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QUARANTENATI SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI – PER I GENITORI CHE SI SONO DOVUTI DIVIDERE TRA FIGLI IMPEGNATI NELLA DIDATTICA A DISTANZA E SMART WORKING, IL LOCKDOWN E' STATO UN INCUBO: IL 46% DICHIARA PICCHI DI STRESS MENTRE SI MOLTIPLICANO ESAURIMENTI E CROLLI PSICOFISICI. GLI AMERICANI LO HANNO DEFINITO “PARENTAL BURNOUT”, MA NON È FINITA. PERCHÉ A PESARE CI SONO LE INCERTEZZE SUL FUTURO E SULLA RIPRESA DELLA SCUOLA. E ALLA FINE A DOVERSI SACRIFICARE SONO QUASI SEMPRE LE MAMME…

Corinna De Cesare per "www.corriere.it"

 

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La misura del disagio, in casa Metruccio Bertelli, tre figli, un cane e un appartamento in zona nord di Milano, è in quei due metri e quaranta del tavolo di legno wengé allungabile sistemato in salone. Lì, ogni mattina, da marzo a giugno, Francesca, 46 anni e i suoi tre figli, hanno studiato e lavorato tutti insieme durante e dopo il lockdown.

 

Francesca, medico del lavoro che in un ospedale milanese si occupa di valutazione di sostanze chimiche, alternava i suoi studi sui pesticidi alle equazioni di matematica di Agata (11 anni), l’analisi grammaticale di Giacomo (9 anni) e le tabelline di Nico (7 anni). Il marito, psicologo, non ha mai smesso invece di andare in ospedale per accogliere al triage gli altri dipendenti.

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Chiusi in casa, come in una centrifuga

«In questi mesi è stata una centrifuga costante a mille giri e onestamente — puntualizza Francesca — non ho mai avuto il tempo di concedermi crolli». Non è stato così per tutti i genitori: il New York Times ha parlato di parental burnout . Esaurimenti, crolli psicofisici, stress: l’American Psychological Association ha condotto uno studio dal 24 aprile al 4 maggio e ha rilevato che il 46% dei genitori con figli under 18 ha dichiaro un livello di stress alto rispetto al 28% degli adulti senza figli. Il 69% dei genitori non vedeva l’ora che finisse l’anno scolastico.

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Ma anche ora, dopo quattro mesi di didattica a distanza, smartworking, figli e casa da accudire, i genitori continuano «a fare i salti mortali». Come ammette Viviana, 44 anni, davanti a Palazzo Marino a Milano mentre manifesta insieme a sua figlia e ad altri genitori con il comitato Priorità alla scuola. «E li sai fare i salti mortali?», chiede Luca, 7 anni, figlio di un’amica che si trova proprio di fianco a lei: «Ho imparato in questi mesi».

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Insegnamento senza certezze

Nel momento più acuto dell’emergenza sanitaria il 90% degli studenti non andava più a scuola. Ovvero un miliardo e mezzo di bambini nel mondo, dei quali oltre il 40% cioè 700 milioni, senza accesso a internet da casa (fonte, Unesco). E anche in questi giorni che la cosiddetta DaD (didattica a distanza) è finita, dopo aver raggiunto appena un alunno su due e aver aggravato una povertà educativa che secondo l’Istat ha ormai superato i 2 milioni di minori (un quarto del totale), i genitori sono frastornati come nei giorni del lockdown.

 

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Senza certezze sul nuovo anno scolastico, tra ipotesi di banchi singoli, distanza tra “rime buccali”, didattica mista, ingressi scaglionati, impegni di lavoro da conciliare e aziende che sollecitano il rientro in ufficio. Nel frattempo senza scuola, Luana Angheluta, 34 anni, che fa le pulizie in alcuni appartamenti del centro di Milano, mamma di Cristian e Denis, 9 e 5 anni, ha persino rinunciato a un’assunzione come tata in una delle famiglie in cui lavorava sporadicamente. «E i miei figli dove li lascio?».

 

Madonna nella vasca da bagno

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In un video postato su Instagram che la ritraeva nella sua vasca da bagno, Madonna ha battezzato il Coronavirus the great equalizer - il grande equalizzatore. Perché, sosteneva la rockstar, al virus non importa quanto ricco, famoso, divertente, intelligente o vecchio tu sia. Peccato che sia vero il contrario, come ha spiegato in uno studio Vincenzo Galasso, professore dell’Università Bocconi che insieme al collega Martia Foucault di Sciences Po - Parigi, ha smontato l’opinione per la quale il coronavirus ha colpito indistintamente, sottolineando anzi come il costo della pandemia abbia pesato soprattutto sulle fasce più deboli.

 

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In tutti i dodici Paesi analizzati, la percentuale di persone che si è adattata a lavorare da casa è stata molto elevata tra i colletti bianchi e le persone con i redditi più elevati ma ben diversa è stata la situazione dei lavoratori con bassi redditi familiari. Queste persone non hanno potuto approfittare dello smartworking da casa o sono rimaste sul posto di lavoro, rischiando maggiormente il contagio. Oppure ancora hanno dovuto fermarsi del tutto, in alcuni casi senza stipendio. Qualcuno, perdendo definitivamente l’impiego.

 

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La cura familiare pesa troppo sulle donne

E oltre alle disuguaglianze economiche, il virus ci ha sbattuto in faccia quanto vanno dicendo da anni Istat, Banca d’Italia e World Economic Forum: il lavoro di cura, in Italia, è ancora prettamente a carico delle donne. E con le scuole chiuse per quattro mesi, oltre alle mansioni tradizionali si sono aggiunti i compiti dell’assistenza scolastica. 

 

Che probabilmente torneranno a settembre: sei genitori su dieci, secondo Save the Children, ritengono che i propri figli avranno bisogno di supporto quando torneranno a scuola, data la perdita di apprendimento degli ultimi mesi. «Il risultato», ha spiegato la direttrice centrale di Istat Linda Laura Sabbadini «è che mentre nella fase precedente all’emergenza noi avevamo una separazione tra lavoro retribuito e lavoro non retribuito, la condizione del lockdown ha portato a un fortissimo sovraccarico e stress, in particolare sulle donne». Con il rischio dimissioni sempre in agguato: nel 2019, 37 mila donne hanno lasciato il lavoro dopo essere diventate madri.

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Chi chiede il congedo: il 76% sono madri

Difficile che l’anno del Covid, questi numeri potranno scendere. «Molte mie amiche non ce l’hanno fatta e hanno chiesto il congedo», spiega Silvia Wang, figlia di immigrati cinesi e mamma di un bambino di 16 mesi per il quale, durante l’emergenza, si è trasferita a Brescia dai nonni.

 

«Come succede spesso, lo stipendio delle donne è più basso di quello dei loro compagni e quindi per molte di loro, la scelta è stata naturale». E anche la più diffusa: ad usufruire dei congedi parentali Covid disposti dal governo nei decreti Cura Italia prima e Rilancio poi, sono state per il 76% le madri. Il 61,5% dei destinatari di cassa integrazione ordinaria, sono state ancora le donne.

 

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«Noi, con la chiusura del nido», aggiunge Silvia, «abbiamo fatto i bagagli e ci siamo trasferiti dove vivono i miei genitori per avere un supporto, ma per chi non li aveva vicini è stato ancora più difficile». E l’estate lo sarà altrettanto. Campus e centri estivi dove i bambini potranno recuperare esperienze di gioco, relazione e crescita, hanno i posti contati e nelle graduatorie di ammissione vengono privilegiati i nuclei famigliari in cui gli adulti non possono rimanere a casa con i bambini.

 

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In piazza la protesta di chi non ce la fa più

Chi fa smartworking insomma viene caldamente invitato a continuare a tenere i piedi in due scarpe. Molti genitori sono ricorsi alle ferie e in alcune aziende si sono diffusi anche fondi di solidarietà per cedere giorni ai colleghi.

 

Ma sono casi lontani dalle migliaia di genitori che lo scorso 25 giugno sono scese in piazza in 60 città italiane con striscioni e manifesti di esortazione: «La cultura è un diritto, la Dad lo cancella». «Il 42% dei bambini in Italia vive in condizioni di sovraffollamento domestico». «Nell’ultimo decreto Rilancio è stato destinato alla scuola 1 miliardo e 400 milioni di euro, la metà di quelli per Alitalia e un decimo di quello che spenderemo per i caccia bombardieri F35».

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Neanche il miliardo di euro in più destinato alla scuola, annunciato poi dal premier Giuseppe Conte, è servito a rasserenare gli animi di questi genitori che nelle piazze hanno manifestato e condiviso le loro storie che sembravano tutte uscite dalle pagine dei racconti di Lucia Berlin. Infermieri, insegnanti, donne delle pulizie, artisti, uomini e donne uniti da una richiesta sola: il diritto dei bambini all’istruzione.

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