IL PASTICCIACCIO DEGLI AUTOVELOX RISCHIA DI FAR FALLIRE MIGLIAIA DI COMUNI – I SINDACI, ABITUATI A FARE CASSA CON LE MULTE DEI RILEVATORI DI VELOCITÀ, TREMANO PER LA SENTENZA CON CUI LA CASSAZIONE HA DECRETATO NULLE LE SANZIONI FATTE DA AUTOVELOX “APPROVATI” MA NON “OMOLOGATI” – IL MINISTERO DEI TRASPORTI, CHE DAL 1992 AVREBBE DOVUTO SCRIVERE UN REGOLAMENTO IN MATERIA, AMMETTE: “NON ESISTONO DISPOSITIVI OMOLOGATI, MANCANO GLI STANDARD EUROPEI...”
Estratto dell’articolo di Giulia D’Aleo per “la Repubblica”
I sindaci se lo domandano sottovoce, gli automobilisti già pizzicati dai verbali sperano che il numero sia il più alto possibile: quanti sono gli autovelox non omologati in Italia? È la questione al centro dello tsunami che sta travolgendo i Comuni, dopo la sentenza con cui la Cassazione ha dato ragione a un cittadino trevigiano: nessun dubbio che andasse oltre il limite di 90 orari, è vero, ma il dispositivo che aveva fatto la rilevazione era solo «approvato».
Condizione necessaria, ma non sufficiente: la multa quindi va stracciata. La risposta al quesito che fa tremare i municipi, però, era già nota agli addetti ai lavori. «Nessun ente può rilasciare certificati di omologazione», assicurano da Eltraff, società che realizza e vende misuratori di velocità. E anche all’Anci ammettono di saperlo bene. La conferma la dà a Repubblica il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: «Non esistono dispositivi omologati, mancano gli standard europei e nazionali».
Si potrebbe pensare che l’omologazione sia una procedura che la Corte di Cassazione ha inventato di sana pianta, se non fosse esplicitamente citata all’articolo 142, comma 6, del Codice della strada del 1992. Peccato che da allora sia rimasta, di fatto, una dicitura vuota. Nessuno sa bene come andrebbe riempita, perché manca il regolamento ministeriale che doveva stabilirlo.
Non dovrebbe essere complicato, tant’è che per l’etilometro esiste già, eppure in trent’anni nessuno lo ha scritto. Di certo se ne è accorto chi frequenta i tribunali, dove i ricorsi presentati dagli automobilisti, incoraggiati dalle associazioni dei consumatori, continuavano a dare esiti differenti, a seconda di quale linea prevalesse sul banco del giudice.
Una circolare ministeriale del 2020 ha tentato di mettere una pezza: tra omologazione e approvazione poco cambia, era il contenuto in sintesi. Una soluzione che, però, non ha convinto la Corte.
La sentenza non fa giurisprudenza, ma nell’era di Fleximan lo spiraglio aperto dai giudici è un precedente di rilievo. Se nessun apparecchio è omologato, allora «ogni cittadino può sentirsi legittimato a fare ricorso. Ci stanno inondando di richieste, speriamo non ci mettano in ginocchio», dichiara allarmato Luigi Altamura, comandante della polizia di Verona e membro del Tavolo di coordinamento della polizia locale dell’Anci.
La prospettiva per i Comuni è tutt’altro che rosea: oltre a dover pagare le spese processuali ai ricorrenti che risultassero vincitori, potrebbero ritrovarsi a corto delle entrate derivanti dalle sanzioni. E non sono spiccioli, se nel 2022 le venti città più grandi hanno incassato oltre 75 milioni. [...]
[...] nonostante nessuno sia in grado rilasciare certificati di omologazione, qualcuno lo ha fatto lo stesso. «L’errore è probabilmente dovuto al fatto che questi termini sono sempre stati confusi. Ma gli enti accreditati, al momento, possono rilasciare solo certificati di taratura», spiegano da Eltraff. Questa terza procedura non è altro che una verifica di funzionalità dell’autovelox, da effettuarsi prima di venderlo e poi una volta all’anno. Da sola, sostiene l’azienda, «sarebbe più che sufficiente, anche senza omologazione. Anche perché, per ottenere l’approvazione bisogna già seguire regole molto rigide».
Di fronte alla catastrofe, il Mit parla di una colpa «ereditata dai precedenti governi», quasi un peccato originale. E nel frattempo va in scena un piccolo giallo: la soluzione era brevemente comparsa nero su bianco nel ddl sulla sicurezza stradale, ora all’esame del Senato.
In quella versione, la dicitura «debitamente omologate» era accompagnata da «o, nelle more di un regolamento specifico, approvate dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti». Come diceva la circolare del 2020, quindi, una vale l’altra. La modifica, però, non si sa per volere di chi, è poi sparita dal testo. Potrebbe tornare, magari in veste leggermente diversa, perché fonti del Mit assicurano: «C’è un percorso amministrativo per risolvere il problema all’interno del ddl. Gli uffici ci stanno lavorando».