LA RESTITUZIONE DEI MARMI DEL PARTENONE PUÒ CREARE UN EFFETTO DOMINO COMPLICATO DA GESTIRE – PARLA BERNARD TSCHUMI, ARCHITETTO CHE HA COSTRUITO L’ACROPOLIS MUSEUM AD ATENE – “IL SOGNO È RICOSTRUIRE IL FREGIO COMPLETO DEL PARTENONE. ED È GIUSTO CHE IL BRITISH MUSEUM RISPEDISCA IN GRECIA I MARMI. MA IL TEMA È MOLTO DELICATO, PERCHÉ, A QUEL PUNTO, ALTRE NAZIONI CHIEDEREBBERO, AD ESEMPIO, AL LOUVRE A PARIGI, O AL MET DI NEW YORK, DI RESTITUIRE ALTRE OPERE. E SI APRIREBBE UNA QUESTIONE INTERNAZIONALE”
Estratto dell'articolo di Cloe Piccoli per “la Repubblica”
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Lord Byron l’aveva definito senza mezzi termini un saccheggio e lui, massimo poeta del romanticismo, non aveva dubbi sul fatto che i marmi del Partenone, staccati dalla loro sede originaria sull’Acropoli di Atene e spediti in Inghilterra via nave dall’aristocratico inglese Lord Elgin, dove furono venduti al governo britannico, e da lì esposti al British Museum, dovessero essere restituiti alla Grecia.
Era l’inizio del XIX Secolo, fra il 1801 e il 1812, e da allora il dibattito non si è mai risolto, anzi, nell’ottica di una visione storica e politica postcoloniale, la restituzione di opere d’arte e reperti archeologici acquisisce oggi un valore simbolico ancora più significativo che coinvolge non solo Gran Bretagna e Grecia, ma molte altre nazioni e alcuni fra i più blasonati musei e collezioni al mondo.
Ne abbiamo parlato con l’architetto Bernard Tschumi, che ha costruito l’Acropolis Museum di Atene, oggi al centro del dibattito, anche perché fra i temi che connotano quest’affascinante edificio, costruito di fronte all’Acropoli con una vista spettacolare sulla rocca fortificata dove gli ateniesi avevano eretto templi, teatri e le architetture pubbliche simbolo della polis democratica, c’è quello della restituzione.
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«Quello che è stato chiaro fin dall’inizio è che volevamo esporre il fregio nella sua interezza, nella stessa sequenza dell’originale con quella potenza visiva e narrativa che gli ateniesi potevano seguire camminando intorno al Partenone. Questo era il punto: avessimo o meno tutte le sculture originali», spiega Tschumi che ha progettato l’intero museo, costruito nel 2009, evidenziando le sculture mancanti, a volte lasciando spazi vuoti molto evidenti, altre volte sottolineando lo spazio delle copie.
«Il sito è stato progettato in modo che il pubblico camminando potesse seguire la narrazione del fregio proprio come quando fu costruito – continua l’architetto – Ancora oggi parte del fregio è a Londra al British Museum e l’altra ad Atene. Quella di Londra è originale così come quella di Atene. Ma lo spessore delle sculture di Londra è stato tagliato e ridotto per alleggerire il peso per il trasporto. Quindi quando abbiamo iniziato a progettare il design per il fregio abbiamo lasciato una notevole differenza nello di spessore. I blocchi di marmo di Atene sono il doppio rispetto alle copie delle sculture di Londra».
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Il dibattito sulla restituzione delle opere del British Museum, intanto, coinvolge ministri, legislatori, direttori di musei in un delicato equilibrio di relazioni politiche internazionali. Un primo passo è stato fatto dal Museo Archeologico Salinas di Palermo che ha restituito nel 2021, sotto forma di prestito, un frammento significativo di una parte del Partenone, seguito dai Musei Vaticani che a marzo hanno fatto arrivare ad Atene, dove di recente l’architetto inglese David Chipperfield ha vinto il concorso per la riqualificazione del Museo Archeologico, tre sculture di altri templi dell’Acropoli.
«Certo non c’è altra risposta che i marmi originali dovrebbero tornare al Museo dell’Acropoli di Atene », dice Tschumi che riflette nel design del museo il profondo significato politico della restituzione.
Un significato che si staglia netto nel magnifico terzo livello del museo, un’immensa scatola di vetro da cui si vede la rocca dell’Acropoli in cui l’architetto ha ricostruito a grandezza naturale il fregio del Partenone, inserendo i blocchi di marmo originali posseduti dalla Grecia accanto a copie delle sculture esposte al British Museum identificabili per lo spessore e il materiale.
«Il pubblico entra al primo livello del museo costruito sopra il sito archeologico che si vede sotto il pavimento trasparente. Le rovine sono così vicine che ti sembra di poterle toccare, ci cammini sopra, e le vedi attraverso il vetro. Lì inizia un percorso ascensionale attraverso le epoche storiche greche fino ad arrivare al terzo livello, e, finalmente, all’incredibile fregio del Partenone con le sculture di Fidia, l’apoteosi del periodo classico dell’arte greca.
Qui il movimento delle persone che camminano intorno al fregio è fondamentale, perché sono immerse nella narrazione antica, è come se l’immagine fosse in movimento. E poi, spostando lo sguardo, hanno l’incredibile visione del Partenone vero sull’Acropoli, e della città contemporanea. Un cortocircuito fra epoche e luoghi».
[…] «È fondamentale che il fregio venga interamente ricomposto, con le sculture di Londra, quelle di Vienna, e altre ancora, per poter restituire la narrazione e quell’esperienza dell’immagine in movimento che gli artisti e architetti greci avevano già immaginato » continua Tschumi. «Il tema è molto delicato, perché, se il British Museum restituisse i marmi di Elgin, altre nazioni chiederebbero, ad esempio, al Louvre a Parigi, o al Met di New York, di restituire altre opere si aprirebbe davvero una grande questione internazionale».
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