tilda swindon

“PER ME HOLLYWOOD È GRETA GARBO” – BEN DETTO, TILDA SWINTON. NON ESISTE NEL CINEMA UNA PERFOMER CAMALEONTICA, INDECIFRABILE, TALENTUOSA, AMBIGUA COME LA 59ENNE SCOZZESE - E QUANDO INCASSA IL LEONE D'ORO ALLA CARRIERA A VENEZIA,  PRECISA: “NON SONO INTERESSATA A UNA CARRIERA, MA A UNA VITA PERCHÉ IL MIO LAVORO CON IL CINEMA FA PARTE DELLA MIA ESISTENZA, NON È QUALCOSA DI SEPARATO..."

Alessandra De Luca per “Avvenire”

 

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Nell' accettare il Leone d' Oro alla carriera della 77ª Mostra del cinema di Venezia, il «leone con le ali», come lo ha chiamato lei, ha pronunciato un discorso così appassionato che rimarrà a lungo nel cuore di chi lo ha ascoltato.

 

Sofisticata, elegantissima, di una bellezza che sembra provenire da un altro pianeta, Tilda Swinton, arrivata anche per accompagnare il cortometraggio di Pedro Almodovar, La voce umana (dal testo di Jean Cocteau), dove interpreta il ruolo che fu di Anna Magnani e Sofia Loren, quello di una donna abbandonata che parla al telefono con il suo amato per l' ultima volta, si è a lungo raccontata in una masterclass dove, ripercorrendo alcune tappe del suo percorso artistico (guai pronunciare la parola «carriera ») ha parlato del suo lavoro di performer.

 

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Al Lido l' attrice ci era venuta per la prima volta nel 1992 vincendo la Coppa Volpi nei panni della regina Isabella di Francia in Edoardo II di Dereck Jarman, regista con il quale aveva esordito nel 1986, con Caravaggio.

 

Ed è proprio a quell' opera che la 59enne britannica, illuminata da una giacca verde brillante, rende omaggio indossando una t-shirt originale del film e suscitando l' entusiasmo dei festivalieri. «Se non avessi incontrato Jarman oggi non sarei qui perché grazie a lui ho trovato un modo di lavorare unico. Derek era un artista, un pittore prima ancora che un regista, e mi ha insegnato che il cinema è un lavoro collettivo.

tilda swinton 9

 

Quando ho deciso di diventare una performer pensavo che fosse impossibile fare a Londra il cinema che ammiravo, quello di Antonioni, Rossellini, Fassbinder. Ma l' incontro con lui mi ha regalato un' opportunità eccezionale: quello che Derek faceva sul set era organizzare un party - che poi era il film - e dare a ciascuno una responsabilità. Ai costumi c' era Sandy Powell, appena uscita dalla sua scuola d' arte, e c' eravamo noi attori e il resto della troupe. Ho imparato così che il cinema è l' arte della collaborazione».

 

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Tornata a Venezia nel 1998 in giuria, la Swinton ha visto i suoi figli gemelli imparare a camminare nei corridoi dell' Hotel Des Bains. «Sembrava una scena di Shining- scherza - . Ora questo hotel è chiuso, ma magari tra dieci anni torneremo qui con i nostri bastoni e scopriremo che è stato riaperto». La «fedeltà» ad alcuni registi con cui è tornata spesso a lavorare - dopo Jarman sono arrivati Luca Guadagnino, Jim Jarmush, Wes Anderson - è una delle caratteristiche che contraddistinguono le scelte professionali di un' attrice che però non si è limitata ad essere la loro musa, ma è sempre stata coautrice dei ruoli che ha interpretato.

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«Ho conosciuto Guadagnino quando è morto Jarman: pensavo che sarebbe stato impossibile riprovare per un' altra persona la stessa empatia che mi legava a Derek, ma mi sono dovuta ricredere. Insieme abbiamo realizzato The Protagonists, Io sono l' amore, A Bigger Splash e Suspiria.

 

Non sono interessata a una carriera, ma a una vita perché il mio lavoro con il cinema fa parte della mia esistenza, non è qualcosa di separato. Con Derek, Luca, Jim abbiamo cucinato, mangiato, raccontato ridicole barzellette, siamo cresciuti assieme.

Il cinema nasce proprio sulla base di questa fratellanza: prima vengono le conversazioni e poi i film».

 

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Interpreti di alcuni dei ruoli più iconici della storia del cinema, l' attrice ha sempre alternato il cinema d' autore più radicale e di ricerca con quello commerciale, hollywoodiano, vincendo un Oscar come miglior attrice non protagonista per Michael Clayton (2007), dove recitava al fianco di George Clooney. «Per me Hollywood è Greta Garbo che ha smesso di recitare a 36 anni perché si era annoiata. Capisco la sua scelta, se fossi stufa mi ritirerei dalle scene anche io.

 

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E infatti ogni film che faccio penso che sia l' ultimo. Poi però vengono a riprendermi nel mio giardino in Scozia e io mi lascio assorbire da un nuovo progetto. Ma anche il cinema ad alto budget deve avere degli elementi di sperimentazione per conquistarmi. Le cronache di Narnia, ad esempio, era il primo live action del regista Andrew Adams, che fino a quel momento si era dedicato esclusivamente a progetti di animazione.

 

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Anche i cortometraggi sono ottime occasioni per sperimentare, perché si deve esser capaci di raccontare una storia in maniera molto concisa. Sono entusiasta di aver realizzato The Human Voice con Almodovar, subito dopo il lockdown. Pedro è il mio nuovo amore».

 

Nonostante l' enorme successo riscosso con Orlando di Sally Potter, la fama dell' attrice è decollata dopo i 40 anni. «Ho scelto di collaborare con registi interessati alla sensibilità, all' animo, al talento delle attrici, non alla loro età».

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Mentre i suoi primi ricordi da spettatrice si confondono con i sogni, ma riconducono a Julie Andrews e Tutti insieme appassionatamente. «La prima vera proiezione alla quale ho assistito però è stata quella dei corti documentari Powers of Ten scritti e diretti da Charles e Ray Eames. In quel momento ho capito che il cinema poteva condurci in luoghi meravigliosi e inaccessibili nella realtà».

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