. Una fedina penale, che negli anni, diventa sempre più sporca. Nell’aprile del 2021 si ritrova coinvolto in una guerriglia con le forze dell’ordine per un video girato in strada a San Siro insieme al rapper Neima Ezza. Nessuno ha i permessi per le riprese e gli assembramenti in quel periodo sono vietati, ma infrangere le regole e sfidare il sistema per Zaccaria non è certo un problema.
Centinaia di ragazzi si radunano nelle strade dopo il tam tam sui social, e a quale punto i tafferugli sono inevitabili. A gennaio finisce di nuovo in manette – stavolta a San Vittore – con l’accusa di aver fermato e intimidito dei ragazzi alle Colonne di San Lorenzo per farsi consegnare soldi, gioielli e cellulari. Esce dopo neanche un mese e il giorno dopo fa esplodere fuochi d'artificio davanti al carcere. Poco dopo esce un nuovo brano: Paranoia. Il videoclip contiene immagini girate con un telefonino fatto entrare di nascosto in carcere. E anche per questo Baby Gang viene indagato.
I social sono il mezzo con cui diffonde la violenza. Gli insulti contro la polizia sono all’ordine del giorno. Soprattutto quelli contro gli agenti: «Giornalisti pezzi di merda, sbirri infami, polizia associazione mafiosa, faccio più soldi di voi, il vostro stipendio me lo mangio a pranzo». Anche i giornalisti finiscono spesso nel suo mirino: «Allora sentite, grandissime teste di c…, è da un bel po’ che vi sto facendo parlare a tutti senza dire nulla, ma adesso mi state veramente rompendo il c…, è da quando sono piccolo che ogni cosa che succede intorno a me la colpa è sempre di Baby Gang…».
Quando è stato fermato per strada dai carabinieri, nelle prime ore di venerdì, era vestito Gucci da testa a piedi. Durante l'indagine per la rissa con sparatoria avvenuta in corso Como a Milano, la notte tra il 2 e il 3 luglio scorsi, gli viene sequestrata una pistola Beretta 7,65, che era nascosta nella casa di Sesto San Giovanni. L’arma è intestata a una società riconducibile alla madre dell'artista e utilizzata dalla sua gang come base. Nella casa, da tempo monitorata dai carabinieri, gli investigatori trovano anche simulacri di armi e di mitra appesi alle pareti, utilizzati nei video musicali. La Beretta sequestrata, di cui Baby Gang ha riconosciuto di essere il proprietario (è stato infatti arrestato anche per detenzione di arma comune da sparo, reato contestato solo a lui), ha una matricola non censita, quindi potrebbe essere di provenienza illecita o estera.
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