ARRINGHE E CAZZOTTI – MICHELE BRIAMONTE, L'AVVOCATO DELLO STUDIO GRANDE STEVENS, DIVENTATO CAMPIONE “MASTER” DI KICKBOXING, PARLA DELLA SUA SECONDA VITA SUL RING: “PRENDO SERIAMENTE GLI ALLENAMENTI TANTO QUANTO I MEETING COME AVVOCATO. MI ALLENO UN'ORA AL GIORNO, HO IMPARATO A GESTIRE IL TEMPO DAL MIO MAESTRO, FRANZO GRANDE STEVENS” – “L'ADRENALINA QUANDO SEI SOLO DAVANTI ALL'AVVERSARIO E NON PUOI CHIEDERE AIUTO A NESSUNO…”
Estratto dell’articolo di Chiara Comai per “la Stampa”
Michele Briamonte campione di kickboxing Wkf
«Fuori dal tribunale puoi contare su un gruppo di lavoro che ti supporta e ti aiuta. Quando sei sul ring, invece, sei da solo. Con te hai solo la tua preparazione. È un'adrenalina unica nel suo genere». Non c'è stanchezza nella voce di Michele Briamonte, nonostante il peso di condurre due vite quasi parallele. Classe '77, Briamonte è un avvocato torinese di successo dello studio Grande Stevens e agonista di kickboxing.
Ieri è diventato il campione mondiale master di questo sport, conquistando il ring del teatro Principe di Milano durante la quindicesima edizione di The Night of Kick and Punch. Nominato a luglio Cavaliere della Repubblica, Briamonte è anche presidente del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude.
Michele Briamonte contro Younes Fahmi Maouroudi - kickboxing Wkf
Ha già ripreso a lavorare?
«Sono operativo già oggi. Ma per me, il ring e il tribunale sono entrambi impegni di lavoro. Prendo seriamente gli allenamenti tanto quanto i meeting come avvocato».
Avvocato e campione di kickboxing. Come si conciliano i due impegni?
«I miei maestri sportivi sono molto disponibili come orari, quindi riesco ad allenarmi tutti i giorni. Che sia alle 7 del mattino o alle 20 di sera. Ne ho uno per ogni città in cui mi muovo: a Milano, Roma e Londra».
Quali sono gli ostacoli?
«Riesco a conciliare i due impegni senza problemi. A volte però quando sono sotto gara devo seguire un'alimentazione specifica, quindi è più complicato partecipare a colazioni o cene di lavoro».
Nemmeno la gestione oraria la mette in difficoltà?
«No, perché alla fine mi alleno solo un'ora al giorno ad alta intensità. Ho imparato a gestire il tempo, merito del mio maestro l'avvocato Franzo Grande Stevens».
Com'è nata la passione per il kickboxing?
«A sei anni praticavo il karate, poi sono passato alle arti marziali full contact di cui sono diventato istruttore nel '97. Il kick è arrivato dopo, ma è il mio preferito».
Perché?
«Mi consente di calciare con le gambe. Cambia il tempo di combattimento, la distanza è più ravvicinata».
Cosa prova sul ring?
«È un grandissimo momento di adrenalina. L'emozione più grande è quando sei solo davanti all'avversario e non puoi chiedere aiuto a nessuno. È questo: sapere di poter contare solo su te stesso».
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Maniaco del controllo?
«Assolutamente. Sono molto attento soprattutto sui miei stati emotivi, per evitare che intralcino il conseguimento del mio obiettivo».
Ha un nome d'arte?
«Non ci ho mai pensato. Forse perché questi due aspetti completano la mia personalità. Non mi do per vinto, cerco di prevalere sull'avversario, non sottovaluto le situazioni. Non ho bisogno di un alter ego».
Altre passioni?
Michele Briamonte campione di kickboxing Wkf
«Nel tempo libero volo con l'elicottero, ascolto musica jazz e leggo Dostoevskij».
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Sa accettare le sconfitte?
«Certo, fanno parte della crescita e del percorso di miglioramento. Sono fallimenti apparenti, perché da lì si acquisiscono gli strumenti da cui imparare. Non si può vivere una sconfitta come un fallimento definitivo, se no è impossibile gestirlo».
Il consiglio più grande che ha ricevuto?
«Essere curioso e non sentirmi mai arrivato. Imparare e studiare per migliorare me stesso. Anche questo me lo ha insegnato l'avvocato Franzo Grande Stevens».
Se dovesse insegnare qualcosa?
«Nello sport, il coraggio e la sfida con noi stessi sono gli ingredienti che non possono mancare. Bisogna stare attenti a scegliere la tipologia di sport giusta».
E per il lavoro da avvocato?
«Bisogna staccarsi dalle impalcature già superate e da un'idea di professione ormai desueta. Meglio non essere prigionieri delle proprie certezze».
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